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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
09.05.2019 Sud Africa: il partito di Mandela al minimo storico, ecco le ragioni della crisi
Commenti di Lorenzo Simoncelli, Paola Peduzzi

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Lorenzo Simoncelli - Paola Peduzzi
Titolo: «Tra i giovani nati dopo la fine dell’apartheid: 'La politica ci ha delusi, meglio l’hip-hop' - Il costo della stabilità»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/05/2019, a pag.10, con il titolo "Tra i giovani nati dopo la fine dell’apartheid: 'La politica ci ha delusi, meglio l’hip-hop' " il commento di Lorenzo Simoncelli; dal FOGLIO di ieri, a pag. 1, il commento di Paola Peduzzi dal titolo "Il costo della stabilità".

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Lorenzo Simoncelli: "Tra i giovani nati dopo la fine dell’apartheid: 'La politica ci ha delusi, meglio l’hip-hop' "

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Lorenzo Simoncelli

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Cyril Ramaphosa, una speranza per il futuro

Lonwabo, un giovane rapper di Ottery, prima periferia di Città del Capo, ha preferito rimanere a casa ad incidere il suo nuovo singolo, piuttosto che andare a votare per eleggere il nuovo Presidente del Sudafrica. Come lui, altri 6 milioni di giovani, hanno deciso di astenersi. La generazione dei born free, i nati dopo la fine dell’apartheid, è delusa da una classe politica incapace, in 25 anni, di trasformare la società sudafricana, ancora oggi la più disuguale al mondo. «I partiti, prima di ogni elezione, promettono sempre di aiutare, costruire case, risolvere qualsiasi problema – afferma Lonwabo Mnyungula, 24enne musicista sudafricano - ma alla fine non cambia mai niente ed il Paese non cresce».
La musica hip-hop è una delle piattaforme più utilizzate dai born free per esprimere il disagio di un’intera generazione. Leggendo i testi emerge il rancore per non riuscire a trovare un’occupazione dignitosa, anche se istruiti. Un giovane ogni tre è senza lavoro in Sudafrica, in tutto il Paese si stima che i disoccupati hanno raggiunto quota 9 milioni. Le generazioni pre-apartheid hanno combattuto per decenni la segregazione razziale. Bianchi e neri erano circoscritti in spazi pubblici differenti, il più possibile distanti gli uni dagli altri. Oggi, invece, i «nati liberi» devono superare le barriere dell’apartheid economico, una forma di segregazione più subdola, dove bianchi e neri vivono a pochi metri di distanza, ma i primi in ville lussuose e gli ultimi in baracche. A cui si aggiunge un razzismo di fondo, mai completamente superato. «Viviamo ancora in una società divisa per gruppi etnici, dove i neri stanno con i neri, i bianchi con i bianchi ed i meticci con i meticci – spiega Lonwabo Mnyungula, musicista 24enne di Città del Capo - le separazioni iniziano già a scuola, mentre se vai in altri Paesi come Germania o Italia, questo non succede». «Le cose sono migliorate, abbiamo possibilità che i nostri genitori non avevano, ma c’è tanta strada da fare perché qui, il razzismo, è ancora molto forte – racconta Lindy Mohamed, 23enne studentessa all’ultimo anno di Biologia presso la Western Cape Peninsula University of Technology - adesso la situazione si è ribaltata, i neri hanno più opportunità ed il lavoro non si ottiene più in base a quello che sai fare, ma al colore della pelle che hai».
Le lunghe code fuori dai seggi elettorali viste nel 1994, quando si svolsero le prime elezioni democratiche nel Paese, sono un lontano ricordo, ma tra i tanti delusi, c’è ancora qualcuno che crede nel voto come unico strumento per migliorare la società sudafricana. «È molto importante che i giovani credano in un ideale e supportino qualcuno perché, alla fine, è l’unico modo per cambiare il Paese – sostiene Tyler Koopman, 28enne fondatore di Own The Block, una piattaforma che aiuta i giovani musicisti hip-hop ad emergere - il problema è che, ancora oggi, molti ragazzi votano in base a quello che gli suggeriscono i loro genitori o addirittura i loro nonni, che hanno vissuto l’apartheid, mentre noi oggi abbiamo altre priorità».
È proprio tra i giovani che l’Africa National Congress, il partito fondato da Nelson Mandela, al potere in Sudafrica dal 1994, ha perso maggiori consensi. Cyril Ramaphosa, candidato Presidente e favorito per la vittoria finale, non è riuscito a convincerli. I «nati liberi», al contrario delle generazioni precedenti, non nutrono nei confronti del più antico movimento di liberazione africano, il debito di riconoscenza per averli liberati dalle catene dell’apartheid. Sono più istruiti, più informati e più esigenti, ma soprattutto meno inclini ad accettare che la politica sia un mezzo per arricchimento personale.

