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Il Giornale - Il Foglio Rassegna Stampa
09.05.2018 Trump/Iran: i commenti che informano
Commenti di Fiamma Nirenstein, Daniele Raineri (con riserva)

Testata:Il Giornale - Il Foglio
Autore: Fiamma Nirenstein - Daniele Raineri
Titolo: «Israele, venti di guerra. Rifugi antiaerei riaperti - Aspettative bruciate»
Riprendiamo oggi 09/05/2018, dal GIORNALE a pag. 14, con il titolo "Israele, venti di guerra. Rifugi antiaerei riaperti" il commento di Fiamma Nirenstein; dal FOGLIO a pag. 1, con il titolo "Aspettative bruciate" l'analisi di Daniele Raineri.

Ecco gli articoli:

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Donald Trump

Il Giornale - Fiamma Nirenstein: "Israele, venti di guerra. Rifugi antiaerei riaperti"

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Fiamma Nirenstein

Gerusalemme Più diretto e duro di così non avrebbe potuto essere, senza giri di parole ha cancellato l'accordo con l'Iran, con il ritorno totale delle sanzioni, la definizione di quel Paese come di un centro di terrore imperialista, in cui persiste il disegno atomico, la forza distruttiva in Medio Oriente e nel mondo. Netanyahu ha invitato l'Iran a restare tranquillo, dato che seguitano a arrivare notizie di un'intensa preparazione di missili al Nord in Siria nelle basi iraniane. Ieri sera ha fatto aprire tutti i rifugi antimissile sul Golan. Vista da Israele, la decisione di Trump è la conclusione di una battaglia infinita che Netanyahu si è sobbarcato, in cui è stato vituperato e trattato da guerrafondaio. Vista dal Medioriente intero è una rivoluzione, una svolta che induce tutti a prepararsi alla difesa o all'attacco o al ripensamento. È un gesto di rottura che ristabilisce una leadership americana e affossa una vacca sacra del liberalismo obamiano. Anche l'Europa ne uscirà trasformata, costretta a risparmiare qualche sorriso coi dittatori. Gli Stati Uniti l'hanno sancito dando ragione a Netanyahu: l'Iran è un Paese pericoloso. E anche Trump è stato coerente con la sua definizione del «peggiore accordo mai concluso». Germania, Inghilterra, Francia, coi dovuti distinguo, erano arrivati alla conclusione che «si deve essere più duri con l'Iran»: non è poco, gli sviluppi non potranno non tenere conto del giudizio Usa. L'annuncio di Trump ha molte letture: l'Iran è in stato di choc, si sente in pericolo e quindi mostra i denti. Non si aspettava che l'accordo, che era stato una panacea, potesse venire travolto. I vantaggi erano stati moltissimi: intanto con la fine delle sanzioni l'acquisto del petrolio aveva riportato le compagnie globali a rimpinguare la banca centrale: adesso si prospetta un durissimo colpo all'economia. Poi i 5+1 avevano restaurato una sorta di fiducia internazionale in un regime feroce e autoritario, adesso le donne, i dissidenti, i disoccupati potranno invadere le piazze con una maggiore speranza di ottenere un cambio di regime. Trump ha dichiarato loro il proprio sostegno, e questo è un fatto rivoluzionario. L'accordo aveva anche lasciato aperta la porta all'arricchimento nucleare fra sette anni, alla fine del trattato: una prospettiva testimoniata concretamente dalle carte archiviate mostrate dal governo israeliano. Dall'accordo in avanti l'Iran ha potuto migliorare la sua produzione balistica; spingersi come indispensabile alleato della Siria sostenuto dall'alto dai russi e dal basso dagli Hezbollah, così da costruirsi un confine per minacciare dal Nord Israele. Trump gli ha rovinato l'ascesa militare in Siria, Libano, Irak, Yemen e soprattutto la prospettiva di distruggere Israele. Ha distrutto la scalata del mondo sciita e la minaccia del mondo sunnita. Questa parte del Medioriente vedrà nella messa all'angolo del suo nemico una prospettiva di maggiore equilibrio, e forse anche di un ripensamento russo del ruolo del suo alleato. Putin sa che la contestazione dell'Iran non implica necessariamente la perdita della presa sulla Siria. Oggi il suo incontro con Netanyahu a Mosca avrà molti argomenti. E il 14 il passaggio dell'ambasciata Usa a Gerusalemme. Il mondo sta cambiando.

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Aspettative bruciate"

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Daniele Raineri

Riportiamo fra i 'commenti che informano' quello di Daniele Raineri, anche se riflette fin troppo l'ostilità del Foglio nei confronti di Trump. Qualunque posizione assuma il presidente americano va criticata, o almeno non condivisa, fino a sottovalutare le prove fornite da Israele sulla politica nucleare dell'Iran, che smentiscono i controlli svolti fino ad oggi dalla agenzia Onu. Nel pezzo manca una reale valutazione dell'economia iraniana, mentre si sottolinea la politica 'moderata' del ministro degli esteri. Persino Obama viene citato quasi con nostalgia. Aspettiamo con speranza il ritorno dal glorioso quotidiano a una attenzione corretta verso Donald Trump, il cui discorso è stato definito da Netanyahu 'di importanza storica', mentre le pagine esteri del Foglio hanno dato pochissimo rilievo a entrambi.

