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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
15.02.2019 Conferenza di Varsavia: patto contro l'Iran terrorista, ma l'Europa è divisa
Cronaca di Francesca Paci, commento di Paola Peduzzi

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Francesca Paci - Paola Peduzzi
Titolo: «A Varsavia le basi di un patto contro l'Iran - E tu Europa che fai? A Varsavia Netanyahu e i paesi arabi contro l’Iran»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/02/2019, a pag. 10, con il titolo "A Varsavia le basi di un patto contro l'Iran", la cronaca di Francesca Paci; dal FOGLIO, a pag. 3, con il titolo "E tu Europa che fai? A Varsavia Netanyahu e i paesi arabi contro l’Iran", il commento di Paola Peduzzi.

Il MANIFESTO titola un articolo che non riprendiamo "Varsavia, Netanyahu e i Paesi arabi uniti contro Teheran. L'entusiasmo di Netanyahu alla conferenza di Varsavia". Ancora una volta il quotidiano comunista si schiera contro Israele, e di conseguenza abbraccia la causa del regime terrorista degli ayatollah. Giorgio pieno di livore.. IC sorride...

Ecco gli articoli:

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Benjamin Netanyahu con Mike Pence a Varsavia

LA STAMPA - Francesca Paci: "A Varsavia le basi di un patto contro l'Iran"

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Francesca Paci

Raccontano dal backstage della conferenza «Promuovere un futuro di pace e sicurezza in Medioriente» che quando durante la plenaria il ministro degli esteri yemenita Khaled Alyemany ha passato il microfono al suo vicino, il premier israeliano Netanyahu, quest’ultimo abbia ringraziato scherzando sull’inizio della cooperazione tra Israele e Paesi arabi. Il senso di questa due giorni fortissimamente voluta dall’amministrazione Trump nella fredda capitale polacca è tutto nella foto finale in cui, in mezzo ai rappresentanti di oltre 60 nazioni, posano eccezionalmente spalla a spalla Netanyahu, il ministro degli esteri saudita Adel al Jubeir e quello dell’Oman Yusuf bin Alawi, Emirati, Giordania, Algeria, Egitto, Bahrein, Yemen, una bella fetta di mondo sunnita riunita contro quella che il segretario di Stato americano Pompeo definisce «la principale minaccia alla stabilità della regione».

L’elefante nella stanza è l’Iran, quello stesso che, non invitato a Varsavia, partecipa nel frattempo al contro-vertice russo-turco sulla Siria e denuncia chi, a suo dire, brinderebbe dalla Polonia all’attentato in cui mercoledì sono morti oltre 20 pasdaran. Se mercoledì i padroni di casa avevano evitato riferimenti specifici per non enfatizzare le già profonde divisioni in seno all’Unione Europea - presente a scartamento ridotto con l’eccezione dell’Italia e della Gran Bretagna in odor di Brexit - ieri non si è parlato d’altro.
«I Paesi che amano la libertà devono unirsi e riconoscere le responsabilità dell’Iran in Medio Oriente, dal Libano allo Yemen alla Siria» ripete più volte il vicepresidente americano Pence prima di attaccare gli alleati che, a partire da Francia e Germania, hanno varato un sistema finanziario parallelo per aggirare le sanzioni indirette e tutelare l’accordo sul nucleare Jcpoa rischiando «la rottura tra Stati Uniti e Ue». Altrettanto esplicito è Mike Pompeo che, pur ammettendo possibili divergenze tattiche, insiste col dire che «non c’è pace possibile senza affrontare l’Iran» e che durante la conferenza «nessuno si è alzato in difesa dell’Iran».

Mentre gli ospiti internazionali prendono la strada dell’aeroporto, la Polonia tira le somme di uno sforzo dal quale auspica di ricavare più protezione americana contro la Russia e più militari al confine. Il ministro degli esteri Chaputovichk, incalzato dai giornalisti, sottolinea la creazione di un «working group» per combattere il terrorismo e l’apertura di un nuovo capitolo nei negoziati di pace israelo-palestinese (promesso dal genero di Trump, Jared Kushner, all’indomani del voto israeliano). Ma dalla vaghezza delle risposte sui grandi assenti appare conscio di come questa coalizione anti-Iran giochi in parte contro l’Ue di cui pure la Polonia è membro, e materializzi il fantasma evocato sul Wall Street Journal dal politologo Walter Russell dell’«Incredible Shrinking Europe», il naufragio geopolitico dell’Europa.

