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Milano Finanza Rassegna Stampa
10.11.2018 Ecco tutti gli affari tra Italia e Iran
Commento di Guido Salerno Aletta

Testata:Milano Finanza
Autore: Guido Salerno Aletta
Titolo: «La via italiana all'Iran»

Riprendiamo da MILANO FINANZA di oggi, 10/11/2018, a pag. 22, con il titolo "La via italiana all'Iran", il commento di Guido Salerno Aletta.

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Tic, tac, tic, tac: inesorabile, ma non per l'Italia e altri sette Paesi, l'orologio che scandisce le pressioni americane sull'Iran ha segnato un nuovo aggravamento. Il 4 novembre scorso, a 180 giorni dal ritiro unilaterale dall'Accordo raggiunto con l'Iran sull'arricchimento di uranio dal Gruppo dei 5+1, ponendo fine al quarantennale regime di embargo petrolifero, gli Usa hanno reintrodotto le sanzioni sull'export di petrolio che erano state sospese o rimosse a seguito dell'Accordo. A partire dal 5 ottobre, gli Usa applicano anche le sanzioni secondarie, quelle che consentono di penalizzare i soggetti non americani che continuino a intrattenere rapporti con Teheran per esportazioni di petrolio o che effettuino operazioni con la Banca centrale iraniana. Scatta così l'inserimento in una sorta di lista nera. stilata dal Dipartimento del Tesoro, dei soggetti che con il loro comportamento sostengono direttamente o indirettamente un Paese a cui gli Usa abbiano imposto sanzioni, con l'irrogazione di multe o l'inibizione a operare sul mercato americano. O di qua, odi là: è un meccanismo che non lascia scampo. Il precedente round di sanzioni contro l'Iran ha riguardato il campo finanziario, precludendo indirettamente le attività commerciali connesse: acquisto di dollari americani da parte del governo di Teheran, acquisto e vendita di riyal iraniani, mantenimento di conti denominati in riyal al di fuori del territorio iraniano, sottoscrizione o facilitazione dell'emissione di debito sovrano iraniano, commercio in oro o metalli preziosi. Dal punto di vista economico, era stata vietata la vendita diretta o indiretta di metalli grezzi (alluminio, acciaio, carbone), semilavorati e software per l'integrazione dei processi industriali. E stata colpita così l'industria automobilistica iraniana, con il ritiro della Peugeot che dal marzo 2016 aveva ripreso nel Paese dopo la rimozione delle sanzioni.

