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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
03.05.2019 Matteo Salvini e la politica estera italiana filo-Putin e Maduro. Se la Lega è davvero 'amica di Israele' dovrebbe dimostrarlo
Commenti di Francesca Sforza, Paolo Mastrolilli, editoriale del Foglio

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Francesca Sforza - Paolo Mastrolilli
Titolo: «Per gli italiani è il leader leghista a guidare la politica estera - Il regime tenuto in vita da soldati e 007 cubani - Nessun imperialismo in Venezuela»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/05/2019, a pag.6 con il titolo "Per gli italiani è il leader leghista a guidare la politica estera" la cronaca di Francesca Sforza; a pag. 13, con il titolo "Il regime tenuto in vita da soldati e 007 cubani", la cronaca di Paolo Mastrolilli; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Nessun imperialismo in Venezuela",con un nostro commento. 

A destra: Matteo Salvini con Vladimir Putin

Secondo il sondaggio riportato dalla Stampa, per la maggioranza degli italiani è Matteo Salvini a dettare la linea della politica estera italiana. Salvini, come i 5 stelle con cui governa, si dice amico del dittatore russo Vladimir Putin e sostiene un regime antidemocratico e tiranno come quello di Maduro in Venezuela, che l'articolo di Paolo Mastrolilli e l'editoriale del Foglio oggi descrivono in modo corretto.

La Lega, inoltre, si dichiara a parole amica di Israele, ma non ha fatto finora nulla nella direzione dello spostamento dell'ambasciata italiana da Tel Aviv a Gerusalemme. L'Italia inoltre continua a tenere aperti due consolati a Gerusalemme - uno dei due si occupa dei rapporti con l'Anp del dittatore "moderato" Abu Mazen ed è nella zona est della città -, mentre dovrebbe unificarli perché Gerusalemme, città unita, è capitale di Israele. Se la Lega è davvero amica di Israele e non solo per slogan sarebbe ora di dimostrarlo.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Francesca Sforza: "Per gli italiani è il leader leghista a guidare la politica estera"

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Francesca Sforza

Chi decide la politica estera italiana? Secondo la maggioranza degli italiani il politico che ha la maggiore capacità di influenzare scelte e strategie è il Ministro degli Interni Matteo Salvini, seguito dal premier Giuseppe Conte e dal presidente della Repubblica Mattarella. Ultimo in classifica il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che secondo il rapporto di ricerca dedicato al tema «Gli italiani e la politica estera», realizzato dall’Università di Siena in collaborazione con l’Istituto Affari Internazionali di Roma, è considerato influente solo dal 7 per cento degli intervistati. Nel complesso, stando ai dati del sondaggio, gli italiani sono piuttosto critici sull’azione di governo in politica estera (anche se meno di quanto non lo fossero rispetto al precedente governo Gentiloni) e sono convinti che il nostro Paese non sia sufficientemente protagonista sulla scena internazionale. Interessante tuttavia notare che a fronte di una generale sfiducia sul peso dell’Italia nel mondo, aumenta la consapevolezza, rispetto agli stessi dati registrati negli anni passati, dell’importanza nelle decisioni di politica estera per il sistema paese.