«È stata una conferenza strana a partire dal fatto che fosse organizzata in un Paese che non ha una politica mediorientale, in realtà è servita agli Stati Uniti per riportare l’Iran nell’agenda internazionale» osserva l’analista Koert Debeuf, autore del nuovo saggio «Tribalization. Why war is coming» e insider di vecchia data nella politica di Bruxelles. Per due giorni all’esterno dello stadio nazionale e nel centro di Varsavia si sono viste sventolare le bandiere dei mujhaeddin del popolo iraniano, il controverso gruppo di opposizione bandito in patria al quale ieri, tra le polemiche, ha reso omaggio l’avvocato del presidente Trump, Rudy Giuliani, auspicando «un cambio di regime».
Netanyahu porta a casa un risultato importante, simbolico ma in una terra in cui i simboli pesano. Con gli europei, presenti e assenti, fa appello ai diritti umani «violati» dall’Iran. Sorride con i colleghi arabi, sodali eppure impacciati per un’alleanza che non possono pubblicizzare troppo con i rispettivi popoli. Ma è soprattutto all’amico americano che parla, nelle ore del vertice e durante la visita al monumento agli eroi del ghetto di Varsavia. «Quando il ghetto di Varsavia si ribellò nessuno venne ad aiutarci - ricorda Netanyahu nell’incontro con Mike Pence -. Oggi abbiamo costruito da soli la nostra capacità di difenderci ma abbiamo trovato un grande amico, il migliore, negli Stati Uniti». Il riferimento anche qui è esplicito.

IL FOGLIO - Paola Peduzzi: "E tu Europa che fai? A Varsavia Netanyahu e i paesi arabi contro l’Iran"

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Paola Peduzzi

Milano. Benjamin Netanyahu, premier israeliano, ha cancellato il tweet di mercoledì sera postato sul suo account ufficiale, ma nulla scompare davvero nella rete, non certo quell’espressione, “guerra contro l’Iran” che anzi è risuonata ancora più fragorosa proprio perché velocemente cancellata. “Questo è un incontro aperto con i più importanti rappresentanti dei paesi arabi che si siedono con Israele per portare avanti l’interesse comune della guerra contro l’Iran”, ha scritto Netanyahu, spiegando il senso e l’importanza della conferenza sul medio oriente organizzata a Varsavia ieri e oggi dagli americani. Il tweet è stato poi sostituito con un po’ più morbido “interesse comune nel combattere l’Iran”, ma è circolato un video in cui Netanyahu ha ripetuto il termine “guerra” (in ebraico) parlando con dei cronisti polacchi. E’ una conferenza di pace o di guerra?, chiedevano ieri i commentatori, mentre arrivavano a parlare gli americani e ribadivano che la minaccia iraniana deve essere contenuta, e che i paesi arabi presenti a Varsavia erano pronti a collaborare per questo obbiettivo – Mike Pompeo, segretario di stato americano, in Europa già da lunedì, Mike Pence, vicepresidente, Jared Kushner, il genero del presidente Donald Trump (per ascoltare il suo discorso a porte chiuse, Netanyahu ha fatto aspettare un’ora il premier polacco, Mateusz Morawiecki, che lo attendeva per il loro bilaterale). Pence ha sottolineato che i paesi arabi “spezzano il pane” assieme a Israele, vogliono difenderlo, mentre le tv si riempivano di strette di mano con Netanyahu e molti resoconti raccontavano l’incontro inizialmente segreto ma poi pubblicissimo con la delegazione dell’Oman, che è un mediatore rilevante nella costituzione di questo fronte tra arabi e Israele. Come spesso accade a questi eventi, il ruolo principale lo hanno svolto gli assenti. Il Qatar e la Turchia, ma soprattutto gli europei, che hanno per lo più mandato inviati di medio livello, con gli inglesi che si sono fermati per qualche ora (dobbiamo tornare a Londra per la Brexit è la scusa sempre valida) e Federica Mogherini, capo della diplomazia dell’Unione europea, che non si è presentata, perché questo summit avrebbe finito soltanto per evidenziale le divergenze tra le due sponde dell’Atlantico sulla questione iraniana. E infatti è andata proprio così, oltre al dispetto diplomatico – ormai i dispetti tra Europa e America sono un genere – di aver organizzato la conferenza soltanto con i polacchi e con gli interlocutori mediorientali e non con le altre cancellerie europee. Non che ci fosse bisogno di un palco e di una platea per mostrare le divergenze sull’Iran: gli Stati Uniti sono usciti dall’accordo sul nucleare con Teheran, hanno introdotto delle sanzioni e a maggio potrebbero togliere l’esenzione per ora concessa ai paesi che continuano a commerciare con l’Iran. Gli europei stanno tentando di tenere in piedi l’accordo anche senza gli americani, ma se c’è un ambito in cui la presenza o l’assenza di una superpotenza fa la differenza è proprio questo dei trattati internazionali – per non parlare del fatto che non c’è una superpotenza “di ricambio”, nel mondo, non per l’Ue per lo meno. L’accordo con Teheran traballa, gli iraniani minacciano di abbandonarlo, gli americani minacciano sanzioni, gli europei inventano meccanismi tecnico-finanziari per ovviare alle sanzioni di Washington, ma l’equilibrio non c’è più e difficilmente si potrà trovare. E Netanyahu ripete: non è usuale che Israele e i paesi arabi siano d’accordo in modo così netto, ma quando accade gli altri dovrebbero ascoltare.

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