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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
11.04.2019 Elezioni Israele 2019: le opinioni degli intellettuali contro Benjamin Netanyahu
Aldo Cazzullo intervista Abraham B. Yehoshua, Francesca Caferri intervista David Grossman

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Francesca Caferri
Titolo: «Grossman: 'Ormai Bibi è nella testa del Paese La democrazia è sparita' - 'Bibi, genio manipolatore Non è Trump, è Berlusconi'»
Riprendiamo oggi, 10/04/2019, dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, con il titolo 'Bibi, genio manipolatore Non è Trump, è Berlusconi', l'intervista di Aldo Cazzullo a Abraham B. Yehoshua; da REPUBBLICA, a pag. 7, l'intervista di Francesca Caferri a David Grossman "Grossman: 'Ormai Bibi è nella testa del Paese La democrazia è sparita' ".

Israele è una democrazia piena in cui tutte le opinioni hanno diritto di cittadinanza, incluse quelle critiche (come quelle di AB Yehoshua) o molto critiche (come quelle di Grossman). Grossman esprime dubbi sulla natura democratica di Israele oggi e ne attribuisce la responsabilità a Benjamin Netanyahu: ma il fatto stesso di potersi esprimere come meglio crede è un chiaro indizio della natura democratica di Israele. Il ragionamento di Grossman è perciò contraddittorio.

Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Aldo Cazzullo: 'Bibi, genio manipolatore Non è Trump, è Berlusconi'

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Aldo Cazzullo

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Abraham B. Yehoshua

Abraham Yehoshua, 82 anni, coscienza critica di Israele, scrittore amato in tutto il mondo, vive al ventunesimo piano di una torre che domina Tel Aviv. «Così posso tenere sott’occhio tutti i miei sette nipoti. La più grande, Tamar, è già nell’esercito. Sono fiero di lei».

Yehoshua, lei è considerato un pacifista. «Io sono un ex parà. Ho fatto la guerra del Sinai nel 1956. Comandava Moshe Dayan».

L’ha conosciuto? «Diventammo amici. Era lui il vero premier, Golda Meir lo subiva. Impose la pace con l’Egitto. Era un uomo con una formidabile carica erotica. Animato dalla libido. Grande guerriero, con un lato romantico: cultore della letteratura, dell’archeologia. Le donne lo adoravano. La benda nera sull’occhio poi le faceva impazzire. Mai visto un amatore così».

Anche lei è considerato un fascinoso. «All’università di Gerusalemme incontrai la mia Rivka e dopo sei mesi la sposai. Lei aveva 19 anni, io 23. Siamo stati insieme per 56 anni, fino alla sua morte. La amo ancora, tantissimo».

Perché ha vinto di nuovo Netanyahu? «A me non piace. Però non posso negare che abbia grandi qualità».

Ad esempio? «È intelligentissimo. Un genio della comunicazione. E purtroppo anche uno straordinario manipolatore. Ha un figlio di 26 anni che passa le giornate sui social a seminare zizzania».

E poi? «È un leader internazionale. Noi siamo un piccolo Paese da otto milioni di abitanti, e Netanyahu è sempre in tv a conversare in russo con Putin, abbracciare Trump, stringere la mano a Modi, ridere con Xi-Jinping. Sono cose che fanno un certo effetto. E poi l’economia va bene».

Perché allora Netanyahu non le piace? «Non gli perdonerò mai quello che ha fatto agli arabi israeliani. Ha trasmesso l’idea che solo un ebreo può essere un vero israeliano; cosa che ai religiosi piace moltissimo. L’ha detto pure in questa campagna elettorale: “La sinistra tresca con gli arabi…”. Vagli a rispondere che “la sinistra” oggi in Israele è un partito guidato da tre ex capi dell’esercito».

Lei crede ancora nella pace? «No. Credo nella partnership: vivere insieme, sotto lo stesso tetto, sotto un unico cielo. Per decenni mi sono battuto, accanto al mio fraterno amico Amos Oz, per un’idea affascinante: due popoli, due Stati. Ora non ci credo più. Penso che saremo uno Stato solo, ma non uno Stato ebraico: aperto ai palestinesi, compresi quelli della Cisgiordania. Ho litigato con Amos per questo».

Vi vedevate spesso? «Ogni settimana a cena. Lui mi rimproverava: con la tua idea finiremo per avere un premier arabo!».

Pare la trama di «Sottomissione» di Houellebecq: i musulmani al potere. «Un giudice non ebreo ha condannato un ex capo di Stato a sette anni di carcere. Abbiamo generali drusi. Ci sono ospedali diretti da arabi. E l’ospedale è la chiave dell’integrazione».

Perché? «Perché in ospedale siamo nudi. È il luogo della sofferenza e dell’intimità. Già oggi medici arabi curano malati ebrei, e medici ebrei curano malati arabi».