I temi su cui gli italiani si mostrano più critici sono, nell’ordine, la gestione dei rapporti con l’Unione Europea, la promozione del commercio internazionale dell’Italia, i rapporti con i Paesi del Mediterraneo e la gestione dei flussi migratori. Più positive le considerazioni riguardanti i rapporti con gli Stati Uniti e la lotta del terrorismo. Su uno dei temi più scottanti, la crisi libica, il 56% degli intervistati non è soddisfatto di come il governo la sta affrontando, ma il 46% ne apprezza invece gli interventi.
Anche quando si parla di politica estera però, gli italiani restano influenzati dalle dinamiche di politica interna. Chi ha votato per Lega e Cinquestelle è molto più positivo nei confronti delle azioni del governo Conte di quanto non lo siano gli elettori dei partiti di opposizione. «La maggioranza assoluta degli elettori dei partiti di centrosinistra e sinistra che siedono all’opposizione (75%) – si legge nel rapporto - ritiene che il governo Conte abbia contribuito ad isolare l’Italia in Europa». Ed è invece tra gli elettori di Lega e Cinquestelle che si registra il livello più alto di soddisfazione per la politica europea del governo: «Il 31% degli elettori del Movimento 5 Stelle ed il 30% degli elettori della Lega ritiene infatti che il governo attuale abbia permesso all’Italia di essere meno isolata in Europa rispetto al passato».
Se l’opinione degli italiani è inoltre generalmente critica nei confronti dell’amministrazione Trump – che insieme a Macron risulta tra i leader stranieri meno apprezzati – una grande polarizzazione si registra invece nei confronti di Mosca, dove una larga maggioranza degli elettori di centrosinistra considera fondate le paure sulle interferenze russe, mentre la maggioranza assoluta degli elettori di Lega e Cinquestelle le considera esagerate. E anche se la conoscenza degli italiani sull’annessione della Crimea risulta dall’indagine piuttosto scarsa, la popolarità del presidente russo Vladimir Putin è molto alta, in particolare tra gli elettori dei partiti di governo. Interessante notare che tra i cinquestelle la leader preferita è Theresa May (seguita da Putin), mentre per gli elettori del centrosinistra la palma va alla cancelliera tedesca Angela Merkel.

LA STAMPA - Paolo Mastrolilli: "Il regime tenuto in vita da soldati e 007 cubani"

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Paolo Mastrolilli

Washington dice che sono militari, schierati per tenere in piedi il regime chavista; L’Avana risponde che sono medici e personale civile, impegnati ad aiutare la popolazione. Nessuno però dubita che Cuba abbia un ruolo centrale in Venezuela, e il presidente Trump ha minacciato di imporre un embargo totale contro l’isola, se non smetterà le sue operazioni in difesa di Maduro.

Il rapporto tra i due Paesi risale almeno al 1994, quando Chavez venne invitato da Fidel Castro a visitare L’Avana e intervenire a una conferenza. Da allora in poi la relazione tra i due leader si era evoluta e rafforzata, sul piano personale e politico. Quando nel 1999 Chavez era diventato presidente, Castro lo aveva aiutato a consolidare il suo potere e sopravvivere ai tentativi di farlo cadere, in particolare durante il tentato colpo di Stato del 2002. Il regime di L’Avana aveva insegnato a quello di Caracas come assicurarsi la fedeltà delle forze armate, affidando a loro la gestione della maggior parte dell’economia, in modo che avessero un interesse personale e diretto a sostenere il governo. Anche sul piano della sicurezza interna i consigli di Castro erano stati fondamentali, e gli analisti ritengono che i «colectivos», cioè i gruppi di civili armati che puntellano il regime con le loro violenze, siano stati costruiti sul modello dei Cdr, ossia i comitati di quartiere che hanno l’incarico di difendere la rivoluzione sull’isola.
La collaborazione era stata suggellata anche sul piano economico, perché in cambio dell’aiuto militare e strategico, Chavez aveva inviato ingenti forniture petrolifere che erano state decisive per la sopravvivenza del governo cubano, durante il «periodo speciale» seguito al crollo dell’Urss. Secondo le stime di analisti come Jorge Pinon della University of Texas, dal 2003 al 2015 Caracas ha consegnato a L’Avana greggio per un totale di oltre 30 miliardi di dollari. Il picco è stato raggiunto con 113mila barili al giorno, durante il momento più favorevole all’industria estrattiva. Ora è sceso tra 40mila e 45mila barili al giorno, ma resta un sostegno fondamentale per il regime castrista, che per colmare la differenza si rivolge adesso ad altri mercati come quello russo e algerino.
Quando Chavez era stato colpito dal cancro, invece di farsi curare negli Stati Uniti o in Brasile, aveva scelto Cuba, per la fiducia che aveva nel sistema sanitario del Paese, ma anche per le garanzie di privacy che gli assicurava. Dopo la sua morte, il rapporto si è consolidato con il successore Maduro, che negli anni Ottanta aveva studiato nell’istituto del Partito comunista cubano incaricato di formare i futuri leader interni e internazionali. Anzi, la stretta relazione di Nicolas con L’Avana viene considerata una delle caratteristiche principali che hanno favorito la sua ascesa al potere.
Il consigliere per la sicurezza nazionale americana, John Bolton, ha detto che al momento in Venezuela ci sono circa 25mila militari e uomini degli apparati dell’intelligence cubani, che tengono in piedi il regime con le loro attività sul terreno e con i loro consigli. Quindi il presidente Trump ha minacciato «l’embargo totale» contro l’isola, se non metterà fine a questa collaborazione, considerata decisiva per la sopravvivenza del chavismo. Carlos Fernandez Cossio, direttore generale dell’ufficio incaricato di gestire i rapporti con gli Stati Uniti, ha smentito, dicendo che non ci sono soldati. Cossio ha difeso il diritto di Cuba di avere missioni internazionali, perché «anche gli Usa hanno oltre 800 mila uomini schierati all’estero in oltre 600 basi», ma ha aggiunto che gli inviati in Venezuela «sono tutti civili e il 94% svolge attività medica». L’ex consigliere del presidente Obama Ben Rhodes, che aveva negoziato la riapertura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi, ha criticato la linea scelta da Trump, ma ha confermato quanto meno la presenza di agenti dell’intelligence di L’Avana a Caracas. Secondo Washington, loro sono la chiave per la sopravvivenza di Maduro.

