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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
25.02.2019 Venezuela: il regime dittatoriale di Maduro e le mosse di Juan Guaidò
Cronaca di Emiliano Guanella, commento superficiale del Washington Post ripreso dal Foglio

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Emiliano Guanella
Titolo: «Guaidó resta in Colombia e avverte Maduro: 'Tutte le opzioni per liberare il Venezuela' - A Caracas il collasso di un modello»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/02/2019, a pag.9 con il, titolo "Guaidó resta in Colombia e avverte Maduro: 'Tutte le opzioni per liberare il Venezuela' " la cronaca di Emiliano Guanella; dal FOGLIO, a pag. III, il pezzo "A Caracas il collasso di un modello" tratto dal Washington Post.

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Emiliano Guanella: "Guaidó resta in Colombia e avverte Maduro: 'Tutte le opzioni per liberare il Venezuela' "

Il catenaccio della Stampa riporta a proposito di Juan Guaidò: "Il leader dell'opposizione si affida agli alleati". Consigliamo a Guaidò di non fidarsi troppo e di procedere con le proprie forze, se vuole davvero cambiare volto al regime dittatoriale di Maduro in Venezuela.

Ecco il pezzo:

Immagine correlata
Emiliano Guanella


Juan Guaidó

Scendendo le scale dell’aereo militare che lo ha portato da Cucuta a Bogotà, con onori da Capo di Stato, Juan Guaidó deve aver fatto mente locale a tutto quello che è successo negli ultimi quaranta giorni nella sua vita e alle scelte difficili da compiere adesso.

Un labirinto per questo ingegnere 35enne entrato in politica a causa della grave crisi che tormenta il suo Paese. Il fallimento dell’operazione umanitaria con la quale si pensava di spezzare la fedeltà dell’esercito a Nicolas Maduro significa per molti che la strada della diplomazia ormai è superata. Sabato sera, a Cucuta, lui stesso ha ammesso che si pensa ad altro. «Gli eventi tragici di questa giornata mi obbligano a chiedere alla comunità internazionale di considerare tutte le opzioni per ottenere la liberazione della nostra Patria». Parole a caldo che sono state poi corrette parzialmente in un tweet, ma il messaggio è rimasto.
Oggi a Bogotà Guaidó stringerà la mano per la prima volta al vicepresidente americano Mike Pence, mandato da Trump per dire che la pazienza è finita, che bisogna muoversi. Il segretario di Stato Mike Pompeo ha anche acceso le polveri dicendo che «i giorni di Maduro sono contati». Julio Borges, rappresentante dell’opposizione presso l’Organizzazione degli stati americani (Osa), ha detto chiaramente che si deve pensare anche all’uso della forza perché «la crisi è destinata ad aggravarsi e con essa l’esodo dei venezuelani in fuga». Un messaggio neanche troppo velato ai governi latinoamericani, restii ad una guerra sotto casa ma che non sono nemmeno disposti a ricevere altri emigrati dopo gli oltre due milioni di esuli arrivati negli ultimi tre anni. La riunione vedrà la partecipazione dei ministri degli Esteri dei principali paesi delle Americhe, eccetto il Messico, il cui neopresidente progressista Lopez Obrador riconosce ancora Maduro. Tra i falchi ci sono sicuramente la Colombia, il Perù, il Paraguay e il Cile, più defilati l’Argentina di Macri e il Canada. La grande incognita è il Brasile di Bolsonaro che manda il ministro degli Esteri Araujo, fervente ammiratore di Trump e favorevole alla linea dura e il vicepresidente Mourao, voce dei militari brasiliani, per nulla inclini ad una soluzione armata. Trump ha bisogno di consenso e senza il Brasile non si va da nessuna parte.
Guaidó, nel frattempo, deve pensare al suo futuro immediato. Stanco dei tradimenti dei suoi, Simon Bolivar sapeva di dover raggiungere la costa per cercare l’esilio dalle terre che aveva liberato, lui invece deve decidere dove andare a partire da domani. Se resta in Colombia rischia di diventare l’ennesimo leader dell’opposizione in esilio, dimenticato perché lontano dalla folla che scende in piazza; se decide di rientrare a Caracas lo fa a suo rischio e pericolo perché Maduro, a questo punto, potrebbe farlo arrestare.
Come per complicare una situazione già di per sé complessa c’è poi la definizione del suo ruolo e figura. L’articolo 233 della costituzione bolivariana gli concedeva come presidente ad interim un mese di tempo per la convocazione di nuove elezioni, il tempo ormai è scaduto. Le formalità, ormai, contano poco, ma questo è un elemento da tenere in conto se si vuole tenere alta la bandiera della legalità di fronte al regime usurpatore. Se è vero che dalla guerra dei ponti (che ieri sono stati chiusi) Maduro ha ottenuto una vittoria di Pirro, nessuno può negare che anche l’opposizione non si trova in una situazione comoda.
Se vuole scongiurare l’attacco militare Guaidó deve convincere i paesi amici di avere buone chance di far cadere il regime dall’interno, cosa che per ora appare ancora lontana. Se vuole invece spingere per l’aggressione, starà ammettendo che, nonostante il grande sostengo internazionale, l’opposizione non è in grado di trovare una soluzione pacifica alla crisi. Tempi cupi, in ogni caso, per il martoriato Venezuela.

