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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/04/2019, a pag.9 con il titolo "Annessione della Cisgiordania. Netanyahu: gli Usa con noi" la cronaca di Giordano Stabile; da REPUBBLICA, a pag. 17, l'articolo di Davide Lerner "Tra gli israeliani al confine con Gaza: 'Vogliamo la pace' ". Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Annessione della Cisgiordania. Netanyahu: gli Usa con noi"
È l’ultimo colpo di scena. Benjamin Netanyahu ha lanciato l’offensiva finale in Cisgiordania, con la promessa di annettere parte dei Territori. È il suo terreno preferito perché come per il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, e il riconoscimento della sovranità sul Golan da parte di Donald Trump, gli avversari faticano a controbattere. Ieri ci ha provato Benny Gantz, leader del partito Kahol Lavan, «Bianco e Blu» come la bandiera israeliana. Ha accusato il premier di «essere irresponsabile» per aver preso una «decisione strategica e storica durante la campagna elettorale». E poi, si è chiesto, perché «per 13 anni Netanyahu avrebbe potuto farlo e non l’ha fatto?». LA REPUBBLICA - Davide Lerner: "Tra gli israeliani al confine con Gaza: 'Vogliamo la pace' "
Davide Lerner sceglie chi intervistare in modo da comporre un quadro falso dell'opinione pubblica in Israele alla vigilia del voto. Lerner infatti si rivolge unicamente a chi ha opinioni di sinistra, in alcuni casi anche estrema. Le città del sud di Israele, che più di tutte subiscono da quindici anni gli attacchi dei terroristi di Hamas, esprimono di solito un voto che premia largamente il Likud di Benjamin Netanyahu. Lerner, di conseguenza, si rivolge soltanto agli abitantidi alcuni kibbutzim. Il risultato è un servizio scorretto e fazioso. Ecco il pezzo:
«Basta Netanyahu. Chi vive la guerra sulla propria pelle ogni giorno vuole la pace». La risposta della 42enne Hila, residente del moshav (comunità agricola) di Netiv HaAsara, a ridosso di Gaza, può suonare in prima battuta come un luogo comune. Eppure è la spiegazione più efficace per chiunque si chieda, percorrendo il perimetro della Striscia di Gaza da Nord a Sud dalla parte israeliana, come sia possibile che comunità sottoposte a continui attacchi palestinesi siano al contempo una delle compagini in assoluto più progressiste dell’elettorato israeliano. Nonostante i razzi, i colpi di mortaio che arrivano troppo in fretta perché si attivi l’allarme, gli aquiloni infuocati, i palloncini esplosivi, e perfino, giura Hila, i preservativi gonfiati che atterrando fanno il botto. Kfar Aza, Mefalsim, Nahal Oz, Nir Am, Gvulot: se le elezioni si tenessero soltanto nei moshav e nei kibbutz di frontiera, il Labour e Meretz otterrebbero maggioranze bulgare e Israele avrebbe un governo di estrema sinistra. Invece domani è probabile che accada l’esatto contrario: se l’ex generale centrista di "Blu e Bianco" Benny Gantz sembra tenere testa al Likud del primo ministro Netanyahu nei sondaggi (circa 30 seggi ciascuno), fatto il computo delle possibili alleanze (serve una maggioranza di 61 deputati) sembra inevitabile che il prossimo governo di coalizione sia di nuovo targato Bibi. «Netanyahu e tutti i suoi alleati estremisti, dalla Nuova Destra di Naftali Bennett all’Unione dei partiti di destra, non capiscono che la soluzione alla violenza di Gaza non può essere solo militare», dice Alon Meir, 28 anni di Nahal Oz, che voterà Meretz. «Bisogna permettere alla gente della Striscia di venire a lavorare da noi, sostenere la loro economia invece di imporre un blocco. Non sono mica tutti di Hamas». Nir, 49 anni, vive con la moglie Liat nel kibbutz di Mefalsim a ridosso di Beit Hanoun nella Striscia di Gaza. Gli attrezzi agricoli sono abbandonati in terra ad ogni angolo della casa, fra le pile di pentole, libri, vestiti. «Questo kibbutz è stato fondato nel 1949, e io sono nato qui», racconta Nir. «Da bambino andavo tutti i giorni a fare la spesa al mercato di Gaza city, andavamo sulle spiagge della Striscia che sono più belle del litorale israeliano. Dopo la prima e la seconda Intifada hanno diviso le strade israeliane da quelle palestinesi, come sotto l’apartheid. Allora ho smesso di andarci. Dopo il ritiro del 2005 le cose sono peggiorate. Abbiamo bisogno di una soluzione politica». La moglie Liat racconta che da un mese a questa parte la cosa peggiore sono le manifestazioni notturne, l’ultima trovata dei militanti di Hamas. «Cominciano ogni sera verso le otto e durano fino alle undici», racconta Liat. «Mettono la musica a palla a sette-ottocento metri da qui, portano con sé esplosivi, petardi, urlano negli altoparlanti. I bambini si spaventano, il cane impazzisce. Il governo si preoccupa solo quando arriva un razzo su Tel Aviv, come se fossimo cittadini di serie B». Durante le proteste del venerdì, quando i manifestanti palestinesi tentano di infrangere la barriera di separazione e l’esercito israeliano spara, capita di vedere soldati israeliani sdraiati nei campi di Nir, pronti ad intervenire in caso di sconfinamenti da Gaza. Vicino al memoriale "Black Arrow," dedicato ad un’operazione israeliana degli anni 50, c’è poi una torretta militare da cui si vedono benissimo le manifestazioni. Qui scoppiano litigate furibonde fra i locali e gli avventori delle città israeliane di qualche chilometro verso l’interno, insediamenti d’immigrazione sefardita roccaforti di Bibi. «Bisognerebbe farli fuori tutti, viva Baruch Goldstein», urlava un ragazzo arrivato da Sderot lo scorso venerdì con una birra in mano, citando il nome di un terrorista ebreo. «È questa la nostra gente, e vinceranno ancora», ha commentato sconsolata Liat. Per inviare la propria opinione, telefonare: lettere@lastampa.it rubrica.lettere@repubblica.it |
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