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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
25.05.2018 Corea del Nord: Kim si rimangia tutto e continua ad attaccare l'America
Due servizi corretti di Paolo Mastrolilli, volgare disinformazione di Federico Rampini

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Paolo Mastrolilli - Federico Rampini
Titolo: «Trump cancella il vertice con Kim: 'Aperta ostilità' - Bluff, timori e l'ombra di Pechino sull'intesa mancata a Singapore - Una crisi di nervi sul mondo. Trump annulla vertice con Kim»

Riprendiamo oggi, 25/05/2018, dalla STAMPA a pag.14-15 con i titoli "Trump cancella il vertice con Kim: 'Aperta ostilità' ", "Bluff, timori e l'ombra di Pechino sull'intesa mancata a Singapore", due servizi di Paolo Mastrolilli; dalla REPUBBLICA, a pag. 1-35, con il titolo "Una crisi di nervi sul mondo. Trump annulla vertice con Kim", il commento di Federico Rampini, preceduto dal nostro.

Ecco gli articoli:

La Stampa - Paolo Mastrolilli: "Trump cancella il vertice con Kim: 'Aperta ostilità' "

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Paolo Mastrolilli

 

 «Purtroppo, sulla base della tremenda rabbia e aperta ostilità dimostrata nelle vostre dichiarazioni più recenti, ritengo sia inappropriato, in questo momento, tenere l’incontro a lungo pianificato». Sono le parole della lettera con cui il presidente Trump, dopo una riunione con il consiglio di sicurezza, ha cancellato ieri il vertice con il leader nordcoreano Kim Jong-un, in programma il 12 giugno a Singapore.

Nel suo messaggio, il capo della Casa Bianca ha ringraziato Kim per il negoziato e la liberazione dei tre detenuti americani. L’escalation retorica degli ultimi giorni, però, ha reso impossibile l’appuntamento: «Voi parlate delle vostre capacità nucleari, ma le nostre sono così massicce e potenti, che io prego Dio non vengano mai usate». Quindi Trump ha concluso la sua lettera a Kim con un tono confidenziale, lasciando aperta la porta al dialogo: «Se cambiassi idea, non esitare a chiamarmi o scrivere. Il mondo e la Corea hanno perso una grande opportunità».

La prima crepa
Le prospettive del vertice bilaterale avevano iniziato a vacillare quando Pyongyang si era lamentata dell’esercitazione militare Max Thunder condotta da Washington e Seul, e il consigliere per la sicurezza nazionale Bolton aveva indicato la Libia come il modello da seguire. Il regime aveva risposto con irritazione, perché la rimozione di Gheddafi era proprio il precedente che usava per giustificare lo sviluppo del programma nucleare. Quindi Trump aveva ospitato alla Casa Bianca il collega sudcoreano Moon, grande mediatore del dialogo cominciato alle Olimpiadi invernali, per chiarire cosa stava avvenendo. Moon, che aveva incontrato Kim in uno storico vertice avvenuto nella zona demilitarizzata, aveva detto che Pyongyang si stava riposizionando per il negoziato, ma il vertice poteva ancora avvenire. Trump aveva commentato di aver posto alcune condizioni, e ora la scelta toccava a Kim.

Il modello da seguire
Nelle ultime ore, però, due eventi hanno fatto precipitare la situazione. Il primo è stata un’intervista del vice presidente Pence alla Fox, in cui ha ripetuto che la Libia era il modello da seguire. Il secondo è stata la risposta della vice ministro degli Esteri nordcoreana, Choe Son-hui, che ha definito Pence un «pupazzo politico», e ha minacciato Washington: «Noi siamo pronti ad incontrarvi al tavolo del negoziato, ma anche in un confronto nucleare». Poche ore dopo Trump ha scritto la lettera per annullare l’appuntamento di Singapore, anche se nel frattempo Pyongyang aveva proceduto con la distruzione del sito dove faceva i test atomici. Moon ha detto di essere «sconcertato» per la cancellazione del vertice, ma ha sollecitato tutti a proseguire il dialogo. Parlando alla Casa Bianca Trump, che pensava di meritare il Nobel per la pace per la sua iniziativa, ha lasciato aperta la porta al dialogo: «Se ci ripensate, io vi aspetto». Anche l’opzione militare, però, torna ora sul tavolo.

La Stampa - Paolo Mastrolilli: "Bluff, timori e l'ombra di Pechino sull'intesa mancata a Singapore"

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Donald Trump, Kim Jong-un

La mossa del presidente Usa potrebbe essere una strategia per raggiungere un vero accordoTrump sospetta che il presidente cinese Xi si sia messo di traverso, spingendo Kim a far deragliare il vertice, ma i suoi consiglieri pensano che il leader nordcoreano non fosse mai stato sincero sulla disponibilità a denuclearizzare il Paese. Il timore era che il capo della Casa Bianca arrivasse a Singapore, e non trovasse al tavolo non solo un accordo pronto, ma neppure il suo interlocutore. Per evitare l’imbarazzo Washington ha cancellato, prima di subire l’onta del rifiuto.

