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Il Giornale - Libero Rassegna Stampa
17.05.2018 Gaza: i commenti che informano 2
Fiamma Nirenstein intervista Harold Rhode, commenti di Fausto Biloslavo, Roberto Fabbri, Mirko Molteni

Testata:Il Giornale - Libero
Autore: Fiamma Nirenstein - Fausto Biloslavo - Roberto Fabbri - Mirko Molteni
Titolo: «'Ora il Sultano guida la guerra a Israele. Vuole essere il capo supremo dell'islam' - La sfida di Erdogan all'Europa. Un comizio turco a Sarajevo - Gerusalemme accusa Hamas: 'Usano i bambini come armi' - L'Europa si spacca pure su Israele e Palestina»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 17/05/2018, a pag. 11, con il titolo 'Ora il Sultano guida la guerra a Israele. Vuole essere il capo supremo dell'islam', l'intervista di Fiamma Nirenstein a Harold Rhode, ex capoufficio turco al Pentagono; con il titolo "La sfida di Erdogan all'Europa. Un comizio turco a Sarajevo", il commento di Fausto Biloslavo; a pag. 10, con il titolo "Gerusalemme accusa Hamas: 'Usano i bambini come armi' ", il commento di Roberto Fabbri;da LIBERO, a pag. 8, con il titolo "L'Europa si spacca pure su Israele e Palestina", il commento di Mirko Molteni.

Ecco gli articoli:

Il Giornale - Fiamma Nirenstein: 'Ora il Sultano guida la guerra a Israele. Vuole essere il capo supremo dell'islam'

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Fiamma Nirenstein

Gerusalemme Membro della Nato, nostro alleato, dove vuole andare il presidente turco Tayyp Erdogan quando dice di Israele che è un Paese di apartheid, che dal 1948 è occupato nella pulizia etnica del popolo palestinese perseguitato, in cui è compreso Hamas, il suo migliore amico, che è uno stato terrorista che commette genocidio? Lo abbiamo chiesto all'ex capo dell'ufficio turco al Pentagono, Harold Rhode, studioso di fama mondiale, suo mentore Bernard Lewis, il maggiore mediorientalista vivente.

Dottor Rhode, perché Erdogan ama caratterizzarsi come il maggior nemico di Israele? «Il disegno di Erdogan è duplice: da una parte vuole essere il leader supremo del musulmano mondo sunnita, il capo indiscusso, e per questo è indispensabile guidare, come il Soleimano, la guerra vittoriosa per Gerusalemme. Erdogan qui è in competizione con chiunque, compreso Abu Mazen: è lui che deve cacciare gli infedeli alla Grande Moschea, il responsabile della Spianata. Quindi, di fronte al suo mondo è l'avanguardia della battaglia contro Israele, un ruolo prescelto da tempo: come quando intimò a Peres di tacere dicendogli a Davos che era un assassino, quando spalleggiò fino a rompere con Israele la missione della Mavi Marmara».

Anche al costo di mettersi dalla parte di Hamas, un'organizzazione terrorista? «Per lui Hamas è un'organizzazione islamica che aderisce alla Fratellanza Musulmana, di cui è il leader riconosciuto. Per questo sostenne Morsi in Egitto».

Fino a trattare Naeh, l'ambasciatore israeliano in Turchia, come un delinquente? «Qui viene l'elemento basilare nella cultura islamica, dove tutto è o umiliazione o onore. Naeh è stato umiliato, Israele è stata umiliata. Come quando è stato ricostruito un accordo fra i due Paesi dopo la Mavi Marmara: in tutta la Turchia sono apparsi cartelli con la faccia di Netanayhu e la scritta Io mi scuso. Umiliato Bibi, umiliata Israele. Così anche adesso. E più tu sei umiliato, più io godo del mio onore».

«Qui viene l'elemento basilare nella cultura islamica, dove tutto è o umiliazione o onore. Naeh è stato umiliato, Israele è stata umiliata. Come quando è stato ricostruito un accordo fra i due Paesi dopo la Mavi Marmara: in tutta la Turchia sono apparsi cartelli con la faccia di Netanayhu e la scritta Io mi scuso. Umiliato Bibi, umiliata Israele. Così anche adesso. E più tu sei umiliato, più io godo del mio onore».

Veniamo al secondo scopo del disegno di Erdogan... «In ordine di tempo è il primo, è sempre stato con lui da quando era uno studente. Riportare la Turchia all'islam. Dopo la grande rivoluzione di Kemal Ataturk che portò la Turchia nel versante moderato e occidentale del mondo, la pancia del paese ha sempre seguitato a ruminare un ritorno alle origini. Erdogan se ne è fatto intelligentissimo interprete, parlando all'estero il linguaggio della diplomazia e degli interessi, per esempio quello di aver la Turchia nella Nato, e invece spingendo avanti l'aspirazione del popolo turco alla sharia, alla gloria della Turchia imperiale, al ritorno ai testi, persino il ritorno alla lingua sacra del Corano scritto in arabo».

