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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
11.03.2019 Dossier Manlio Di Stefano: l'odio verso Israele ci allontana anche dall'America
Intervista di Francesca Paci, commento di Giulio Meotti

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Francesca Paci - Giulio Meotti
Titolo: «'Sul memorandum con Pechino il Carroccio non conosce le carte' - Intifada a 5 Stelle»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/03/2019, a pag. 6, con il titolo 'Sul memorandum con Pechino il Carroccio non conosce le carte', l'intervista di Francesca Paci a Manlio Di Stefano; dal FOGLIO del 28/02/2017, con il titolo "Intifada a 5 Stelle", il commento di Giulio Meotti.

Manlio Di Stefano è considerato da molti l’esperto di politica estera del M5S. Il deputato palermitano è infatti il principale organizzatore di viaggi e missioni all’estero dei portavoce pentastellati. In virtù di questo ruolo Di Stefano si diletta spesso a spiegarci cose che nessuno ci dirà mai. Ad esempio che in Venezuela non si vive poi così male e che Assad non è un dittatore, perché dovranno deciderlo i siriani. Nell'intervista di oggi Di Stefano apre alla Cina - un altro Paese dittatoriale, per questo evidentemente gli piace tanto - e allontana l'Italia dall'alleanza atlantica con gli Stati Uniti. Si leggano le sue arroganti dichiarazioni nel pezzo di Francesca Paci sulla STAMPA.

E' stata quasi ignorata dai nostri media la dichiarazione di Massimo D'Alema sulla bontà di un probabile accordo con la Cina in opposizione agli Usa. Lo segnaliamo noi, anche se i gusti politici del nostro sono arcinoti.

Di Stefano è da sempre un fanatico odiatore di Israele. L’ultima trovata è quella contro Israele, che lasciano capire come le opinioni del deputato 5 Stelle siano condizionate dall’antisemitismo. Qualche anno fa in occasione della sua visita in Israele Di Stefano si lamentò che non gli era stato concesso di entrare a Gaza definendolo “un brutto segnale”. In realtà Di Stefano non aveva i permessi necessari. Secondo Di Stefano, inoltre, quando l’Italia nella scorsa legislatura (governo Gentiloni) per la prima volta ha votato contro una risoluzione che demonizzava Israele all'Unesco, il nostro Paese “si è fatto complice dei danni che Israele sta provocando a monumenti antichi che l’UNESCO non riesce a tutelare per via dell’occupazione israeliana e si fa, infine, complice dell’occupazione stessa e del blocco di Gaza che l’UNESCO ha chiesto di eliminare”.
Di Stefano, come se non bastasse, ha scritto che “sionismo è sinonimo di razzismo”. Le sue uscite anti-Israeliane hanno messo in evidenza l’antisemitismo,  radicato in profondità, nel M5S.

Ecco gli articoli:

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Manlio Di Stefano

LA STAMPA - Francesca Paci: 'Sul memorandum con Pechino il Carroccio non conosce le carte'