Trump ha espresso apertamente il sospetto che Xi, durante il secondo e imprevisto incontro avuto di recente con Kim, lo abbia bloccato. Non solo per ottenere vantaggi nel delicato negoziato in corso con gli Usa sulle dispute commerciali, ma anche perché Pechino non voleva lasciare la guida del processo di pace agli Stati Uniti, e non ha interesse a ritrovarsi davanti ai propri confini una Corea magari riunificata sotto l’egida americana.

La paura del golpe
Nello stesso tempo Kim ha subìto la pressione dei falchi del suo regime, in particolare i militari, al punto che temeva il rischio di un colpo di stato mentre era a Singapore. Tutti gli analisti, peraltro, concordano sul fatto che alla base del vertice c’era un malinteso di fondo. Trump si era convinto che il leader nordcoreano avesse cambiato la visione strategica del futuro del suo Paese, accettando la denuclearizzazione immediata, o in fasi ravvicinate, in cambio di aiuti economici e garanzie sulla sua sopravvivenza. Kim invece era disposto solo a concessioni ridotte e scaglionate nel tempo, in cambio del riconoscimento del suo status e il disimpegno militare degli Usa nella penisola. Su queste basi non c’era accordo possibile.

A ciò va aggiunto che il nuovo consigliere per la sicurezza nazionale, Bolton, non aveva mai condiviso l’ottimismo del segretario di Stato Pompeo sulla reale possibilità di arrivare ad un’intesa. Lui ed altri consiglieri pensavano che Trump fosse stato avventato ad accettare subito la proposta di Kim, senza essere abbastanza preparato e senza avere una strategia precisa, oltre alla presunzione che le sue doti naturali di negoziatore lo avrebbero fatto uscire vincitore da Singapore. Dal principio, quindi, Bolton aveva spinto per annullare l’appuntamento, o aveva cercato di boicottarlo con le sue uscite.

Le provocazioni
I primi campanelli d’allarme concreti hanno suonato nei giorni scorsi, quando gli interlocutori nordcoreani non rispondevano più alle richieste di finalizzare i dettagli del vertice. Neppure un blando comunicato congiunto era stato concordato, e Pyongyang aveva cancellato un incontro per la pianificazione logistica. Poi sono cominciate le dichiarazioni provocatorie, da una parte e dall’altra, che erano solo il segnale pubblico della volontà privata di boicottare Singapore.

Il problema ora è come procedere. Trump voleva il vertice, perché lo considerava un successo storico, e ha lasciato aperta la porta alla possibilità di resuscitarlo. Non è detto però che Kim sia ancora interessato. Il leader nordcoreano è riuscito ad allentare la pressione economica internazionale, allontanare Seul da Washington, e dimostrare al mondo, ma soprattutto a Cina e Russia, che lui era responsabile ma Trump ha fatto saltare il vertice. In questo clima non sarà facile per Donald ristabilire la «massima pressione», costringere Kim a tornare al tavolo alle sue condizioni, e nel caso giustificare una soluzione militare.

LA REPUBBLICA - Federico Rampini: "Una crisi di nervi sul mondo. Trump annulla vertice con Kim"

Rampini si chiede: "Il mondo può vivere ogni giorno sull’orlo di una crisi di nervi? Sembra il nostro destino nell’era Trump". Già in questa sola frase è contenuta tutta la disinformazione che prende forma pienamente nello sviluppo dell'articolo. Tutto si basa, infatti, sul rovesciamento delle responsabilità: di conseguenza, secondo Rampini, è Trump il responsabile della "crisi di nervi" del mondo.  Come se non bastasse, Rampini definisce "paranoici" il dittatore nordcoreamo Kim Jong-un e Donald Trump, ponendoli sullo stesso piano. Rampini "dimentica" però che il primo è un tiranno sanguinario, il secondo il presidente eletto della più grande democrazia del mondo, che aveva iniziato con il tentativo di far recedere con le buone  il dittatore coreano.

