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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Nazione/Carlino/Giorno Rassegna Stampa
18.05.2018 Islam Italia, ancora violenza sulle donne: 'Il nostro Paese troppo permissivo'
Cronaca di Federico Gervasoni, Giovanni Rossi intervista Souad Sbai

Testata:La Stampa - Nazione/Carlino/Giorno
Autore: Federico Gervasoni - Giovanni Rossi
Titolo: «Pachistana di 19 anni rapita dai familiari e costretta all’aborto - 'Il nostro Paese troppo permissivo. Queste famiglie vanno fermate'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 18/05/2018, a pag.17 con il titolo "Pachistana di 19 anni rapita dai familiari e costretta all’aborto", la cronaca di Federico Gervasoni; da NAZIONE/CARLINO/GIORNO, a pag. 9, con il titolo 'Il nostro Paese troppo permissivo. Queste famiglie vanno fermate', l'intervista di Giovanni Rossi a Souad Sbai.

segnaliamo la pagina dedicata al Film "Cosa dirà la gente"

Ecco gli articoli:

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Sana Cheema

LA STAMPA - Federico Gervasoni: "Pachistana di 19 anni rapita dai familiari e costretta all’aborto"

Prigioniera in Pakistan e costretta dai genitori ad abortire il figlio che aveva concepito. Dopo la terribile tragedia di Sana Cheema, la 25 enne bresciana uccisa a Mangowal dal padre e dal fratello più grande per aver rifiutato le nozze combinate, un’altra triste storia simile arriva da Verona. Farah, studentessa di 19 anni, lo scorso gennaio è stata condotta forzatamente a Islamabad dai parenti. La giovane dopo essere stata obbligata a interrompere bruscamente la gravidanza, si troverebbe segregata in casa contro la sua volontà.

A denunciare per prime la preoccupante vicenda sono state le compagne di scuola dell’istituto professionale veronese Sanmicheli. La ragazza proprio alle amiche avrebbe inviato nelle scorse settimane messaggi inquietanti e d’allarme via WhatsApp: «Aiuto, fatemi tornare, mi hanno sedato e costretta ad abbandonare il bambino». La giovane, iscritta al quinto anno e prossima alla Maturità, era rimasta incinta alcuni mesi fa nel corso della relazione con un compagno di classe italiano. Sulla vicenda sta attualmente indagando la Digos che dopo aver preso coscienza della gravità della situazione ha ricostruito i rapporti tra la diciannovenne e la famiglia. Legami burrascosi, a quanto pare, tanto che Farah lo scorso settembre aveva denunciato proprio per maltrattamenti il padre e successivamente era stata ospitata in una casa-famiglia nella città scaligera. Tuttavia, a partire dal 9 gennaio scorso aveva volontariamente fatto rientro nell’abitazione paterna.

A Verona dal 2008, il padre gestisce un negozio nel multietnico quartiere di Veronetta, rione popolato prevalentemente da stranieri. In questo momento, è stato appurato che nessun familiare di Farah si trova nel nostro Paese. L’istituto professionale al quale risulta iscritta la ragazza, nei mesi scorsi aveva deciso di aiutarla, anticipandole l’esame di Maturità, per permetterle così di portare a termine senza difficoltà la gravidanza. Ma a gennaio Farah è partita incinta per il Pakistan insieme ai familiari e nonostante avesse garantito a docenti e compagni di tornare una settimana dopo, non ha invece più fatto ritorno. Lo stesso motivo di questo improvviso viaggio, ovvero il presunto matrimonio di un parente, sarebbe in realtà un tranello per allontanare la diciannovenne da Verona. A complicare ulteriormente la faccenda è il fatto che la giovane, diversamente da Sana, non è cittadina italiana.

«Farah aveva deciso di aderire al Centro Petra, la struttura che si occupa della violenza sulle donne - afferma l’assessore ai Servizi sociali del Comune di Verona, Stefano Bertacco -. Eppure, dopo essersi riconciliata con la famiglia, dal 9 gennaio abbiamo completamente perso le sue tracce. Ora siamo molto preoccupati e al tempo stesso mi auguro che si faccia qualcosa di concreto per aiutarla a tornare». L’Ufficio scolastico provinciale nei giorni scorsi ha provveduto a segnalare quanto accaduto al consolato del Pakistan con sede a Milano. Trattandosi però di una cittadina straniera attualmente presente nel Paese d’origine, le possibilità della Farnesina di poterla riportare sana e salva in Italia sono piuttosto flebili.