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Francesca Paci

Sottosegretario Di Stefano, il 20 marzo il presidente cinese Xi verrà a Roma. Si sa già cosa prevede la visita?
«Ci sarà sicuramente un appuntamento con il premier e con il presidente della Repubblica, ci saranno incontri economici, dal momento che Xi verrà accompagnato da un team d’imprenditori, e ci sarà la firma del Memorandum».
Di Maio ripete che il Memorandum non è politico e serve solo all’export. Ma se non è vincolante, era necessario?
«Le partite sono due, separate: c’è il Memorandum e c’è il capitolo telco, ovvero ZTE e Huawei. Anche gli americani le leggono con lenti diverse. Il memorandum non è vincolante, significa che non ha il rango di accordo internazionale ma traccia una collaborazione sulle infrastrutture del Belt and Road. E giacché il 90% di questo accordo riguarda le infrastrutture, le nostre aziende, leader nel settore, possono avere grande voce in capitolo. Poi c’è l’export e la possibilità per l’Italia di accedere a mercati finora difficili. Altra cosa sono le telecomunicazioni, dove l’attenzione americana ed europea è alta perché ci sono in ballo le infrastrutture strategiche e i rischi sulla sicurezza sono inter-connessi, anche in ambito Nato. Questa partita è aperta e non c’entra niente con il Memorandum».
È vero che siamo più vulnerabili di altri Paesi Ue perché la rete italiana ha 4 centri di controllo anziché uno?
«Tutto sta a decidere se far partecipare partner stranieri e a che livello. Aprire a Huawei non significa dare ai cinesi l’accesso alle reti di comunicazione. Si può parlare di infrastruttura e non di gestione. Prendiamo Leonardo che lavora per l’esercito italiano ma è anche in join venture con gruppi francesi e americani: non è che quei gruppi controllino i nostri dispositivi».
Eppure Washington lascia intendere che il Memorandum sia una forma di riconoscimento politico di Pechino...
«Non è così. L’obiettivo cinese è la partita bilaterale economica con l’Italia, un Paese importante. Pechino ha imposto il suo Memorandum nel sud est asiatico ma l’Italia ha un peso tale che le consente di contrattare diversamente».
Trattando in modo bilaterale con Roma, la Cina non gioca a indebolire l’Europa?
«I cinesi sono pragmatici. Gli interessa espandere il loro mercato che cresce molto più di quanto possa vendere. Pechino non chiede relazioni politiche particolari, fa affari».
Gli Stati Uniti non sono contenti, e la Lega, in particolare il sottosegretario Picchi, ne condivide le preoccupazioni. I 5 Stelle con Pechino e il resto del governo con Trump?
«Forse Picchi non conosce le carte, d’altra parte non segue il MISE e l’internazionalizzazione delle imprese. Su questa materia hanno competenza Di Maio e Conte e si rapportano con gli Stati Uniti certamente più di Picchi. Gli Stati Uniti fanno bene a tenere alta l’attenzione ma quanto stiamo per firmare non ci sono rischi. Per le telecomunicazioni è diverso, ma lì siamo ancora studiando rischi e fattibilità. Non a caso per il 5G Di Maio ha parlato di dieci anni di lavoro. Il Memorandum è una grossa iniziativa di Di Maio e Conte. La Lega e soprattutto gli italiani non hanno nulla di cui preoccuparsi».

 

IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Intifada a 5 Stelle"

Per non dimenticare;

 

