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Il Foglio - La Nazione Rassegna Stampa
11.08.2018 Turchia: sultanismo monetario e islamismo al potere
Editoriale del Foglio, commento di Roberto Giardina

Testata:Il Foglio - La Nazione
Autore: Roberto Giardina
Titolo: «La rovina del 'sultanismo' monetario - Il sultano Erdogan contro gli Usa: 'Voi avete i dollari, noi Allah'»

Riprendiamo oggi, 11/08/2018, a pag. 3, dal FOGLIO, l'editoriale "La rovina del 'sultanismo' monetario"; da NAZIONE/CARLINO/GIORNO, a pag. 10, con il titolo "Il sultano Erdogan contro gli Usa: 'Voi avete i dollari, noi Allah' ", il commento di Roberto Giardina.

Rimandiamo all'analisi di Bernard-Henri Lévy pubblicata oggi in altra pagina su IC, per capire perché bisogna escludere la Turchia di Erdogan dalla Nato.

Ecco gli articoli:

IL FOGLIO: "La rovina del 'sultanismo' monetario"

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Erdogan: "Costruiamo una democrazia!"

Il nuovo piano economico della Turchia non è riuscito a fermare lo slittamento della lira. La valuta è scesa di circa il 14 per cento rispetto al dollaro. I problemi derivano dalla politica fiscale e monetaria del presidente Recep Tayyip Erdogan: da mesi calpesta l’indipendenza della Banca centrale, spingendola a non alzare i tassi per stimolare l’economia, e ha unificato il ministero dell’Economia e quello delle Finanze mettendovi a capo il genero Berat Albayrak. Ieri Erdogan ha chiesto ai connazionali – e non è la prima volta – di cambiare le loro riserve di valuta straniera e oro in lire turche, avvertendo che la Turchia risponderà a chi ha avviato una “guerra economica” contro il paese. Il “sultanismo” monetario di Erdogan insegna qualcosa ai “sovra - nisti” di casa nostra. Un film visto anche in Italia con la boutade del leghista Armando Siri di emettere titoli di stato solo per i cittadini italiani o la sindrome del complotto, coltivata sui social network dal leghista Claudio Borghi che punta alla Banca centrale europea di Mario Draghi. Dietro alla strategia di Erdogan di scontro con il sistema economico “aperto” occidentale si sta delineando una strategia che mira a ristrutturare profondamente l’economia turca e spostarne l’asse portante verso oriente, verso nuovi mercati e fonti di finanziamento. Emergono i primi segnali. Una delle prime missioni all’estero del neo ministro Albayrak s’è svolta a Pechino, dove il governo cinese ha concesso ad Ankara una linea di credito di ben 3,6 miliardi di dollari per far fronte all’attuale crisi. Un segnale che consolida un riavvicinamento, in campo economico, tra Cina e Turchia, dopo le tensioni dovute al sostegno turco alla minoranza Uiguri. In sviluppo sarebbero anche i rapporti col Qatar che avrebbe trovato il modo per sdebitarsi del sostegno ricevuto da Erdogan durante l’embargo che dal giugno 2017 Arabia Saudita e Eau impongono sul piccolo emirato. Infine, durante la passata legislatura le autorità turche hanno gettato le basi per trasformare Istanbul in un hub per la finanza islamica, autorizzando i primi sei istituti di questo tipo a operare nel paese. La battaglia di Erdogan sui tassi di interesse diventa quindi un tassello di una strategia più ampia, volta a spostare il baricentro delle relazioni economiche turche via dall’occidente. A questo proposito gli ultimi dati dell’Istituto statistico turco mostrano per la prima metà di quest’anno una contrazione delle importazioni, soprattutto da occidente, e un deciso aumento delle esportazioni, soprattutto verso mercati emergenti quali l’Asia, il Caucaso e l’Africa. Una riduzione forzosa del deficit di partita corrente resa possibile dall’erosione del peso relativo dell’occidente nel sistema economico turco. Un gioco pericoloso, che sta già colpendo gravemente il potere d’acquisto della popolazione e che potrebbe portare a un vero collasso della bilancia dei pagamenti.