Roma. Quando nel luglio 2015 l’Iran e sei potenze mondiali firmarono l’accordo sul nucleare per una durata teorica di quindici anni c’erano aspettative enormi. Il primo ministro iraniano, Hassan Rohani, disse che il paese aveva voltato una pagina della sua storia, la gente scese nelle piazze a festeggiare e ci furono caroselli di macchine nella capitale Teheran. Due anni prima Rohani era stato “eletto” proprio con il mandato popolare di limitare il potere dei falchi che non volevano compromessi con la comunità internazionale – “eletto”, s’inten - de, in un sistema bloccato in cui la politica è fatalmente sottomessa al potere della classe religiosa – e di arrivare a un accordo con l’America, e come prima cosa aveva detto che per il paese era cominciata “una nuova èra”. L’idea portante dell’accordo firmato due anni più tardi era questa: finalmente si presentava la grande occasione di normalizzazione per l’Iran, che grazie al congelamento della ricerca sul nucleare non sarebbe più stato trattato come uno stato paria dalla comunità internazionale, si sarebbe integrato nell’economia mondiale con tutte le sue enormi risorse energetiche, si sarebbe aperto al mondo e forse avrebbe dimenticato – o perlomeno allentato – la cupa militarizzazione della società. Tutte queste cose non erano ben viste dall’ala più falca della politica iraniana, legata ai Guardiani della Rivoluzione, ma c’era stata una campagna di persuasione da parte della fazione meno dura per dire che i vantaggi avrebbero fatto dimenticare tutto il resto almeno fino al 2030. Si dice che Rohani per convincere la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, della bontà del deal atomico abbia organizzato una presentazione privata di tre ore a base di Power Point. Le slide disegnavano un futuro nero da evitare a tutti i costi: “In dieci anni se le sanzioni continueranno l’Iran diventerà come il Bangladesh”.

E infatti Khamenei dopo l’accordo aveva lodato pubblicamente “la nostra squadra di negoziatori”. Il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, che in quei giorni era asceso allo status di rockstar della diplomazia internazionale, si fece un selfie trionfale assieme ai giornalisti iraniani sull’aereo che lo riportava a casa da Vienna. Il suo omologo americano, John Kerry, si presentò ai giornalisti sul suo aereo imbracciando una delle stampelle come fosse un mitra, era caduto qualche giorno prima mentre si allenava in bicicletta e c’era chi aveva temuto che tutto sarebbe saltato a causa di quella caduta. Anche dall’altro lato si festeggiava. L’accordo con l’Iran era il traguardo storico che l’Amministrazione Obama aveva puntato fin dall’inizio dei due mandati e a cui aveva lavorato a lungo. Tutti gli altri dossier internazionali erano stati trascurati, incluso quello siriano. Molti commentatori si erano accorti che Washington era riluttante a prendere decisioni che riguardavano la Siria proprio per non interferire con i negoziati – che per molto tempo erano stati segreti – con l’Iran, che è un alleato strategico del presidente siriano Bashar el Assad. La lunga neutralità rispetto alla catastrofe in Siria potrebbe essere stata una scelta spiegata dalla volontà di raggiungere a tutti i costi un deal atomico con Teheran. E per quanto riguarda l’Unione europea, la voglia di arrivare a un accordo era ancora più alta anche per motivi economici. Un anno dopo la fine delle sanzioni gli scambi commerciali tra Europa e Iran erano già cresciuti dell’ottanta per cento. Com’è finita l’abbiamo visto ieri. Gli iraniani sono molto scontenti perché i soldi non sono stati investiti abbastanza nell’economia del paese e la povertà è peggiore rispetto a tre anni fa. La Siria, trascurata a favore del deal, è diventata la questione che definirà il primo quarto di questo secolo ed è diventata il campo di una battaglia per ora poco visibile tra Iran e Israele. Gli europei che speravano di fare affari in Iran ora dovranno fare i conti con le sanzioni americane che tornano, come ha detto il presidente americano Trump, “in full effect”. La comunità internazionale deve fare i conti con una situazione tutt’altro che risolta o più pacifica. La resa dei conti contro i sostenitori del deal sarà cruenta. L’Amministrazione Obama è stata rimpiazzata e quindi sarà una faccenda relativamente indolore, ma Rohani è stato rieletto nel 2017 e in pratica è all’inizio del suo secondo mandato. Le sue aspirazioni a diventare Guida suprema sono distrutte e la fazione dei duri si prepara a prendere ancora di più il controllo della linea politica del paese.

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