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Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
06.09.2018 Libia: la tregua regge a fatica
Cronache di Lorenzo Cremonesi, Fausto Biloslavo

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: Lorenzo Cremonesi - Fausto Biloslavo
Titolo: «La svolta dei guerriglieri di Misurata: 'È cambiato tutto, apriamo a Haftar' - Tripoli, la tregua regge a fatica, 50mila migranti pronti a partire»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/09/2018, a pag. 12, con il titolo "La svolta dei guerriglieri di Misurata: 'È cambiato tutto, apriamo a Haftar' ", la cronaca di Lorenzo Cremonesi; dal GIORNALE, a pag. 10, con il titolo "Tripoli, la tregua regge a fatica, 50mila migranti pronti a partire", il commento di Fausto Biloslavo.

Ecco gli articoli:

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Misurata, Libia

Corriere della Sera - Lorenzo Cremonesi: "La svolta dei guerriglieri di Misurata: 'È cambiato tutto, apriamo a Haftar' "

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Lorenzo Cremonesi

 «Benvenuto in Libia. Evviva gli sposi!», gridano dal corteo di automobili dirette al matrimonio con i fazzoletti bianchi sventolanti dai finestrini. Scendendo dall’aereo nell’unico aeroporto che collega il centro del Paese e la Tripolitania con il resto del mondo è facile rimanere sconcertati. Da dieci giorni le milizie se le danno di santa ragione per il controllo della capitale. Lo scalo di Tripoli è ancora paralizzato dagli effetti dei combattimenti, che pure stanno scemando con il fragile cessate il fuoco negoziato dall’Onu due giorni fa. Ti aspetti di trovare il finimondo, con la «Sparta della Libia» mobilitata in massa contro la Cirenaica e contro il suo rais Khalifa Haftar. E invece incontri una popolazione desiderosa soprattutto di normalità e pace. Il corteo nuziale che bloccava la strada ieri pomeriggio davanti all’aeroporto di Misurata è stata solo la prima di una lunga serie di sorprese. Niente guerriglieri armati. Niente posti di blocco. «La verità è che siamo stanchi di combatterci tra noi. Solo una piccola minoranza dei nostri guerriglieri ha optato per andare a difendere il governo di Fayez Sarraj dall’offensiva della milizia di Tarhuna a Tripoli. Quasi tutti hanno scelto di restare a Misurata», spiega Abdel Rahman al Kot, 34enne comandante della «Al Mardas», una milizia di 250 guerriglieri che due anni fa era in prima fila a combattere contro Isis asserragliato a Sirte. Lo incontriamo nella sua abitazione. Indossa una lunga jallabiah, sta bevendo il caffè con un gruppo di altri comandanti. Nessuno di loro parla di partire. È come se le battaglie di Tripoli, solo 200 chilometri da qui, non li riguardassero affatto. «Oggi è tutto diverso da quando eravamo pronti a offrirci volontari e morire a Sirte. Quella era una guerra giusta contro i terroristi jihadisti, tanti di loro fanatici stranieri. Questa invece è una guerra civile tra libici che non porterà a nulla, se non a nuovo sangue», aggiunge. Per lui sono i numeri a parlare chiaro: sulle circa 260 milizie grandi e piccole che compongono la forza militare di Misurata, il fiore all’occhiello delle rivolte contro Gheddafi nel 2011, solo quattro o cinque hanno scelto di andare a Tripoli. Difficile fare i conti precisi. Nessuno ha la lista dei volontari. Ma a grandi linee su circa 10.000 uomini in armi, meno di 500 sono schierati a Tripoli. «Ne abbiamo parlato a lungo tra noi. Ci sono state anche dispute violente. Ma pochi sono disposti a morire per Sarraj. In fondo il premier si è dimostrato un fallimento totale. Troppo debole, non ha alcuna conoscenza del mondo militare, non ha risolto la crisi economica, non sa avviare il dialogo interno per la pacificazione nazionale. Meno del 5 per cento di noi lo appoggia», dice Abdel Rahman. Una spiegazione più politica è offerta da Abu Bakr Sadawi, 44 anni, leader del partito locale «Conferenza del Fronte Nazionale», che mira a controllare il consiglio municipale di Misurata: «Il fatto nuovo è che per la prima volta molti misuratini sono persino pronti a dialogare alla pari con Haftar, che invece sino a poco fa consideravamo come il diavolo». Sono dichiarazioni a dir poco stupefacenti. Quando combattevano contro Isis questi uomini affermavano con sicurezza bellicosa che Haftar era il loro nemico principale. Una sorta di agente straniero a metà strada tra Gheddafi e i peggiori jihadisti. «Dopo Sirte lo snideremo da Bengasi», proclamavano violenti. Sadawi parla invece apertamente della necessità di avviare un solido «dialogo nazionale», aperto a tutti, da Haftar, ai capi di Tarhouna, Zintan, il sud ed il nord, incluso Saif al Islam, il figlio più politico di Gheddafi che da tempo si dice vorrebbe candidarsi alle elezioni. «Anche lui, anche Saif, perché no? Dopo tutto è un libico come tutti noi», spiega. E anche questa è una novità. Sino all’autunno scorso a Misurata ti mostravano le rovine ancora ben visibili della guerra del 2011, quando le truppe scelte del Colonnello per lunghi mesi accerchiarono e bombardarono la città, per sottolineare che mai e poi mai un altro Gheddafi avrebbe potuto comandarli. La decina di interlocutori che abbiamo incontrato in quattro ore di interviste ha sostenuto di volere le elezioni, ma non nei tempi stretti proposti dal presidente francese Macron. «Votare il 10 dicembre? Sarebbe una follia. Non siamo pronti. C’è ancora troppo caos. Magari entro un anno», dicono. Apprezzano l’ospedale militare italiano, specie se aiuta a sviluppare quello di Misurata. Non vogliono soldati francesi sul suolo nazionale. «Nessun continente in armi deve stare sul nostro territorio. E sappiamo bene che unità francesi operano nel sud», dicono. Ma ciò non vuole dire affatto che sostengano le posizioni di Roma contro Parigi. Argomentano: «Le vostre dispute tra europei non ci riguardano. Saranno i libici a decidere della Libia».

