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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.06.2018 Turchia: poteri senza limiti a Erdogan il sultano
Cronaca di Giordano Stabile, interviste di Marta Ottaviani, Monica Ricci Sargentini a Elif Shafak

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Giordano Stabile - Marta Ottaviani - Monica Ricci Sargentini
Titolo: «La Turchia profonda incorona Erdogan. Al presidente un potere senza limiti - 'Carisma e grandi opere la sua ricetta vincente' - 'Il mio Paese è avvolto da terrore e censura Ma nei giovani adesso vedo speranza'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 25/06/2018, a pag.11, con i titoli "La Turchia profonda incorona Erdogan. Al presidente un potere senza limiti", 'Carisma e grandi opere la sua ricetta vincente', i servizi di Giordano Stabile, Marta Ottaviani; dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, con il titolo 'Il mio Paese è avvolto da terrore e censura Ma nei giovani adesso vedo speranza', l'intervista di Monica Ricci Sargentini a Elif Shafak.

Ecco gli articoli:

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LA STAMPA - Giordano Stabile: "La Turchia profonda incorona Erdogan. Al presidente un potere senza limiti"

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Giordano Stabile

Dalle mura della cittadella di Ankara, a quasi mille metri di altitudine, l’occhio abbraccia all’infinito l’altopiano anatolico. Se c’è un posto da dove Recep Tayyip Erdogan potrà contemplare il suo nuovo potere quasi assoluto è qui, più ancora che sulle sponde del Bosforo. La Turchia profonda, con le sua antiche fortezze e capitali dei primi turchi selgiuchidi, si è confermata ancora una volta la sua sicurezza, compatta dietro il «sultano repubblicano», come cominciano a chiamarlo fra le file dell’opposizione sconfitta e delusa. Le folle di Smirne e Istanbul a favore del grande rivale Muharrem Ince, staccato di quasi venti punti, non sono bastate.

Al quartier generale dell’Akp, il partito del presidente, nei centri stampa gestiti dal governo, però, la suspence si è prolungata fin quasi alla mezzanotte. Come già nel referendum costituzionale dello scorso anno, il vantaggio abissale all’inizio dello spoglio, con Erdogan quasi al 60%, si è man mano ridotto, fino al finale 52,7. Una vittoria, certo, e al primo turno, ma non il plebiscito che forse si aspettava, sperava in cuor suo il reiss. E la stessa parziale delusione è arrivata dalle elezioni parlamentari abbinate, dove l’Akp è rimasto sotto la soglia della maggioranza assoluta e ora dovrà appoggiarsi all’alleato nazionalista Mhp, all’11%, in una coalizione forzata che erode un minimo lo strapotere del leader. Anche così, però, la scommessa del voto anticipato è un successo. «Abbiamo vinto la nostra rivoluzione democratica, è una lezione di democrazia, spero che nessuno metta in dubbio la legittimità della vittoria», è stato il primo commento del vincitore in tv.

Il regime presidenziale entra in vigore un anno e mezzo prima del previsto. Ora Erdogan è presidente e capo del governo. Il premier Binali Yildirim, come aveva già preannunciato lui stesso, sarà l’ultimo della storia della Turchia moderna. Il presidente nominerà e rimuoverà i ministri a suo piacimento, farà e disfarà i governi, scioglierà il Parlamento quando lo riterrà opportuno. Il leader ha già annunciato una riforma che ridurrà il numero dei dicasteri a 16 e i giornali hanno pubblicato il nuovo schema istituzionale: nei grafici sembra il sistema Tolemaico, con il presidente al centro, poi gli altri poteri, compreso quello giudiziario, che ruotano attorno, e infine i ministeri, in un cerchio più esterno. Dai tempi dell’ultimo sultano Mehmed VI, deposto da Ataturk nel 1922, non si vedeva un potere così accentrato.