Ma Erdogan, con tutti i suoi difetti, è rimasto sempre nell'ambito del sistema democratico. «Sì, è un dittatore democratico, che con l'uso alternato della forza e della legge ha fatto fuori qualsiasi forma di opposizione e anche qualsiasi attendibile leader alternativo. Ora usa la crisi con Israele come usò quello della Mavi Marmara, per prender voti alle prossime elezioni che si terranno fra un mese. Erdogan ha detto quando era sindaco di Istanbul: La Democrazia è come un treno. Quando arrivi alla fermata, scendi. È lui che combatte con tutte le forze i curdi, i giornalisti, i dissidenti, i manifestanti. Ha sempre pronta un'accusa di terrorismo, gioca su parole e concetti e confida sulla difficoltà, anche legata all'immigrazione, che Europa e Usa hanno a rompere con lui».

Quindi non c'è domani? Bernard Lewis ha scritto che la Turchia sarà l'Iran di domani, e l'Iran la Turchia. Che vuol dire? «Che l'Iran rovescerà il regime, e di nuovo si unirà alla comunità delle nazioni. La Turchia andrà indietro al suo ruolo di paese dominato dalla sharia a capo del mondo sunnita, contro l'Occidente».

Il Giornale - Fausto Biloslavo: "La sfida di Erdogan all'Europa. Un comizio turco a Sarajevo"

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Fausto Biloslavo

Il «sultano» sfiderà l'Europa a Sarajevo. La prossima domenica il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, terrà il primo e unico comizio all'estero della sua campagna elettorale nel cuore dei Balcani. L'uomo forte di Ankara ha fortemente voluto il voto anticipato del 24 giugno per il rinnovo del parlamento e della presidenza con l'obiettivo di conquistare il potere assoluto. Per farlo ha bisogno pure dei turchi che vivono all'estero. Nell'Unione europea i suoi connazionali sono ben 3 milioni, ampio bacino di voti del partito di Erdogan, Giustizia e sviluppo. Non a caso Germania, Austria e Belgio dove vive la maggioranza dei turchi nella Ue, hanno vietato raduni elettorali sul loro territorio anche al neo «sultano». Per questo motivo Erdogan sta preparando un mega comizio a Sarajevo, dove arriveranno i turchi di mezza Europa. La stampa di Berlino segnala da giorni che sono previsti centinaia di autobus dalla Germania. Qualche secolo fa i giannizzeri sono passati da Sarajevo per puntare su Vienna. Adesso Erdogan usa le armi della propaganda con l'obiettivo di penetrare nel ventre molle dell'Europa. Il grande raduno si terrà nello storico palazzetto dello sport Zetra costruito per le Olimpiadi, poi semi distrutto dalla guerra e adesso ristrutturato. L'edificio può ospitare 20mila persone, ma ci si attende una folla ancora più ampia. E al fianco di Erdogan ci sarà anche l'amico personale, Bakir Izetbegovic, membro musulmano della presidenza bosniaca. Sarajevo si è spaccata in due generando sui social i fronti contrapposti. «Benvenuto Sultano, unico amico del nostro popolo nei Balcani» si legge sulla pagina Facebook in appoggio alla visita. «Dittatore» è il secco giudizio dei rivali, i «Cittadini di Sarajevo contro il meeting di Erdogan». Il leader serbo bosniaco, Milorad Dodik ha accusato la Turchia «di sostenere» smaccatamente solo la «parte musulmana» di Bosnia. L'ambasciatore austriaco ha criticato l'idea del presidente turco di tenere un comizio a Sarajevo nel cuore, storicamente esplosivo, dei Balcani. La cancelliera Angela Merkel ha dichiarato «di essere molto preoccupata» del raduno politico ai tre rappresentanti della presidenza bosniaca in visita a Berlino. Negli ultimi giorni in Germania è scoppiata l'ennesima polemica con la Turchia dopo la pubblicazione delle foto dei campioni della nazionale tedesca di calcio, Mesut Özil e Ilkay Gündogan, di origini turche assieme ad Erdogan. Il «sultano» aveva bollato il divieto di Berlino a tenere comizi in Germania come «reminiscenze del passato nazista». Le foto sono state messe in rete dal partito Akp del presidente turco. E i tedeschi hanno chiesto, invano, la loro esclusione dalla nazionale. Erdogan userà Sarajevo come palcoscenico per sfidare la Ue, che a breve difficilmente aprirà le braccia all'ingresso della Turchia tanto agognato da Ankara. E probabilmente tornerà ad attaccare Israele dopo i sanguinosi scontri fra palestinesi ed israeliani a ridosso della striscia di Gaza. Venerdì ha convocato ad Istanbul l'Organizzazione per la cooperazione islamica e scatenato una «guerra» diplomatica con lo Stato ebraico. La Turchia ha richiamato l'ambasciatore da Israele e dagli Stati Uniti, che hanno aperto la loro sede diplomatica a Gerusalemme. Ankara ha espulso l'ambasciatore israeliano Eitan Naeh sottoponendolo a un'umiliante perquisizione in aeroporto ripresa dalla tv pubblica. Erdogan ha accusato gli israeliani di «genocidio» nei confronti dei palestinesi. Il premier ebraico Benjamin Netanyahu ha risposto che non prende lezioni da chi «ha le mani sporche del sangue di un numero incalcolabile di civili curdi in Turchia e in Siria». Il parlamento israeliano potrebbe votare a breve il riconoscimento del genocidio armeno aggiungendo altra benzina sul fuoco. E Yair il figlio di Netanyahu, privato cittadino, ieri su Instagram ha scritto «la Turchia si f...».

