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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa-La Repubblica Rassegna Stampa
24.03.2019 Trump assolto dal suo accusatore: due quotidiani a confronto, Repubblica e Stampa
Rep senza più nessuna credibilità, Stampa affidabile

Testata:La Stampa-La Repubblica
Autore: Francesco Semprini-Anna Lombardi
Titolo: «Russiagate, per Trump niente incriminazione.La rabbia dei democratici-La parola ora passa agli elettori.Moralmente ne esce a pezzi»

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Trump e Mueller, l'ex accusatore del Russiagate

Riprendiamo oggi, 24/03/2019, due servizi esemplari per capire chi informa e chi disinforma, nel primo caso la STAMPA, a pag.8 con il servizio di Francesco Semprini e la corretta titolazione. Nel secondo caso la REPUBBLICA, a pag.15, con l'intervista di Anna Lombardi a Alan Dershowitz. I nostri commenti introducono i due articoli.

La Stampa-Francesco Semprini: "Russiagate, per Trump niente incriminazione.La rabbia dei democratici"

Quasi tutti i media  odiano Trump, fin dalla sua campagna elettorale lo "scandalo del Russiagate" è stato usato contro di lui per delegittimarne l'immagine. Bene, adesso il super inquirente Mueller ci viene a dire che 'mancano le prove'. Come minimo le scuse sarebbero d'obbligo, invece no, tranne che sulla STAMPA che riassume già nella titolazione come sono andate cose.

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Francesco Semprini

Nessuna nuova incriminazione, neppure per il presidente Donald Trump che, a questo punto, vedrebbe venire meno l’ipotesi di impeachment, ovvero di messa in stato di accusa nei suoi confronti. È questo l’elemento principale che emerge - secondo quanto riferito da fonti del dipartimento di Giustizia - al termine dell’inchiesta Russiagate, il cui fascicolo è stato consegnato dal procuratore speciale Robert Mueller al ministro della Giustizia William Barr. Il quale potrebbe già oggi comunicare al Congresso gli esiti principali dell’inchiesta. In realtà è a discrezione del titolare del dicastero decidere quanti e quali elementi dell’inchiesta sulle presunte interferenze di Mosca nelle elezioni presidenziali del 2016 trasmettere al Congresso. Pressioni dei democratici I democratici sono già sul piede di guerra: chiedono che il rapporto sia reso pubblico nella sua interezza. Non farlo, spiegano gli osservatori, significherebbe tradire la fiducia degli americani, e aprire quello che potrebbe essere lo scontro finale con la Casa Bianca di Donald Trump. Il presidente della commissione di intelligence della Camera, il democratico Adam Schiff, non esclude una convocazione dello stesso procuratore speciale Mueller per ottenere un quadro più chiaro sui contenuti del suo rapporto sul Russiagate. «Se necessario chiameremo Mueller e altri davanti alla commissione» mette in evidenza Schiff, ipotizzando anche un’audizione del ministro della Giustizia William Barr. Tutti i candidati democratici alle primarie del 2020 sono compatti nel chiedere l’immediata pubblicazione del rapporto. Le opzioni per Trump Sono tre le strade percorribili per il presidente. Chiedere in via confidenziale al ministro della Giustizia William Barr cosa c’è nel rapporto: in questo caso però rischierebbe di voler apparire come censore del segretario. Trump potrebbe appellarsi al privilegio esecutivo con il quale si blocca la pubblicazione di alcune informazioni private. Anche questa possibilità però comporta dei rischi perché i democratici, che già accusano Trump di ostruzione alla giustizia, potrebbero sollevare dubbi sul privilegio esecutivo in tribunale. La Casa Bianca potrebbe infine opporsi ai mandati mettendo in evidenza che il rapporto è un documento interno del dipartimento di Giustizia che include informazioni su individui che non sono stati incriminati e il cui obiettivo non era quello di essere reso pubblico. Anche questo, però, esporrebbe l’amministrazione a critiche. I rischi non sono finiti La chiusura dell’indagine segna quanto meno una prima vittoria per Trump: l’essere riuscito a evitare di essere sentito da Mueller. E in seconda istanza, se confermate le anticipazioni dei giorni scorsi, il mancato impeachment, ma solo per questa inchiesta. Il presidente, che segue la vicenda in rigoroso silenzio dalla sua residenza di Mar-a-lago in Florida , è infatti interessato da altre indagini. Al di là del Russiagate, le autorità di New York stanno indagando sulla Trump Organization e sulla campagna di Trump del 2016 per accertare eventuali violazioni delle legge sui finanziamenti elettorali. Il procuratore generale di New York indaga poi sulla fondazione di Trump. A queste indagini si affiancano quelle avviate dai democratici in Congresso, dalla dichiarazione delle tasse di Trump alle pratiche della Casa Bianca per la concessione dei nullaosta di sicurezza, dai legami fra Deutsche Bank e il presidente ai pagamenti alla proprietà di Trump da parte di governi stranieri. La prudenza di Giuliani A parlare per Trump è stato il suo legale di punta Rudolph Giuliani, il quale ha espresso «cauto ottimismo». «Siamo -ha detto - in un’attesa vigile». Qualunque cosa deciderà domani Barr, sembra comunque scritto nella storia che la fine del Russiagate aprirà una nuova fase, forse più incerta e caotica. Con un inasprimento del confronto tra compagini politiche, tra Trump e i suoi detrattori, destinato a travolgere l’America tutta almeno sino alla notte elettorale del 2020.