Piazze piene, urne vuote
Nonostante i comizi oceanici di Ince il risultato finale era nell’aria. Nei seggi allestiti nei vecchi licei all’ombra della Cittadella, nel quartiere di Ulus che era il cuore della capitale appena fondata negli Anni Venti, il clima era depresso. Poco prima delle cinque del pomeriggio, quasi alla chiusura, le urna trasparenti erano mezze vuote, le buste color senape facevano quasi tristezza, anche se alla fine il dato ufficiale dell’affluenza sarà dell’87%. Anche i pochi elettori che alla fine confessavano di aver votato per l’opposizione erano rassegnati: «Alla fine vincerà lui, o lo faranno vincere». Le voci di brogli rimbalzavano sui social e sui telefoni e subito dopo la chiusura dei seggi un cordone impressionate di poliziotti, recinzioni e persino camion inviati dal comune di Ankara circondavano l’isolato nel quartiere centrale di Kizilay dove ha sede il Supremo consiglio elettorale, l’organo deputato ad annunciare i risultati ufficiali. È notte quando Ince accusa: «I dati sono stati manipolati».
Il governo temeva un assalto, dopo le denunce del partito di Ince, il Chp, e quelle dei curdi, furiosi per lo spostamento di molti seggi nel Sud-Est, da zone con maggioranze a favore del partito curdo Hdp ad altre dominate dall’Akp. Un modo per intimidire gli elettori d’opposizione, o poter maneggiare le urne lontani da occhi indiscreti, anche se poi comunque l’Hdp ha superato la soglia di sbarramento del 10 per cento. Ad alimentare la tensione arrivava anche la notizia dell’arresto di “dieci stranieri”, compresi quattro italiani, accusati di voler “manipolare il voto”.

Lo stato d’emergenza
Il trauma del dopo golpe del 15 luglio 2016 è ancora forte. Con 50 mila persone in prigione, 140 mila licenziate, il “sultanato repubblicano” si annuncia avaro di spazi per opposizione e dissidenti. Erdogan ha ribadito ieri notte, parlando dal bus della campagna elettorale, che con la fine della transizione costituzionale «le libertà e i diritti civili saranno migliorati», finirà lo stato di emergenza e, si spera, la repressione a tutto campo. Ora nessuno può contestare il suo potere, almeno fino al 2023, quando la repubblica turca compirà cento anni. Dalle mosse dei prossimi giorni si capirà che eredità vuole lasciare il reiss. Un Paese stretto nella paura e chiuso in se stesso. O la nazione guida di un mondo musulmano conciliato con la modernità, come sogna nei suoi sogni migliori.

LA STAMPA - Marta Ottaviani: 'Carisma e grandi opere la sua ricetta vincente'

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Marta Ottaviani

Un leader ancora forte e un Paese destinato a rimanere polarizzato. Soner Cagatpay, analista del Washington Institute, spiega come leggere i risultati turchi.
Quali sono le sue prime impressioni su questo voto?
«La personalità di Recep Tayyip Erdogan rimane la più forte sulla scena. Il risultato delle presidenziali riflette quello del referendum costituzionale dello scorso anno. La Turchia è spaccata in due con una metà che sta con Erdogan. E questa metà è certa di vivere in un Paese dove ha potuto esprimere democraticamente la sua preferenza e di essere guidata da un leader forte eletto dal popolo».
E l’altra?
«La buona notizia è che in queste elezioni sono entrati molti partiti in parlamento. L’Assemblea turca non era così vivace dagli anni Novanta. L’ingresso curdo è un particolare molto importante e visto che nessuno si è voluto alleare con loro adesso giocheranno la loro partita da soli, magari anche alleandosi con Erdogan. Sarà molto importante capire se l’opposizione saprà compattarsi».
Rimane il fatto che Erdogan è di nuovo in parlamento e ha la maggioranza con la sua coalizione. Che farà adesso?
«Erdogan sa di aver vinto dopo una campagna molto sbilanciata e che in altre condizioni il risultato sarebbe stato diverso. Per lui non è il momento di allentare la presa. Mi aspetto una politica ancora più autoritaria».
Perché Erdogan vince?
«Carisma a parte, ha tirato fuori milioni di persone dalla miseria. Nel Paese sono state costruite centinaia di infrastrutture, le città hanno cambiato volto. Erdogan è un leader populista che ha anticipato alcune tendenze presenti oggi in Europa. Si è presentato come leader del popolo, contro le élite».