Il Giornale - Roberto Fabbri: "Gerusalemme accusa Hamas: 'Usano i bambini come armi' "

Le violenze al confine di Gaza sono cessate repentinamente, lasciando agli analisti di cercare di spiegare la mancata esplosione finale delle proteste palestinesi. Solo isolati scambi di colpi d'arma da fuoco ricordano che fino al giorno prima qui era stato versato tanto sangue. Quello che invece non cessa sono le polemiche seguite a quelle violenze, e in particolare alla gravità del bilancio delle vittime tra i manifestanti. Da una parte continua e si aggrava la crisi diplomatica tra Israele e la Turchia, che si è assunta il ruolo di protettrice internazionale dei palestinesi, dall'altra continuano le proteste, praticamente a senso unico, contro l'uso della forza «sproporzionato» da parte delle forze armate dello Stato ebraico. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto che è «blasfemo chiamare terroristi i civili uccisi». E ieri, dopo le proteste di Svizzera e Belgio, è stata la volta del Lussemburgo a convocare l'ambasciatore israeliano. Ma la linea israeliana rimane netta: si è dovuta usare la forza per difendere i civili israeliani da una violenza pericolosa istigata dallo stesso governo di Gaza, in mano ai terroristi islamici di Hamas. Interprete principe di questa linea è il ministro della Difesa Avigdor Lieberman, che replica a quanti accusano Israele di gratuita violenza contro i dimostranti palestinesi con parole secche e sprezzanti, come è suo costume. «Non ascoltate il coro di ipocriti nel mondo - ha twittato Lieberman - Possiamo solo immaginare cosa sarebbe successo se uno di questi terroristi fosse entrato nelle nostre comunità. È nostro dovere impedirgli di raggiungere il nostro territorio e farci del male». Dichiarazioni in qualche modo confermate da uno dei comandanti di Hamas, che afferma che 50 vittime palestinesi a Gaza erano loro militanti. Poi il ministro accusa direttamente i governanti di Gaza per la morte di oltre sessanta suoi cittadini, tra cui tanti minorenni: «I leader di Hamas sono dei cannibali che usano dei bambini come armi. Il loro obiettivo è di far sollevare il blocco a Gaza, ma non per far ripartire l'economia e parlare di coesistenza, quanto per contrabbandare armi e creare un modello Hezbollah». Non sono le uniche dichiarazioni impegnative che arrivano da Israele. Il premier Benjamin Netanyahu prima replica alle pesanti accuse del presidente turco Erdogan, ricordandogli che «chi ha le mani sporche di sangue non può darci lezioni», poi deve gestire una nuova intemperanza del figlio 26enne Yair, che su Instagram ha pensato bene di invitare testualmente la Turchia a «fottersi». «Yair Netanyahu è un privato cittadino», precisa con qualche imbarazzo la famiglia del premier. Questo mentre Israele reagisce alla umiliazione inflitta al suo ambasciatore ad Ankara - costretto a subire una perquisizione in aeroporto - restituendo identico sgarbo al rappresentante turco subito convocato ed espulso. Dispetti che riportano i rapporti tra i due Paesi, ricostruiti con fatica negli ultimi tempi, ai punti più bassi da otto anni a questa parte. Ieri il Guatemala ha seguito gli Stati Uniti trasferendo la sua ambasciata in Israele a Gerusalemme, e la portata simbolica del gesto è tale che per accogliere il presidente di questo piccolo Paese centroamericano si è scomodato Netanyahu in persona. Qualcosa di simile avverrà certamente quando faranno lo stesso Romania, Ungheria e Cechia, che hanno creato un caso all'interno dell'Ue bloccando una dichiarazione europea critica verso il trasferimento dell'ambasciata Usa a Gerusalemme.