Sì, ma in concreto Netanyahu cosa dovrebbe fare? Negoziare? «Negoziare non serve a niente. Dovrebbe concedere in modo unilaterale prima la residenza, poi la cittadinanza israeliana ai palestinesi dei Territori. Non ci sarà mai una pace con trattati, firme, bandiere. Ci può essere convivenza. Basta con l’apartheid. Dobbiamo mescolarci».

L’obiettivo appare lontanissimo. Perché? «Perché Israele ha il problema opposto al resto del mondo: un eccesso di memoria. Altrove ne avete poca. Noi ne abbiamo troppa. I palestinesi passano la vita a recriminare sulla Nakba, la catastrofe, la cacciata dalla loro terra. Sognano la Eawda, il ritorno. Custodiscono le chiavi della casa del bisnonno. Chiavi che non aprono più nessuna porta. Al posto della casa del bisnonno c’è un grattacielo o un negozio della Apple. Basta!».

E gli ebrei? «È tutto un amarcord. Le guerre. I kibbutz. Le baracche in cui furono stipati i coloni. E poi, ovviamente, la Shoah».

Nel suo ultimo romanzo, «Il tunnel», pubblicato in Italia da Einaudi, il protagonista perde la memoria e si tatua sul braccio i numeri dell’antifurto della macchina. Non è una dissacrazione? «Certo che lo è. Dobbiamo diminuire l’intensità della memoria. Che non significa dimenticare; significa guardare le cose che abbiamo intorno. Uscire dalla trappola dell’identità».

L’identità ebraica è molto forte. «Non esiste un’identità ebraica. Ne esistono molte. Gli askenaziti e i sefarditi, i religiosi e i laici, gli ortodossi e gli ultraortodossi…».

Lei è sefardita? «La famiglia di mia madre viene dal Marocco: Mogador, sulla costa. Quella di mio padre da Salonicco. Ma anche l’identità sefardita è frammentata in dodici tribù…».

Perché la sinistra, che governò Israele per i primi trent’anni della sua storia, non esiste più? «La sinistra è in crisi dappertutto, perché ha perso il popolo. È percepita come un’élite globale di artisti, scrittori, professori che si conoscono tra loro, si fidanzano, si invitano l’un l’altro a convegni dove esprimono giudizi sprezzanti sul resto dell’umanità».

È una percezione o una verità? «Un po’ è vero. In Israele la situazione è aggravata dal fatto che la sinistra non è riuscita a fare la pace. Anche a causa del suicidio dei palestinesi».

Suicidio? «Quando nel 1977 Sadat a sorpresa venne a Gerusalemme, chiese ad Arafat di accompagnarlo. Arafat rifiutò, e da allora ha perso tutte le occasioni. Ora i palestinesi sono drammaticamente isolati. Potevano far fiorire Gaza; ne hanno fatto un base di attacchi terroristici. Il mondo arabo non è mai stato così debole. Guerre civili. Dittature. Povertà. E gli arabi israeliani non votano. Avrebbero potuto sconfiggere Netanyahu. Sono il 24% della popolazione, ed eleggono il 4% dei parlamentari».

Netanyahu appare imbattibile. A chi assomiglia? «Non a Trump. Considero Trump un incidente della storia. Figlio dell’impazzimento di una notte. Netanyahu mi ricorda semmai Berlusconi».

Berlusconi aveva le tv. «Più ancora: Berlusconi, con i suoi limiti, sentiva il suo Paese. Adesso vi va peggio, con Salvini e i 5 Stelle».

Anche lei ha troppa memoria? Ricorda la fondazione di Israele? «Avevo undici anni e mezzo. Rimanemmo chiusi in casa per due mesi. Assediati. Gli inglesi combattevano accanto agli arabi, una loro bomba centrò la nostra casa, mio padre rimase ferito. Atrocità da entrambe le parti. Se ci avessero presi, nel migliore dei casi ci avrebbero tagliato la gola».

Come vinceste? «Eravamo meglio organizzati. E avevamo più fiducia in noi stessi. Ma ora basta con il passato».

Parliamo del futuro. «Quale futuro? Ho perso mia moglie, ho perso Amos. Non mi resta che morire anch’io».

Cosa c’è dopo? «Nulla. Per fortuna. La morte è molto importante. Un dono che facciamo ai nostri nipoti: lasciare loro spazio».

LA REPUBBLICA - Francesca Caferri : "Grossman: 'Ormai Bibi è nella testa del Paese La democrazia è sparita' "

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Francesca Caferri

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David Grossman

All’indomani del voto con cui Benjamin Netanyahu si è imposto ancora una volta al centro della scena politica, David Grossman è affranto. Come la parte del Paese a cui, da anni, insieme a un’intera generazione di intellettuali il grande scrittore israeliano dà voce. «Ci serve solo qualcuno con un po’ di coraggio, che dica alla gente che la pace si può fare ancora: ci giochiamo davvero tanto», ci aveva detto poche ore prima del voto. A urne chiuse la consapevolezza amara è quella di aver perso la sfida: e in maniera brutale.