CORRIERE della SERA - Monica Ricci Sargentini: 'Il mio Paese è avvolto da terrore e censura Ma nei giovani adesso vedo speranza'


Monica Ricci Sargentini

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Elif Shafak

«Prima di giudicare questi risultati immaginate un Paese in cui uno dei principali candidati dell’opposizione è in prigione e la sua voce è censurata. Immaginate tutte le televisioni e i giornali a favore del governo. Queste non sono state elezioni condotte in modo sereno». È amareggiata Elif Shafak e pesa attentamente le parole prima di valutare i risultati del voto di ieri in Turchia. «Quello che è sorprendente è il modo in cui la società civile sta resistendo nonostante le difficoltà». Dalla sua casa di Londra la scrittrice, autrice della Bastarda di Istanbul risponde alle domande del Corriere.

L’opposizione però sembra aver fallito tutti i suoi obiettivi. «Penso che sia molto importante sottolineare che per la prima volta in molti anni l’opposizione si è unita trovando dei valori comuni. Prima era frammentata divisa. Invece questa volta ha mostrato una solidarietà incredibile nonostante le differenze. In queste elezioni è nato un nuovo leader Muharrem Ince, il candidato del partito socialdemocratico che si è dimostrato un politico carismatico, con un grande senso dell’umorismo. Una cosa che pensavamo fosse ormai impossibile».

Quindi qual è la lezione di questo voto? «Nonostante l’autoritarismo di Erdogan e lo stato di emergenza, a dispetto del clima di paura, di intimidazione e di censura, è incredibile che ci sia ancora speranza nell’aria».

Lei sta dicendo che non è il momento di essere pessimisti? «Quando guardo al governo della Turchia e all’élite politica sono naturalmente depressa. La Turchia è diventata la prigione più grande al mondo per i giornalisti. I professori universitari sono stati perseguitati per aver firmato una dichiarazione di pace. Non c’è libertà di espressione. I politici e la politica sono molto demoralizzanti».

E l’ottimismo? «Quando vedo la gente, specialmente i giovani, le donne, le minoranze, i cittadini comuni della Turchia. Beh loro sono fantastici. Nonostante questa situazione stanno resistendo. Il governo in Turchia è deprimente ma la società civile è piena di gente progressista che vuole la democrazia. Non dimentichiamocelo».

Negli ultimi anni la società è diventata sempre più polarizzata. Cosa si può fare per fermare questo processo? «La Turchia è un Paese profondamente polarizzato. E molto politicizzato. Ma in queste elezioni ci sono stati segni importanti di solidarietà nell’opposizione. Questo è un fatto nuovo. Muharrem Ince ha detto che se fosse stato eletto avrebbe formato un governo con membri di ogni partito. Un passo avanti insperato».

Da scrittrice non è preoccupata che la mancanza di libertà di espressione possa causare un arretramento culturale? «Ogni scrittore, giornalista o accademico sa che può avere problemi per una poesia, un romanzo un tweet e persino un retweet. Non c’è libertà di pensiero e questo crea un’atmosfera di paura e di autocensura».

Parlando di educazione, la crescita delle scuole religiose sembra avere come obiettivo quello di tramutare lo Stato secolare in uno Stato più religioso. Ince dice che i musulmani non ne hanno bisogno. Lei cosa pensa? «Sono molto preoccupata per la crescita delle scuole religiose. Prima di tutto come donna e come femminista. Le scuole religiose praticano la separazione di genere. E poi se uno crede nella democrazia, nel pluralismo e nella cultura c’è di che essere molto inquieti. Abbiamo bisogno di un’educazione secolare che promuova la scienza, l’arte, la cultura, la letteratura e l’umanesimo».

La questione curda: che si può fare per far ripartire il processo di pace? «Il processo di pace è incredibilmente importante. È ingiusto che i membri dell’Hdp siano in prigione e che le loro voci siano censurate. Ora la strada sarà ancora più dura. Anche perché il partito nazionalista è diventato dirimente per la maggioranza di governo. E loro sono contrari ad un accordo con i curdi».

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