IL FOGLIO: "Nessun imperialismo in Venezuela"

Come al solito il veleno contro Trump non poteva mancare, scrivere che in America Latina soffia un vento anti Usa per colpa di Trump, può venire in mente a chi soffre di ostilità maniaca talmente forte da orientare l'intera linea del giornale. Tutti i media hanno riportato che Maduro aveva già la valigia pronta per la fuga, ma è stato dissuaso da Putin, sul quale il Foglio non apre bocca. Altro che Trump!


Pro e contro il dittatore Maduro

Ieri in Venezuela è stato il giorno della contromarcia – la marcia cupa del dittatore Nicolás Maduro, vestito di verde scuro militare e attorniato da centinaia di soldati, che hanno sfilato per le strade di Caracas con le armi spianate, per minacciare e al tempo stesso dimostrare la propria forza. Il significato della marcia era: l’“Operazione Libertà” del leader dell’opposizione Juan Guaidó non è riuscita. Guaidó voleva convincere l’eserci - to venezuelano, che tiene le chiavi del potere, a passare dalla sua parte. Ci ha provato, ha occupato una base militare, si è mostrato con qualche plotone amico. Ma il corpaccione dei militari sta ancora con la dittatura e, senza esercito, in Venezuela non si fa la rivoluzione. Ci sono molte teorie sul perché la rivolta non è riuscita. Ieri il Wall Street Journal ha scritto che per settimane c’erano state trattative tra l’opposizione e il regime, che si era parlato di un possibile accordo che prevedeva una buonuscita per Maduro, garanzie per i militari e una transizione pacifica, ma per qualche ragione l’accordo si è spezzato. Lo stallo rimane, il Venezuela soffre, e Maduro in televisione può annunciare che ancora una volta il “complotto imperialista” è stato sventato. Ecco, soffermiamoci su questo punto. Maduro, e Hugo Chávez prima di lui, amano parlare di imperialismo che vuole distruggere il Venezuela, dove imperialismo sta per: gli americani. Sono dichiarazioni che fanno leva su un fortissimo sentimento anti yankee che permane in tutta l’America latina dopo i decenni della Guerra fredda, e che l’elezione di Donald Trump ha riportato in auge più che mai. Da gennaio, Trump si è espresso più volte a favore di un regime change in Venezuela, e questo ha portato i teorici del complotto al parossismo. Ma la rivoluzione venezuelana non è una manovra militaristica di Washington. E’ una rivolta contro un regime corrotto, per la democrazia e per il pane. Stare con un dittatore che ha affamato il suo popolo soltanto per dare addosso all’imperialista Trump sarebbe da pazzi.

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