Signor Grossman, con la vittoria in queste elezioni Netanyahu si appresta a diventare il primo ministro più longevo della storia di Israele. Dopo tanti anni, ha capito qual è il segreto del suo successo? «Bibi ha un potere sulla gente che è molto difficile spiegare in modo razionale. È un ottimo politico, ma il segreto non è quello: ha trovato il modo di rispondere alle paure più irrazionali e profonde dei sionisti. L’intensità della manipolazione che ha messo in atto sulla società israeliana negli ultimi anni è difficilmente spiegabile per chi non ha assistito al suo sviluppo: è entrato nella testa del Paese e tutta la vita del Paese oggi si svolge nella sua testa. E’ come se l’intero Israele fosse soggetto alle sue priorità, alle sue ansie, alla sua visione del mondo: e nessuna altra visione trova spazio nel dibattito. Abbiamo accettato che facesse lui le regole del gioco, senza troppa opposizione: ed ecco il risultato».

Non sembra sorpreso... «Non sono sorpreso infatti. Si sa che in Israele il blocco delle destre è più forte, anche solo dal punto di vista demografico. Ma Gantz è un uomo di centro-destra, nonostante abbiano tentato di etichettarlo come un estremista di sinistra: speravo che riuscisse ad attirare più voti da destra. Invece ha solo cancellato la sinistra, inglobando i suoi elettori».

Che cosa si aspetta ora? «Nulla di buono. Alle urne ha vinto l’idea che Israele è uno Stato solo per gli ebrei, ci saranno altre leggi che seguiranno quella sullo Stato-nazione approvata nei mesi scorsi e il Paese si adeguerà. La parola democrazia perderà di senso, per un motivo molto semplice. Non puoi definirti democratico e occupare le terre di un altro popolo per 52 anni consecutivi. L’Israele di Netanyahu lo fa, e non avrà problemi a continuare a farlo nel futuro».

Da dove può ripartire il Partito laburista e con lui la sinistra israeliana? «Una delle poche cose buone di queste elezioni è che è chiaro che deve esserci un partito unito per arabi e israeliani, in cui le parti siano pienamente uguali e che parli per entrambe. Martedì gli arabi hanno fatto un errore a non votare, perché hanno reso a Netanyahu la vita più facile. L’unica speranza che la sinistra ha di ripartire è non abbandonare il 20% della popolazione del Paese che ha voglia di essere perfettamente integrata nella società: i cittadini arabi israeliani appunto. Invece sia il Labour che Meretz, come del resto Gantz, li hanno totalmente ignorati, come se non ci fossero, li hanno umiliati per anni: un errore costato carissimo a cui hanno tentato di rimediare solo nelle ultime ore, quando hanno capito cosa stava succedendo. Troppo tardi».

Crede che i palestinesi sarebbero d’accordo con la prospettiva di un partito unico? «Ci sono migliaia di persone che sono pronte a lavorare insieme. Ripartiamo da loro. Se fossi un palestinese oggi mi sentirei umiliato e spaventato».

Da qualcosa in particolare? «Da tutto. Netanyahu ha incoraggiato gli estremisti, li ha infiammati. E il Labour è stato a guardare. Quelli di destra oggi non dicono che Israele ha perso la sua anima, come io penso, ma che invece l’ha ritrovata. Perché può contare sull’appoggio internazionale per riprendersi quelli che considera territori storici: Gerusalemme, il Golan, domani la Cisgiordania. I piani del governo che verrà su questi temi saranno i più estremi a cui abbiamo assistito. E non solo su questo».

Su cos’altro ancora? «Sull’istruzione ad esempio. Si dice che il nuovo ministro potrebbe essere Bezalel Smotrich di Otzma Yediuth, un partito xenofobo e razzista che per anni è stato escluso dalla vita democratica e che ora ci entra grazie a un accordo voluto da Netanyahu. Per contrastare tutto questo dovremmo creare un sistema di scuole umanistico, alternativo: come le scuole religiose fondate in passato dallo Shas e che negli anni hanno prodotto una classe di persone che incarna l’ideologia di quel partito e lo vota alle urne. Facciamolo anche noi ma con un sistema scolastico umanistico, aperto, democratico».

Speranze per il futuro? «Una sola. I documenti che hanno portato alla messa in stato di accusa del primo ministro per corruzione saranno resi pubblici a breve. Spero che nella squadra di Netanyahu e anche nel suo partito, il Likud, ci siano persone oneste che si rifiuteranno di avere a che fare con una persona che è a giudizio perché accusata di essere corrotta e criminale. A quel punto il Likud, che non ama Netanyahu in modo unanime, potrebbe essere costretto a cambiare leader».

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