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo: "Tripoli, la tregua regge a fatica, 50mila migranti pronti a partire"

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Fausto Biloslavo

«Nei giorni dei combattimenti le motovedette sono rimaste ferme in porto. Oggi (ieri per chi legge, nda) sto cercando di far salpare una nostra unità da Tripoli, ma se gli scontri riprendessero i trafficanti di uomini ne approfitteranno mandando in mare sempre più migranti» spiega al telefono al Giornale da Tripoli il comandante Abdelbari Abujela. L'ufficiale libico coordina le operazioni delle unità della Guardia costiera, comprese le motovedette donate dall'Italia. La tregua fra le milizie ottenuta dal rappresentante delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé, è fragile. La Settima brigata, che dal 27 agosto ha attaccato Tripoli, non si è ritirata di un passo. E ieri ha denunciato sui social media che «abbiamo dovuto rispondere degli attacchi indiscriminati» alle postazioni conquistate nella zona meridionale della capitale. Nel giro di una settimana si sono registrati 61 morti, compresi 21 civili, 159 feriti e 12 dispersi. Almeno 1.825 famiglie sono sfollate dall'inizio della battaglia. «Il problema durante i combattimenti è che i membri dei nostri equipaggi non riuscivano a raggiungere la base navale a Tripoli a causa dei posti di blocco e degli scontri alle porte della città» sottolinea il comandante libico. Si calcola che in Libia ci siano 400mila migranti, in parte in mano ai trafficanti. Almeno 50mila sarebbero pronti a imbarcarsi per l'Italia. «Se riesplodessero le ostilità bloccando le nostre uscite in mare diventerà un grosso problema non solo per noi, ma pure per voi. Chi fermerà i barconi?», si chiede Abujela. Durante la battaglia per Tripoli scarseggiava anche il carburante per le motovedette della Guardia costiera, ma «oggi (ieri per chi legge, nda) spero di far salpare una delle nostre unità con l'equipaggio al completo». L'altro ostacolo provocato dal caos nella capitale è stata la dissoluzione del personale a terra, che accoglieva i migranti intercettati in mare e degli agenti del Dipartimento dell'Immigrazione che li trasferiscono ai centri di detenzione. «All'inizio degli scontri abbiamo soccorso in mare circa 270 migranti su due gommoni - spiega l'ufficiale della Guardia costiera -. Non c'era nessuno a prenderli a Tripoli e abbiamo dovuto allungare la rotta fino ad Al Khoms, molto più a Est». Da fine agosto Medici senza frontiere ha lanciato l'allarme per gli 8mila migranti rinchiusi nei centri dei detenzione del ministero dell'Interno nella capitale. In alcuni casi le guardie non si sono presentate lasciandoli chiusi dentro. Negli ultimi giorni almeno 800 migranti sarebbero scappati da un centro vicino alla zona degli scontri. Ahmad Kamoon, funzionario della sicurezza libica, ha confermato che «sono stati liberati numerosi migranti fuggiti dal campo di Hamza a causa degli scontri presso il centro di Triq al-Matar. Attualmente si trovano in una fattoria nel distretto di Krimiya e saranno trasferiti in un altro centro di detenzione per migranti» a Tripoli. Non è chiaro quanti siano riusciti a dileguarsi con l'obiettivo di raggiungere la costa per imbarcarsi sui gommoni dei trafficanti. «Siamo sempre in contatto con la flotta europea della missione Sophia e riceviamo le segnalazioni del vostro comando di soccorso Imrcc a Roma, ma negli ultimi giorni era difficile operare come prima», dichiara il comandante libico. Prima della tregua una sola motovedetta italiana donata ai libici per intercettare i gommoni salpava le ancore da Zawia, 50 chilometri a ovest di Tripoli. Fino al 31 luglio sono sbarcati in Italia 12.088 migranti rispetto ai 91.135 dello scorso anno. In agosto si è toccato il minimo storico di 234 arrivi, anche se nello stesso periodo sono partiti in 1600 da Tunisia, Algeria e Mar Egeo. Nuove rotte rispetto alla Libia, ma adesso l'attacco a Tripoli e la fragile tregua, se non si trasformerà in accordo duraturo, potrebbe aprire di nuovo un varco alla «bomba» migranti.

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