Ecco il pezzo:

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Federico Rampini

Il mondo può vivere ogni giorno sull’orlo di una crisi di nervi? Sembra il nostro destino nell’era Trump. Ora che è stato cancellato – o forse solo rinviato? – lo storico summit della pace che doveva tenersi a Singapore il 12 giugno, che cosa ci aspetta? Che l’Estremo Oriente torni ad essere il luogo dove si sfiora la terza guerra mondiale? Ricominceranno i test atomici e missilistici nordcoreani, e le minacce di “attacco preventivo” da parte degli Stati Uniti? Siamo al terzo capovolgimento nella saga Trump-Kim. Il presidente americano sul finire dell’anno scorso sbeffeggiava il suo segretario di Stato ( poi licenziato: Rex Tillerson) mandandogli a dire via Twitter: « Perdi tempo a cercar di negoziare con Ometto- Razzo, un pazzo che non esita a sterminare il suo popolo». Poi intorno al Capodanno, grazie al presidente sudcoreano Moon e alle sue Olimpiadi della Pace, il colpo di scena: volemose bene. Trump e Kim si erano scambiati manifestazioni di stima, fino all’annuncio dell’incredibile summit fra due leader che si erano promessi distruzione reciproca. Ora si torna quasi alla casella di partenza. Quasi ma non del tutto. La lettera con cui Trump cancella l’appuntamento del 12 giugno trasuda rimpianto mescolato a minacce. Sembra scritta da un corteggiatore deluso, amareggiato e inacidito, ma ancora segretamente innamorato. La lettera di ieri con sigillo della Casa Bianca riecheggia il celeberrimo tweet «il mio bottone nucleare è più grosso del tuo » , nel passaggio in cui scrive al nordcoreano « tu parli della vostra capacità nucleare ma la nostra è talmente più massiccia e potente che prego Dio di non doverla mai usare». Poi subentra la nostalgia: «Sentivo che un meraviglioso dialogo si stava costruendo fra noi » . Infine la speranza: «Un giorno forse ci vedremo, se cambi idea non esitare a chiamarmi». Trump lavora per fare felici gli autori di satira politica. Includendo la dimensione psichiatrica: era dai tempi di Stalin e Hitler che non si affacciavano sulla scena due egomaniaci di questa stazza. Ma allora è vero il detto di Marx: la storia prima è tragedia, poi si ripete in farsa. Al netto dello show, nel quale sia Trump che Kim sono versati, che cos’era accaduto per passare dal primo al secondo al terzo capovolgimento? Ciascuno ha cercato di fare il furbo, sfruttando le debolezze della controparte. Il sudcoreano Moon capì che far balenare un Nobel per la Pace a Trump – “il vertice senza precedenti nella storia” – poteva solleticare l’infinita vanità del presidente americano, spingendolo verso quella smilitarizzazione che vuole la sinistra pacifista e neutralista di Seul. Il dittatore comunista di Pyongyang colse l’occasione per rifare il colpaccio di suo padre: quello che aveva promesso disarmo e ottenuto aiuti economici dall’America, per poi rinnegare ogni impegno. Kim s’infilò nella sceneggiata del summit con abilità, per estorcere il massimo da Trump e Moon (fine delle sanzioni, quattrini a palate), in cambio di qualche gesto simbolico: smantellamento di uno solo degli impianti nucleari nordcoreani, sotto la vigilanza di “giornalisti esteri” (senza facili ironie sulla nostra categoria, quello è il mestiere degli ispettori-scienziati dell’Aiea). Il cinese Xi Jinping ha manipolato tutti: a Trump ha chiesto la fine dei dazi in cambio della sua mediazione; si è preso il ruolo di garante verso la ricca Corea del Sud che vuole risucchiare nella sfera dei propri vassalli. Infine Xi ha costretto il riottoso Kim a fare ben due viaggi “a Canossa”, cioè a Pechino, dove il dittatore-nipote si era rifiutato di andare a lungo, per i sospetti su un tentato colpo di Stato ai danni di suo padre, probabilmente ordito dai cinesi. Le trame di Shakespeare, da Re Lear a Macbeth, al confronto sono banali. Il più incosciente di tutto ciò sembrava Trump. Camminava verso il vertice come un sonnambulo sul ciglio di un burrone. Attorno a lui però cresceva l’inquietudine. Il suo neo-consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, era arciconvinto che l’appuntamento di Singapore fosse una trappola, dove Kim avrebbe incassato una fantastica legittimazione in cambio di vaghe promesse, iniziando un tortuoso negoziato a base di ricattucci, menzogne, promesse inverificabili. Alla fine ci ha pensato il vicepresidente Mike Pence a fare il lavoro sporco, con una laconica uscita in un talkshow: o Kim smantella in modo unilaterale e definitivo tutto il suo nucleare, o si espone a fare la fine di Gheddafi. Giù le maschere, e fine della commedia. Per ora. Può darsi che al capitolo successivo si torni dalla farsa alla tragedia. Oppure che il “rimpianto amoroso” di Trump faccia leva sulla vanità dell’altro paranoico. Si accettano scommesse, ma finora il banco vincente è a Pechino.

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