NAZIONE/CARLINO/GIORNO - Roberto Giardina: "Il sultano Erdogan contro gli Usa: 'Voi avete i dollari, noi Allah' "

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Roberto Giardina

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«VOI AVETE il dollaro, noi abbiamo Allah», è la risposta disperata nella sua arroganza di Erdogan, stretto tra Russia e Usa. Ed è la chiave per capire l'uomo forte di Ankara. Il Corano è la risposta alle leggi della finanza e dell'economia? Nei paesi dell'Anatolia i turchi più poveri si lasciano sedurre, mentre a Istanbul e Ankara chiamare Allah in aiuto è una confessione di debolezza.

PER CONSOLIDARE il potere, Erdogan ha puntato sugli antichi valori popolari, lontani dall'élite economica, culturale e militare di Istanbul, metropoli europea. Ha progressivamente abolito le libertà sociali, per tornare a una Turchia islamica, lontana dall'Ue, in cui ora la maggioranza della popolazione non vuole più entrare, e lontana anche dai vicini Paesi arabi. Un'illusione: una Turchia che per essere in apparenza più forte si costringe all'isolamento. Per capire l'involuzione, è utile osservate i Deutschtürken, i turchi emigrati ormai da tre generazioni in Germania. Erano integrati, dieci deputati con doppio passaporto al Bundestag, scrittori con radici turche che scrivono bestseller in tedesco, un regista turco che vince il Festival di Berlino. Ma Erdogan ha saputo risvegliare il nazionalismo, l'orgoglio di appartenere a una nazione erede dell'impero scomparso con la Grande guerra.

VENT'ANNI fa le giovani turche a Berlino andavano in minigonna, le loro figlie si coprono con il velo islamico, simbolo religioso e forse ancor più patriottico. I turchi che vivono in un Paese libero e democratico hanno votato (per due terzi) a favore del dittatore Erdogan. Alle ultime elezioni di giugno, ha rafforzato il suo potere, ma contro un'opposizione sempre più vasta. La sua fortuna, finora, è che gli avversari sono divisi, in contrasto tra loro. Ma la situazione potrebbe cambiare a un tratto. A Berlino i turchi hanno partecipato alle manifestazioni antisemite bruciando le bandiere di Israele, amica in tempi lontani, con sgomento e indignazione dei tedeschi. La Germania — dove vivono 3 milioni di turchi, oltre un milione con doppio passaporto — era il Paese europeo più vicino ad Ankara. Oggi i rapporti sono in crisi. E si protesta contro la visita di Erdogan, atteso il 28-29 settembre. La Turchia, membro Nato, era in buoni rapporti anche con Mosca; rapporti entrati in crisi nel 2015, ricuciti a fatica, ma entrando in conflitto con gli Usa, fino alle recenti sanzioni decise da Trump e il raddoppio dei dazi annunciati dall'uomo della Casa Bianca. Ha voluto giocare un ruolo da leader in Siria, e si è creata altri nemici. La crisi è soprattutto la crisi di un uomo. Erdogan è in una spirale diabolica: il sultano si è condannato a regnare da solo, per sopravvivere non può stringere alleanze, né nel suo palazzo, né tra Oriente e Occidente. Sarebbero interpretate come prova di debolezza.

APPENA in un recente passato, l'economia sembrava in forte e sicura ripresa. Sono le scelte politiche di Erdogan a provocare inflazione e miseria. E le prime vittime sono i turchi delle fasce deboli sedotte dal nuovo sultano. Fino a quando? Una crisi anche personale: secondo le voci raccolte dallo Spiegel, la salute di Erdogan desta preoccupazioni, e anche i suoi uomini più fedeli temono per il futuro. Un tragico paradosso: l'uomo forte è un uomo dal fisico sempre più provato. E più aumenta il potere di Erdogan, più debole diventa la sua Turchia.

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