La Repubblica- Anna Lombardi: "La parola ora passa agli elettori. Moralmente ne esce a pezzi"

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Non potendo smentire il super-inquirente che assolve in pieno Trump, cerca di lasciare qualche dubbio titolando il pezzo di Federico Rampini (che non riprendiamo) "Trump resiste al Russiagate ma è assedio alla Casa Bianca".
Ci auguriamo che i lettori del quotidiano debenedettiano siano ancora in grado di ragionare e si indignino per il totale capovolgimento della realtà.
Riprendiamo, a dimostrazione della mancanza di attendibilità di Repubblica,
l'intervista a piè di pagina di Anna Lombardi a Alan Dershowitz. Insoddisfatta dalle risposte, lo provoca con domande che l'intervistato, da onesto liberale rispedisce al mittente. Che fa Repubblica? Capovolge le dichiarazioni di Dershowitz nella titolazione: "La parola ora passa agli elettori. Moralmente ne esce a pezzi"!  E' la credibilità di Repubblica a uscirne a pezzi.
Unico merito è l'aver intervistato Alan Dershowitz, non solo famoso penalista, ma, soprattutto una mente libera e indipendente che in Italia non ha mai goduto della minima attenzione. Se Repubblica l'ha intervistato forse non sapeva bene con chi aveva a che fare.

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Alan Dershowitz

"Sono convinto che il rapporto Mueller dipingerà Donald Trump in maniera moralmente terribile. Come d’altronde già fatto da Michael Cohen, l’ex avvocato del presidente, durante la sua audizione al Congresso un mese fa. Ma essere una persona immorale è diverso dall’essere un criminale. Magari molta gente non voterà più per lui. Ma certo non si potranno prendere nei suoi confronti decisioni gravi come l’impeachment".
Alan Dershowitz, 80 anni, professore emerito di Harvard, è il celebre penalista che salvò dal carcere il miliardario Claus Von Bulow accusato di aver avvelenato la moglie e il campione O.J. Simpson a processo per uxoricidio. Lo stesso che fece annullare l’ordine di espulsione di John Lennon dagli Stati Uniti e ottenne per Mia Farrow la custodia dei figli avuti con Woody Allen. Considerato un liberal, ha di recente criticato spesso l’inchiesta sul Russiagate .
Mueller ha consegnato il suo rapporto. Che succederà ora?
«Spero che i democratici non si comportino come i repubblicani al tempo del maccartismo. Cioè non oltrepassino i limiti della decente richiesta di giustizia scatenando una nuova caccia alle streghe come negli anni 50 contro i comunisti». Pensa cioè all’ipotesi di impeachment?
«Senza prove certe, in mancanza di una “pistola fumante” sarebbe un boomerang. Come quello dei repubblicani quando cercarono di impicciare Bill Clinton. Servirebbe semmai una commissione bipartisan di esperti».
Per fare cosa, scusi?
«Su questa faccenda qui in America nessuno è neutrale. Siamo tutti troppo politicamente coinvolti, tutti partigiani. E la verità ne soffre. Una commissione che affronti l’operato di Trump senza puntare preventivamente il dito contro nessuno, mettendo insieme tutte le informazioni per poi renderle pubbliche,darebbe alla gente uno strumento per poter scegliere nel 2020 in maniera più obiettiva»
Sta dicendo che non si fida del lavoro del procuratore speciale?
«No che non mi fido: come accusatore era portato per definizione a guardare solo un lato della storia, cercando prove di colpevolezza, mai di innocenza. E guardi che non sono né un sostenitore di Trump, né uno dei suoi avvocati. Direi lo stesso per Hillary Clinton»
Sembra però che per Trump le cose si mettano bene: non è stata chiesta nessuna ulteriore incriminazione...
«Questo non vuol adire che il presidente e i suoi sono salvi. Altri tribunali stanno lavorando sui diversi filoni d’inchiesta emersi nell’ambito delle indagini. Il Congresso continuerà a investigare. Non finisce certo così»
Ma se come sembra nel rapporto non ci sono prove contro di lui, cosa deve temere il Presidente?
«L’indagine ha già svelato reati legati ai suoi affari economici. Illeciti compiuti prima che venisse eletto e per i quali non può essere incriminato finché resta alla Casa Bianca, protetto com’è dall’immunità presidenziale. Ma di quei reati dovrà rispondere alla fine del suo mandato. Personalmente non ho nessun motivo per credere che Trump si sia effettivamente macchiato di quei delitti. Ma prima o poi dovrà dimostrarlo in tribunale».

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