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Giulio Meotti

Roma. Due anni fa, i Cinque stelle, assieme ad altri “parlamentari per la pace”, invitarono a Montecitorio Omar Barghouti, il fondatore del movimento per il boicottaggio di Israele, che accusa lo stato ebraico di “nazismo”. Stavolta il palcoscenico doveva essere il Campidoglio, dove la giunta Raggi aveva concesso una sala al boicottaggio d’Israele. Relatrice Ann Wright, leader della Freedom Flotilla, l’imbarcazione che sotto la bandiera umanitaria aveva cercato di portare solidarietà a Hamas. Decisivo il ruolo dell’ex vicesindaco Daniele Frongia, attuale assessore allo Sport, legato alla filiale italiana di quell’International Solidarity Movement che promuove “campagne di resistenza non-violenta nei Territori palestinesi” e per il boicottaggio di Israele. Frongia e i Cinque stelle avevano già organizzato in Campidoglio eventi come quello sugli “Accordi di Oslo”, dove avevano invitato Diana Carminati, l’autrice di “Boicottare Israele”. Ieri alcune associazioni, come il Progetto Solomon, avevano chiesto al sindaco Raggi di impedire di “trasformare uno spazio comune in un palco da cui arringare sull’estromissione di aziende e docenti” israeliani. L’incontro è saltato, dopo che si è sfilato uno degli oratori, Stefano Fassina: “Favorire il dialogo”. “Il boicottaggio fa tornare alla mente la Germania nazista, dove ben prima dello sterminio si cominciò con il boicottare i negozi ebraici, in Italia abbiamo avuto effetti simili con le leggi razziali”, aveva denunciato Ruben Della Rocca, vicepresidente della Comunità ebraica di Roma, che aveva chiesto di “revocare la concessione di locali del Campidoglio a questa pura campagna d’odio verso Israele condotta con metodi antisemiti”. In Italia il Movimento Cinque stelle si è da tempo intestato la battaglia per l’emarginazione di Israele e la sua trasformazione agli occhi dell’opinione pubblica in uno strumento dell’imperialismo. E’ questo il messaggio martellante che arriva dai pentastellati: nell’identificazione fra Israele, l’occidente e il capitalismo, noi uomini bianchi, contaminati dalle colpe del colonialismo, dovremmo coltivare i nostri rimorsi, e tacere, facendo tacere Israele. Israele, piccolo stato-santuario che raccoglie profughi di tre continenti, diventa così il simbolo dell’aggressione e dell’usurpazione. Questa piattaforma ideologica associa il Cinque Stelle ad alcuni dei partiti più ostili a Gerusalemme in Europa, Podemos in Spagna, il Labour corbiniano, il Front National di Marine Le Pen in Francia e lo Sinn Féin irlandese. Nel mirino della giunta Raggi c’è ad esempio l’intesa tra Acea spa e Mekorot WC ltd, firmato il 2 dicembre del 2013 dall’allora primo ministro Enrico Letta e dall’omologo israeliano Benjamin Netanyahu. Già il 23 dicembre 2013, il gruppo capitolino del Movimento Cinque stelle, tra cui Virginia Raggi, disse che quell’accordo “contribuisce a legittimare le violazioni del diritto internazionale umanitario”. Durante la guerra a Gaza del 2014, mentre Israele veniva ogni giorno puntellato di lanci di missili, i Cinque Stelle si preoccupavano di chiedere in Parlamento di fermare le vendite di armi a Israele e di ritirare l’ambasciatore italiano a Tel Aviv. Le posizioni espresse dai Cinque stelle, disse allora l’ambasciata israeliana a Roma, “sono simili a quelle espresse da altri gruppi estremisti, che si oppongono al sionismo e negano al popolo ebraico il diritto di vivere nel proprio paese, a prescindere dal limite dei suoi confini nazionali”. A inveire contro Israele ci si sente sempre un po’ grillini. Così, due settimane fa, Manlio Di Stefano, deputato e “responsabile esteri” dei pentastellati, ha definito “un abominio” la legge israeliana che legalizzava le colonie in Cisgiordania: “Il messaggio che Israele rivolge al mondo è che continuerà con le sue politiche di occupazione, di insediamento e guerra”. Guerra? A inveire si finisce come il parlamentare pentastellato Paolo Bernini, che ha definito il sionismo “una piaga”, con dovute dissociazioni dello stesso Di Stefano. O come un altro parlamentare, Stefano Vignaroli: “Eccomi a Gerusalemme, città della pace dove l’uomo occupa, separa, violenta”. A inveire contro Israele, si sa, ci si sente sempre un po’ grillini. Così Alessandro Di Battista: “Quello che sta portando avanti Israele è un genocidio”, niente meno. E ancora: “Siamo davanti a un’invasione, a una segregazione che dura da molti anni, con il popolo palestinese chiuso come fosse in una prigione”. Poi arriva a spiegare che Israele è la causa dell’antisemitismo nel mondo: “Quello che bisogna semmai dire è che sono le azioni del governo israeliano la benzina gettata sul fuoco degli antisemiti nel mondo”. I Cinque stelle hanno proposto sette passi per strangolare letteralmente Israele, fra cui il blocco di tutte le commesse di armi italiane nei confronti di Israele, lo stop degli accordi commerciali con le aziende israeliane che operano nei Territori e l’obbligo per l’Ue di identificare l’origine di ogni prodotto importato da Gerusalemme. Nelle mozioni presentate in Parlamento, i deputati grillini nella loro affabulazione spesso mistificano la realtà. E’ successo a Gianluca Rizzo, che ha parlato in aula contro “la detenzione arbitraria di migliaia di palestinesi, compreso Marwan Barghouti, il ‘Mandela palestinese’”. Arbitraria fu la decisione di Barghouti di uccidere numerosi israeliani durante la Seconda Intifada, fatti per cui sta scontando cinque ergastoli. Benjamin Pogrund, il giornalista sudafricano che tenne incontri segreti con il