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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Manifesto - L'Osservatore Romano Rassegna Stampa
30.03.2019 Manifesto & Osservatore Romano disinformatori gemelli
Michele Giorgio e una breve della S.S. (Santa Sede) demonizzano lo Stato ebraico e ignorano il terrorismo di Hamas

Testata:Il Manifesto - L'Osservatore Romano
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Un anno dopo, Palestina sempre in 'Marcia' - La tragedia dei bambini di Gaza»
Riprendiamo dal MANIFESTO, oggi 30/03/2019, a pag. 9, con il titolo "Un anno dopo, Palestina sempre in 'Marcia' ", il commento di Michele Giorgio; dall' OSSERVATORE ROMANO, a pag. 3, la breve "La tragedia dei bambini di Gaza".

La disinformazione contro Israele dei quotidiani comunista e cattolico va a braccetto. Entrambi gli articoli sono di demonizzazione dello Stato ebraico. Il Manifesto, con il solito Michele Giorgio, esalta la "marcia" dei "palestinesi" (con questo nome generico chiama i terroristi di Hamas, mai definiti come tali) e continua: "Per l'anniversario di oggi Israele prepara i cecchini, i palestinesi gli ospedali". Non è da meno OR,il quotidiano ufficiale della S.S.(Santa Sede) che inizia così l'articolo: "Sono almeno 49 i bambini uccisi al confine tra Gaza e Israele a un anno dall'inizio delle proteste per la marcia del ritorno, organizzata da Hamas". I morti tra i gazawi ci sono stati, nell'ultimo anno, ma i responsabili di queste uccisioni sono solo ed esclusivamente Hamas. Gran parte delle "vittime", inoltre, è proprio composta dai terroristi, ma Manifesto e OR non fanno distinzione per meglio attaccare Israele, descritto come crudele e cinico aggressore. Due pezzi ignobili che vanno a braccetto.

Ecco gli articoli:

IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "Un anno dopo, Palestina sempre in 'Marcia' "

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Michele Giorgio

La Striscia di Gaza si prepara a vivere oggi una delle sue giornate più importanti, si teme tra le più drammatiche, dalla fine dell'offensiva militare israeliana Margine Protettivo quasi cinque anni fa. È il 43esimo anniversario del «Giorno della Terra» che ricorda le sei vittime palestinesi in Galilea durante le proteste contro la confisca delle terre arabe. Ma per i due milioni e passa di palestinesi che vivono in questa lingua di terra più di ogni altra cosa è il primo anniversario della «Grande Marcia del Ritorno», la protesta popolare contro il blocco israeliano di Gaza.

DECINE DI MIGLIAIA di palestinesi, qualcuno azzarda 100mila, oggi raggiungeranno i cinque accampamenti di tende allestiti nella fascia orientale di Gaza, ad alcune centinaia di metri dalle barriere di demarcazione con Israele, per affermare che gli oltre 250 uccisi e le migliaia di feriti (dozzine hanno subito amputazioni) dal fuoco dei tiratori scelti dell'esercito israeliano durante le manifestazioni settimanali da un anno a questa parte, non hanno affievolito il desiderio di spezzare la morsa che strangola la Striscia da oltre 12 anni e di vivere una vita degna di questo nome. Un nuovo bagno di sangue è possibile. Anzi probabile, prevedono molti considerando lo schieramento di forze militari che Israele ha messo in piedi negli ultimi giorni a ridosso di Gaza. Nei cinque accampamenti sono stati allestiti ospedali da campo. Medici e paramedici si preparano a ricevere negli ospedali un numero eccezionalmente alto di feriti.

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Le violenze volute da Hamas al confine con Israele

COME MIRA la giornata lo decideranno i comandi militari israeliani e il risultato della mediazione egiziana per un accordo di cessate il fuoco di lunga durata tra Hamas e Israele (di cui si parla dall'anno scorso). È stato esplicito ieri Ismail Haniyeh, il capo del movimento islamico Hamas al potere a Gaza che ormai tiene nelle sue mani il volante della Marcia limitandone il carattere spontaneo che aveva avuto il 30 marzo di un anno fa e nei mesi successivi. Haniyeh ha spiegato che la situazione «è a un bivio». Se ci sarà un'intesa con Israele, le forze di sicurezza di Hamas terranno i dimostranti lontano — a 300 metri secondo le notizie circolate — dalle barriere di demarcazione. Il Jihad, l'altra organizzazione islamista, ha chiesto ai dimostranti «di salvaguardare la propria incolumità». Se le trattative falliranno, le proteste potrebbero essere lasciate libere. L'esercito israeliano è pronto a usare la forza contro chi si avvicinerà alle barriere.