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L'estensione delle sanzioni all'export petrolifero comporta per l'Iran un grande sacrificio, visto che pesa per l'80% del totale, con entrate pari a oltre il 5,5% del pil. Ci sono due aspetti da considerare. Innanzitutto, il quadro strategico e geopolitico costruito dall'amministrazione Trump, per comprendere le ragioni dell'inserimento dell'Italia nell'elenco dei Paesi da esonerare (temporaneamente per sei mesi) dall'applicazione delle sanzioni secondarie, insieme a Cina e Taiwan, Giappone, Corea del Sud, India, Turchia, e Grecia. Ci sono poi le reazioni dell'Ue, con la Commissione che il 2 agosto scorso ha emanato un «Regolamento che individua le contromisure a protezione dagli effetti extraterritoriali derivanti dall'applicazione di una normativa adottata da un Paese terzo», che si applica anch'esso a partire dal 4 novembre. E' stato aggiornato, con riferimento alla decisione americana sull'Iran, il Regolamento del 1996 che fu varato per contrastare gli effetti sulle imprese europee delle sanzioni allora disposte dagli Usa contro Libia, Cuba e Corea del Nord. Non c'è niente di improvvisato nella strategia con cui il presidente americano Trump mette sotto pressione l'Iran: sin dalla campagna elettorale aveva dichiarato che l'Accordo raggiunto con l'Iran dal suo predecessore Barack Obama era stato un errore colossale. Così, nell'agosto del 2017 era stato varato un aggiornamento della normativa volta a contrastare gli avversari dell'America attraverso le sanzioni, prendendo subito di mira Russia, Nord Corea e Iran: era solo l'inizio. La volontà dell'amministrazione Obama di raggiungere un accordo a ogni costo ha determinato un assetto di oggettiva impunità, garantendo montagne di soldi usati dall'Iran per sponsorizzare ogni tipo di terrorismo in ogni angolo del Medio Oriente, e al sistema di potere nato dalla rivoluzione religiosa di continuare a imporsi all'interno. Dall'elenco dei sette Paesi esonerati dalle sanzioni secondarie sul petrolio iraniano si chiariscono bene i diversi tavoli su cui si sta giocando la strategia americana. Innanzitutto c'è la Cina: a prima vista sembra un controsenso, visto che gli Usa non perdono occasione per elevare il livello di scontro con Pechino. La mancata esclusione della Cina sarebbe stata un'iniziativa dirompente, che avrebbe solo inquinato la partita in corso. Taiwan è un tutt'uno. Ci sono Giappone e Corea, tradizionali alleati degli Usa in quello scacchiere: sarebbe stato controproducente penalizzarli sul fronte energetico, proprio nel momento in cui l'avvio a soluzione del problema nucleare nordcoreano li sta già inducendo a rafforzare i rapporti con la Cina. Vale altrettanto per l'India Turchia e Grecia fanno pari e patta nello scacchiere mediorientale: le relazioni commerciali fra Turchia e Iran sono sempre più intense, mentre sempre più ruvide sono quelle politiche tra Washington ed Ankara. C'è una partita aperta, che riguarda la Siria e gli schieramenti tra sunniti per isolare l'Iran: è già un groviglio inestricabile di rapporti. Evitare di infierire ancora sulla Turchia, che di recente è stata fatta oggetto di un raddoppio delle sanzioni statunitensi sull'export di acciaio, significa aprire una finestra di dialogo. La Grecia è stata aggiunta solo per evitarle uno sgarbo, visti i continui dissidi tra Atene e Istanbul. Francia e Germania non potevano essere esonerate: se il presidente francese Emmanuel Macron si è speso troppe volte a favore del mantenimento dell'Accordo con Teheran; fare un favore anche indiretto al governo tedesco è l'ultima delle idee che possono passare per la testa di Trump. L'Italia è una pedina importante nella strategia americana, sia per lo scacchiere europeo che nel Mediterraneo: il governo Conte è in aperto conflitto con Bruxelles sul versante delle politiche di bilancio e sta cercando di risolvere la crisi libica riducendo il peso della Francia. L'idea di un'area nordoccidentale africana guidata da Parigi, che parta dal golfo di Guinea per arrivare al Mediterraneo centrale, e che andrebbe a bilanciare l'influenza tedesca sui Paesi balcanici e nell'est europeo, non appare delle migliori, visto che fa tutt'uno con il continuo sostegno dato da Parigi alla creazione di un esercito europeo. La prospettiva, per quanto lontana nel tempo, di uno sganciamento dalla Nato guidato da Francia e Germania è indigeribile sia per Washington che per Londra: per questo l'Italia va sostenuta, sia nei confronti di Bruxelles e del sotteso rigorismo teutonico, sia nei confronti delle pressioni geopolitiche francesi. La reazione di Bruxelles è una pistola caricata a salve: il rimborso delle sanzioni americane e la liquidazione dei danni subiti perdendo l'accesso al mercato statunitense rappresentano un rimedio a posteriori, non un atto politico, per quanto il Consiglio europeo dell'8 agosto abbia riaffermato la validità dell'Accordo con l'Iran e la volontà di proseguire nella collaborazione instaurata. Dovendo scegliere tra i due mercati, Iran e Usa, nessuna impresa avrà dubbi. L'Italia è ancora una volta una pedina indispensabile negli equilibri globali: c'è chi vuole tenerla sotto scacco economicamente e finanziariamente usando la mannaia del debito pubblico eccessivo; e chi, per realizzare i propri obiettivi, cerca di tutelarne l'indipendenza chiedendole contropartite e fedeltà strategica. All'Italia spetterebbe promuovere il processo di apertura dell'economia iraniana agli investimenti esteri, da una parte riducendo la presa delle imprese statali e delle fondazioni religiose, e dall'altra bilanciando la pressione esercitata dalla Cina attraverso la Via della Seta. Politica, finanza ed economia si intrecciano ancora una volta. In queste complesse dinamiche internazionali sta la nostra Storia.

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