Libero - Mirko Molteni: "L'Europa si spacca pure su Israele e Palestina"

L'Europa oscilla ambiguamente una volta di più. Non riuscire a indicare con chiarezza la responsabilità dei terroristi di Hamas è l'ennesimo sintomo della crisi di un Continente, incapace di difendere la libertà di fronte alla barbarie.

Ecco il pezzo:

La nuova crisi in Terrasanta divide l'Europa, aggiungendo un motivo di divario atlantico alle già differenti posizioni sul parallelo dossier dell'Iran. Dopo l'inaugurazione dell'ambasciata americana a Gerusalemme, con plauso del premier Benjamin Netanyahu verso la scelta del presidente Donald Trump, il confronto diplomatico corre attraverso il nostro continente, fra la posizione dominante a Bruxelles, sede dell'Unione Europea, critica nei confronti dello stato ebraico, di cui ha definito «eccessive» le misure difensive contro i manifestanti di Hamas, e diversi governi della Mitteleuropa, che avevano scelto di far presenziare i propri ambasciatori alla cerimonia. La ritorsione palestinese è giunta ieri, col richiamo dei propri ambasciatori distaccati in Romania, Repubblica Ceca, Austria e Ungheria, preceduta di poche ore dalla partenza dell'ambasciatore negli Stati Uniti, Husam Zomlot, che pure ha sbattuto la porta. Del resto, almeno due di queste nazioni, Romania e Cechia, già progettano di seguire le orme degli Stati Uniti aprendo una loro ambasciata a Gerusalemme entro poche settimane. Le ha però bruciate sul tempo già ieri il piccolo Guatemala. I TIFOSI DI HAMAS Comunque, la frattura tra capitali dell'Europa centroorientale e capitali di quella occidentale cresce, tanto che in Belgio, addirittura, il Ministero degli Esteri ha rimproverato l'ambasciatrice israeliana Simona Frankel per aver paragonato i dimostranti di Hamas a dei terroristi. Al che, ieri la Frankel ha ribadito di non aver intenzione di scusarsi. Che l'Unione Europea, perlomeno il suo nucleo basato sull'asse Germania-Francia e satelliti, sia in rotta di collisione con Usa e Israele, è dovuto anche alla parallela concomitanza con la disputa sul trattato nucleare con l'Iran, tanto che il presidente del consiglio europeo Donald Tusk ha accusato Trump di «aggressività capricciosa», verso l'Europa, aggiungendo: «Si potrebbe pensare che con amici come questi non si ha bisogno di nemici. L'Europa deve fare tutto in quanto in suo potere per proteggere le relazioni transatlantiche, ma sia pronta allo scenario peggiore in cui dobbiamo agire da soli». Del resto, negli ultimi giorni la diplomazia Ue guidata da Federica Mogherini si è consultata più volte con lo stesso ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif e in più il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha già preannunciato misure per proteggere dalle sanzioni americane le imprese europee che fanno affari con Teheran. La minaccia, intanto, c'è e non è estraneo certamente l'astio della cancelliera tedesca Angela Merkel verso i dazi americani sull'acciaio. Insomma, tutto congiura in questi giorni a rendere più largo l'Oceano Atlantico a causa della diversa percezione degli eventi in Medio Oriente. Ma anche nella regione il confronto si fa aspro fra Israele e la vicina Turchia di Recep Erdogan, che volendo farsi portabandiera dei musulmani, in concorrenza con Arabia Saudita e Iran, sulla base del sogno neo-ottomano, richiama i suoi ambasciatori da Stati Uniti e Israele, mentre a sua volta, anche l'ambasciatore ebraico ad Ankara fa le valigie. ARMENI E CURDI Erdogan ha ieri negato che Hamas sia un movimento terrorista, e di rimando accusa invece Israele di essere «uno Stato terrorista». Ma dalla Knesset, il parlamento ebraico, si prepara una notevole reazione ad Ankara, ovvero il riconoscimento del genocidio armeno del 1915, pagina nera della pagina turca, che non dovrebbe consentire a Erdogan di giudicare a casa altrui. Infatti il deputato che ha avanzato la proposta, Itzik Shmuli, ha detto: «Non accetteremo lezioni morali dal macellaio turco antisemita che bombarda migliaia di curdi ogni giorno e il cui Paese è responsabile del genocidio del popolo armeno». Di più, ci si mette anche il figlio di Netanyahu, Yair, che su Instagram ha postato «fuck Turkey», contando sul suo diritto di privato cittadino di farlo, come ha detto lo staff del premier israeliano. La tensione, insomma, resta altissima, tantopiù che ancora ieri si sono avuti due morti e 400 feriti in strascichi delle violenze di lunedì. Tuttavia, dei 62 morti del giorno della rabbia, ben 50 erano membri di Hamas, come ha ammesso proprio uno dei dirigenti del movimento.

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