Ieri, in tarda serata, il ministero degli Esteri ha chiesto all’ambasciata italiana a Islamabad di verificare con urgenza le notizie relative alla diciannovenne pachistana. Intanto, in Procura a Verona nessuna inchiesta è stata al momento aperta mentre l’istituto Sanmicheli non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Preoccupato il fidanzato che vive a Verona, anche lui destinatario dei messaggi da brividi che hanno fatto scattare l’allarme. Un’angoscia destinata ad aumentare, considerata la difficoltà a capire cosa stia realmente accadendo nel Paese d’origine della giovane. Secondo quanto trapelerebbe dalle chat inviate alle amiche, il padre, da sempre contrario alla relazione della figlia con il coetaneo italiano, le avrebbe nascosto i documenti per impedirle in tutti i modi di rientrare mentre la madre, aiutata da altri familiari, sorveglierebbe di continuo ogni suo spostamento, al punto da legarla a una sedia e imbottirla di medicinali. La priorità assoluta resta comunque quella di rintracciare al più presto Farah prima che, come già accaduto a Sana e a molte altre ragazze prigioniere in Pakistan, diventi troppo tardi.

NAZIONE/CARLINO/GIORNO - Giovanni Rossi: 'Il nostro Paese troppo permissivo. Queste famiglie vanno fermate'

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Souad Sbai

«SE SOLO sapeste quante storie di sopraffazione ci sono, in Italia, tra le ragazze come Farah... Non sono casi isolati. Io urlo, grido, denuncio. Ma è come se a questo Paese non importasse. E francamente non me lo spiego». Souad Sbai, giornalista italo-marocchina e attivista per i diritti delle donne con particolare attenzione per il mondo islamico, è una furia telefonica. Di chi è la responsabilità in questi casi? «Di uno Stato che se ne frega. Di uno Stato al quale evidentemente non interessano gli immigrati e le immigrate di seconda generazione.

«SE SOLO sapeste quante storie di sopraffazione ci sono, in Italia, tra le ragazze come Farah... Non sono casi isolati. Io urlo, grido, denuncio. Ma è come se a questo Paese non importasse. E francamente non me lo spiego». Souad Sbai, giornalista italo-marocchina e attivista per i diritti delle donne con particolare attenzione per il mondo islamico, è una furia telefonica. Di chi è la responsabilità in questi casi? «Di uno Stato che se ne frega. Di uno Stato al quale evidentemente non interessano gli immigrati e le immigrate di seconda generazione.

SI SENTE ITALIANO Secondo una ricerca dell'Osservatorio lombardo tra ragazzi di 15-25 anni islamici, solo uno su quattro si sente italiano a tutti gli effetti ne. Giovani nati qui, cresciuti in mezzo ai valori occidentali e poi lasciati in balla di comunità patriarcali e radicali, dove pseudo-imam sottomettono i nuclei familiari e li assoggettano a un controllo estenuante». Come si interrompe questa catena perversa? «Disintegrando il multiculturalismo, rifiutando la diversità come valore quando è invece puro disvalore. E in nome di questo lassismo che lo Stato chiude un occhio, a volte due, quando le famiglie di immigrati islamici lasciano le bambine a casa già a 11 anni, dopo le elementari». A undici anni? «Sì. Le scuole medie sono un confine pericoloso. A 15 anni una ragazzina è già diventata donna e magari ha assorbito sentimenti e comportamenti occidentali. Se invece non va in classe, il rischio si azzera. E così, invece di promuovere l'integrazione, noi italiani siamo i primi complici di un islamismo arretrato che lavora contro il futuro». Nei più clamorosi episodi di cronaca - Nina, Sana, ora Farah - ricorre un'idea patriarcale della famiglia in cui la donna è oggetto di sottomissione: un'idea deviata di per sé, l'elemento religioso non è sostanziale. Oppure il contesto islamico ne espande, in qualche modo, l'inflessibile affermazione? «Uno Stato davvero laico e interventista non lascerebbe scampo alle mistificazioni cui assistiamo, magari infiocchettate da rispetto della tradizione o della libertà di culto».

10 MOSCHEE In Italia ci sono solo dieci moschee ufficialmente riconosciute. Il resto sono centri di preghiera ospitati in strutture di fortuna Troppe zone franche? «L'estremismo identitario è il nemico più pericoloso. Guai a girarsi dall'altra parte. In Marocco, se una bambina di 11 anni non va a scuola, arriva la polizia e arresta i genitori. In Pakistan sono bastati due giorni per sbattere in galera il padre di Sana, poi assassino reo confesso. L'Islam italiano non lavora per l'integrazione. Sa cosa mi dicono le mie fonti maghrebine per i diritti femminili? Voi italiani stateci lontano, perché ci inquinate». La sua vecchia polemica contro l'Ucoii [l'Unione delle comunità italiane islamiche) riprende vigore? «Non l'ha mai perso. Ai tavoli di confronto è indispensabile la voce di chi, come me, pur essendo nata in un paese musulmano, ha un'idea laica della vita». Lei è nata in Marocco, nel 1981 è arrivata in Italia, è cittadina italiana, è stata anche deputata (nel Pdl, poi in Fli). Se oggi fosse una giovanissima studentessa immigrata di seconda generazione, cosa chiederebbe all'Italia? «Difendimi sempre: se serve, anche dai miei familiari. E aiuta anche loro a proteggersi da chi lavora per l'autosegregazione. Questo è un Paese in cui intere comunità sono sequestrate da pseudoreligiosi senza scrupoli».

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