leader sudafricano, ha sempre rifiutato qualsiasi confronto tra Mandela e Barghouti. “I bianchi non dovevano preoccuparsi di attentati suicidi e sparatorie”, ha scritto Pogrund. Ma i grillini forse la sanno più lunga. Anche quando si trova di fronte a una manifestazione palese e sfacciata di antisemitismo, il Cinque stelle nicchia. E’ il caso del sindaco di Livorno, Filippo Nogarin. Accadde quando militanti appesero uno striscione sull’ex carcere del quartiere Venezia, non lontano dal municipio: “Fermare il genocidio a Gaza, Israele vero terrorista”, recitava. Nogarin parlò di “una frase generica”, di uno “striscione che aiuta a sviluppare un ragionamento”, “perché è chiaro a tutti ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza”, bisogna allora “far salire l’attenzione su questa nuova ondata di morte e terrore”, così che “per me lo striscione può restare lì”. A Livorno sarebbe poi scoppiato il caso del consigliere pentastellato Marco Valiani, che ha parlato di “giudeomassoneria italica”, spingendo il presidente della comunità ebraica, Vittorio Mosseri, a scrivere al sindaco per chiedere “rispetto”. Nogarin avrebbe concesso anche le sale comunali alla “Giornata per la Palestina”. Giornate per la Palestina sì, Giornate della memoria meno. E’ successo a Milano, Consiglio di zona tre, dove la grillina Patrizia Bedori, poi candidata sindaco a Milano per i Cinque stelle, ha votato contro le celebrazioni per la Giornata della memoria. Bedori sarebbe anche stata favorevole alle iniziative deliberate, ma secondo la “democrazia diretta” del Movimento, si è dovuto fare “portavoce” incaricata di votare come la maggioranza dei sostenitori decide. E la rete si era schierata contro la Giornata della memoria. “Il Consiglio di Zona dovrebbe dare i soldi per iniziative a favore di altri popoli oppressi, come i palestinesi”, recitava la vox populi. Succede anche che l’Ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia organizzi corsi di formazione per giornalisti e che l’incontro “Gaza - testimonianze oltre il muro”, veda la partecipazione del grillino Manlio Di Stefano. E’ lo stesso Di Stefano che, un anno fa, ha parlato come oratore al “Festival della solidarietà palestinese” a Roma. E’ lo stesso Di Stefano che sul blog di Grillo è andato davvero alla “radice” del problema in medio oriente: “Comprendere a fondo il conflitto israelo-palestinese significa spingersi indietro fino al 1880 circa quando, nell’Europa centrale e orientale, si espandevano le radici del sionismo”. Sciocco pensare che il conflitto israelo-palestinese risalisse al rigetto del mondo arabo-islamico della presenza ebraica in medio oriente. Il problema sono “le radici del sionismo”. C’è un avvertimento nel blog di Beppe Grillo. “Non sono consentiti: messaggi con linguaggio offensivo o turpiloquio; messaggi con contenuto razzista o sessista”. Va detto che Grillo non è responsabile di quanto lettori e fan lasciano scritto sul blog e lui stesso ha chiesto alla magistratura di eliminare commenti disdicevoli (che spesso però continuano a campeggiare sul blog). Ma nel suo sito ricorrono messaggi tipo quello su Charlie Hebdo: “Quanta puzza di servizi e longa manu israeliana!...”. Campeggiano elogi alla “resistenza” contro Israele: “I Palestinesi, i Libanesi, i Siriani, gli Iraniani, gli Irakeni, gli Yemeniti,una volta, anche i pakistani, sono gli unici che combattono la prepotenza sanguinaria di Israele e le sue mire egemoniche in medio oriente. I sionisti, quindi, hanno come ostacolo per il compimento del loro disegno, proprio i musulmani perchè, ribadisco, sono gli unici che gli resistono”. A inveire contro Israele, si sa, ci si sente più grillini. E’ successo spesso anche a Grillo: “I bambini palestinesi studiano. Studiano da terroristi e Israele è il loro miglior maestro”; “la Palestina è sotto il tallone di Israele, alleata degli Stati Uniti”; “dietro Israele ci sono gli Stati Uniti o dietro gli Stati Uniti c’è Israele, chi è la causa e chi l’effetto?”. “Chi è che gridava ‘dopo di me non crescerà più l’erba’?”, disse Grillo in uno show del 2000. “Chi? Ve lo ricordate? Attila. Oggi gli israeliani cosa dicono, ‘dopo di noi non cresceranno più palestinesi’”. Il 24 Giugno 2012 in un’intervista concessa al quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, Grillo disse: “Tutto ciò che impariamo nei confronti di Israele e il mondo arabo-musulmano è filtrato dall’agenzia di traduzione Memri; diretto da un ex agente del Mossad, che manipola e distorce le parole degli arabi a favore della propaganda israeliana”. In questa sinistra affabulazione grillina succede anche che Luca Frusone, deputato pentastellato e membro della commissione Difesa, partecipi a un convegno che gli “Amici del Libano in Italia” hanno convocato per discutere di “medio oriente tra resistenza alla guerra imperialista, caos e migrazioni”. Al suo fianco un parlamentare di Hezbollah, Nawar el Salili, mentre Sameer el Abdaly, membro del governo yemenita, ha inviato una lettera per la lotta “contro il regime di apartheid israeliano”. La scorsa estate, il grillino Luigi di Maio e altri “compagni di viaggio” si sono visti rifiutare da Israele il permesso di entrare a Gaza. Un gesto notoriamente tabù nella politica europea, perché equivale a un riconoscimento de facto del regime islamista che governa la Striscia da quando Hamas fece un colpo di stato dieci anni fa. Ma a inveire contro Israele, si sa, ci si sente sempre un po’ grillini. E sui fucili palestinesi si vedono fiorire i garofani del progresso.

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