IL FOGLIO - Paola Peduzzi: "Il costo della stabilità"

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Paola Peduzzi

Milano. Oggi il Sudafrica va a votare, l’Anc, il partito di Mandela, vincerà, ma il suo consenso è ai minimi, e nelle elezioni locali del 2016 il disamore si è visto chiaro: le grandi città che hanno sostenuto il sogno dell’Anc, che era un sogno di riscatto e di democrazia, si sono concesse all’opposizione. Il leader dell’Anc, nonché attuale presidente, Cyril Ramaphosa, è popolare e autorevole: era lui l’erede di Mandela, lui che gli camminava al fianco in quel febbraio storico e magico del 1990 quando Mandela uscì di prigione e il Sud Africa cominciò ad aver voglia di futuro. Ramaphosa, brillante e volitivo e con un’arte di negoziare unica (oggi rarissima), contribuì a costruire quel futuro, ma le logiche interne dell’Anc gli sbarrarono la strada, il successore di Mandela fu Thabo Mbeki e poi arrivò Jacob Zuma, il corrotto Zuma, e soltanto ora, cioè l’anno scorso, è arrivato il momento di Ramaphosa. Il quale oggi si trova a pagare da solo il prezzo della stabilità, il prezzo di un grande partito che voleva traghettare il Sudafrica lontano dall’apartheid e verso la democrazia, la convivenza pacifica e il benessere, e che si è ritrovato sommerso, azzoppato, abbrutito dalla corruzione. Una classe dirigente implosa: questo è l’Anc oggi. E Ramaphosa ripete a ogni comizio – è un leader caldo e rassicurante, ma il confronto con l’energia dei raduni elettorali di un tempo è impietoso – che “ripulirà” l’Anc, che il partito al potere tornerà a occuparsi del Sudafrica e non dei propri affari. Ha però bisogno di un mandato forte per combattere la corruzione e i suoi nemici interni – che sono tanti: divenne leader con uno scarto risicato – e questa è la grande contraddizione della leadership di Ramaphosa, il prezzo della stabilità: il voto per lui è un voto all’Anc e a un sistema di corruzione che ha allontanato quella classe media nera che l’Anc ha creato, motivato, riscattato. Lui vorrebbe ritornare allo spirito originario dell’Anc e proiettarlo in avanti con il suo istinto ben più liberale rispetto a quello dei suoi “compagni” – molti si chiamano ancora così, tra di loro – ma la sua debolezza nell’apparato è stata evidente a marzo, quando sono state pubblicate le liste elettorali: ci sono molti esponenti dell’èra Zuma, molti inquisiti, molti accusati di crimini gravi. La resa dei conti dentro all’Anc, anche in seguito a un decentramento del potere che ha creato molti signori locali potenti e irremovibili, ha fatto, tra il 2000 e il 2017, almeno 300 morti: omicidi politici. Strana situazione, quella del Sudafrica, in cui molti fanno il tifo per il presidente di un partito che, per cominciare la ristrutturazione del paese dopo il “decennio perduto” di Zuma in cui è esplosa la disoccupazione e ha smesso di funzionare persino la compagnia elettrica nazionale, deve ribaltare il partito di cui è espressione. I più ottimisti sperano in una distribuzione del costo della stabilità: l’opposizione liberale della Democratic Alliance (Da) si è trasformata in questi ultimi anni, il suo leader giovane e nero, Mmusi Maimane, sta levando l’etichetta di “partito bianco e colorato”, cioè non nero, e a livello locale ha già dato segnali incoraggianti. Una grande coalizione di Ramphosa e della Da è un sogno a occhi aperti che nessuno osa fare, per quanto sappia tanto di futuro e serva per esorcizzare l’altra possibile, terribile alleanza, quella con gli Economic Freedom Fighters: il nome non deve ingannare, è un partito nazionalista nero che vuole l’espropriazione delle terre dei bianchi, la nazionalizzazione delle miniere, delle banche, dei “settori strategici”. Senza alcuna compensazione, rimangiarsi il sogno di Mandela è gratis.

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