IERI SI PARLAVA di una bozza di intesa tra le parti. Oltre all'aumento del numero di camion e merci che da Israele entrano a Gaza e all'estensione della zona di pesca a 12 miglia, prevede — secondo le anticipazioni circolate — l'aumento delle fornitore elettriche a Gaza, l'allentamento delle restrizioni israeliane all'import e l'export delle merci palestinesi e la ripresa dei trasferimenti di fondi (del Qatar) verso la Striscia. In cambio Hamas dovrebbe fermare il lancio di razzi e tenere lontano dalle linee con Israele le future manifestazioni della Marcia. Però non è stata finalizzata. Colleghi palestinesi ci riferivano del pessimismo espresso da un dirigente di Hamas, Ghazi Hamad. Il movimento islamico — ha spiegato Hamad — vuole un'intesa nero su bianco, con impegni ben definiti per entrambe le parti durante la tregua. Israele non va oltre le promesse verbali, alternandole a minacce di guerra in caso di mancato accordo.

IL PREMIER Netanyahu, nel pieno della campagna per le elezioni del 9 aprile, non ha alcuna intenzione di mostrarsi «dialogante» con Hamas. Sullo sfondo c'è la frustrazione dei giovani palestinesi con meno di venti anni che a Gaza sono la metà della popolazione. Maher Abu Samadana, di Rafah ma studente a Gaza city, non segue l'andamento della mediazione egiziana. Non ha mai avuto un lavoro e non pensa che riuscirà ad averne uno vero nei prossimi anni. Si sente chiuso in gabbia.

«NON HO NULLA da perdere - ci spiega rappresentando tanti altri ragazzi di Gaza - Per me la Marcia è l'unica possibilità di svolta verso la libertà. Se non spezzeremo l'assedio non avremo mai una vita diversa». Maher oggi sarà all'accampamento Al Malaka assieme ai suoi amici. «Non ho paura di morire» afferma. Alla manifestazione non parteciperà Ali Abu Sheikh, 24 anni, del gruppo «We are not numbers» che racconta sui social la condizione difficile ma anche le capacità dei civili di Gaza, oltre le notizie diffuse dai media.

«ERO ENTUSIASTA della Marcia del Ritorno - ci spiega-Mi affascinava il progetto, amavo la sua dimensione popolare. Negli accampamenti prima delle manifestazioni si faceva cultura, si giocava con i bambini, si discuteva di tutto. Era importante». Ora, aggiunge, «la Marcia è segnata dalle manovre politiche di questa odi quella parte, mentre Israele non cessa l'occupazione e tiene la nostra terra stretta nell'assedio».

L'OSSERVATORE ROMANO: "La tragedia dei bambini di Gaza"

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Sono almeno 49 i bambini uccisi al confine tra Gaza e Israele a un anno dall'inizio delle proteste per la marcia del ritorno, organizzata da Hamas. Lo ha reso noto la Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite. Drammatici numeri che l'organizzazione umanitaria Save the Children ha evidenziato ieri per ribadire a tutte le parti coinvolte di agire immediatamente per affrontare le cause alla radice del conflitto e garantire la necessaria protezione a tutti i bambini, in uno scenario caratterizzato dalla recente escalation di violenze nell'area. Secondo quanto riportato dalla Commissione d'inchiesta dell'Onu, i bambini sono stati colpiti dai soldati israeliani con munizioni e proiettili di gomma e hanno subito gravi conseguenze in seguito all'inalazione di gas lacrimogeni lanciati lungo la barriera. E tra coloro che sono rimasti feriti, in tanti hanno subito lesioni molto gravi e indelebili (amputazioni, perdita della vista e lesioni alla testa), non potendo accedere a cure mediche adeguate di cui avevano urgente bisogno. La richiesta di assistenza medica specialistica, infatti, ha superato di gran lunga le capacità dell'intero sistema sanitario di Gaza, ormai paralizzato da anni a causa del blocco. Secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, nel corso dell'ultimo anno circa l'8o per cento dei bambini feriti durante le proteste, che hanno chiesto di potere lasciare Gaza per ricevere cure mediche di emergenza in Israele, si sono visti negare o ritardare i loro permessi. Stamane, intanto, le sirene d'allarme sono tornate a risuonare nel sud di Israele, vicino alla Striscia di Gaza. Lo riferisce l'esercito israeliano, aggiungendo che «decine di migliaia di israeliani sono corsi verso i rifugi». La tensione rimane molto alta, dopo che nei giorni scorsi diversi razzi sono stati lanciati da Gaza verso Israele, di cui uno ha centrato una casa a nord di Tel Aviv. A riguardo, il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha ribadito che l'esercito è pronto ad intensificare la già vasta operazione militare attorno a Gaza. «Tutti i cittadini di Israele — ha dichiarato il premier al termine di una riunione con i capi militari della zona — sanno che, se occorre, questa nuova campagna la faremo con forza e sicurezza, dopo che tutte le altre possibilità saranno esaurite». E nel difficile tentativo di evitare nuove violenze tra Israele e Hamas, una delegazione egiziana si è recata nella regione per incontrare fazioni palestinesi e rappresentanti israeliani. Della delegazione fanno parte anche ufficiali dell'intelligence del Cairo.

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