IL FOGLIO: "A Caracas il collasso di un modello"

Il pezzo del Washington Post rielaborato dal Foglio è superficiale nel descrivere i lati positivi del regime venezuelano di Chavez, poi ereditato dal dittatore Maduro (su cui invece viene espresso un fermo giudizio di condanna totale). La crescita dell'economia durante gli anni di Chavez era dovuta esclusivamente all'aumento del prezzo del petrolio, di cui il Venezuela è un grande esportatore, non da riforme della struttura economica  socialista del Paese. Non è, in ogni caso, un merito del regime.

Ecco il pezzo:


Pro e contro il dittatore Maduro

Dall’inizio delle proteste in Venezuela contro il presidente Nicolás Maduro, Flora Blanco, una sarta di 57 anni, si è ripetutamente scontrata con suo marito su una domanda fondamentale: il socialismo ha ucciso il Venezuela?”. Così inizia l’articolo di Anthony Faiola, che sul Washington Post cerca di rispondere a questa domanda. Flora Blanco ha perso ogni speranza con il socialismo (“E’ una farsa”), mentre suo marito è ancora convinto che l’ideologia di Hugo Chávez abbia restituito dignità ai lavoratori. Molti osservatori notano che il ruolo del socialismo nella crisi venezuelana è più complesso di quanto riconosca l’opinione pubblica. Le politiche socialiste finanziate attraverso le esportazioni di petrolio hanno reso il Venezuela una delle società più eque dell’emisfero occidentale. Tuttavia, hanno anche distorto i prezzi e i tassi di cambio, danneggiando l’economia del Venezuela. Molti manifestanti venezuelani vogliono farla finita col socialismo, altri vogliono semplicemente liberarsi del presidente Maduro. Secondo i sondaggi, un terzo dei cittadini continua a credere nel socialismo – ma soltanto la metà di loro ha fiducia in Maduro. “Chávez ha fatto degli errori, ma aveva una vera vocazione sociale”, ha detto Juan Barreto, un ex sindaco di Caracas: “Il sistema imposto da Maduro non ha nulla a che fare col socialismo. Maduro è semplicemente un despota”. Ultimamente, molti ex sostenitori di Chávez hanno fatto mea culpa, e si sono schierati contro Maduro. L’economia del Venezuela è cresciuta dal 2003 al 2007 sotto la presidenza di Chávez, soprattutto grazie all’aumento del prezzo del petrolio. C’è stata una recessione dopo il crollo di Wall Street nel 2008, ma le contraddizioni dell’èra Chávez non erano nulla rispetto a oggi. Il Venezuela è un lontano parente del socialismo occidentale: non puoi paragonarlo al welfare del Canada e della Francia. Per molti osservatori, è sbagliato dare la colpa al sistema economico. La Bolivia ha vissuto un periodo di crescita prolungata malgrado lo statalismo dell’ex presidente di sinistra, Evo Morales. Ancora oggi, molti venezuelani hanno nostalgia di Chávez. Nella periferia di Caracas c’è una sua statua in cima a una collina. Dopo la morte di Chávez nel 2013, molti residenti hanno costruito un santuario per commemorarlo. Tuttavia, le proteste delle ultime settimane hanno polarizzato l’opinione pubblica. Alcuni “non vogliono più sentire pronunciare la parola ‘socialismo’”, altri continuano ad avere dubbi sul leader dell’opposizione Juan Guaidó. “Se ne dovrebbe andare in America, agisce per conto loro”, ha detto Elisabeth Torres, la custode del santuario di Chávez. Molti altri continuano a essere fedeli al regime perché hanno paura – temono di subire la repressione del governo e di perdere le scorte di cibo che vengono elargite dallo stato. “Io sto dalla parte di Maduro perchè è il presidente”, ha detto Maria Alejandra Sanchez, una giovane madre che frequenta il santuario di Chávez: “Ma lui (Maduro, ndt) non è all’altezza del suo predecessore. Io vivo come una mendicante, non ho i soldi per nulla. Ciò che mi resta è andare a casa, piangere e deprimermi”.

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