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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
08.05.2018 Yemen & nucleare: L'Iran vuole invadere tutto il Medio Oriente
Analisi di Giordano Stabile, Daniele Raineri

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Giordano Stabile - Daniele Raineri
Titolo: «I sauditi colpiscono in Yemen. Bombe sul palazzo presidenziale - Se il deal scoppia»

Riprendiamo oggi 08/05/2018, dalla STAMPA, a pag. 9, con il titolo "I sauditi colpiscono in Yemen. Bombe sul palazzo presidenziale", il commento di Giordano Stabile; dal FOGLIO a pag. 1, con il titolo "Se il deal scoppia", l'analisi di Daniele Raineri.

Sull' OSSERVATORE ROMANO, a pag. 1, campeggia il titolo "Teheran difende l'accordo sul nucleare". Ancora una volta OR prende le parti del regime degli ayatollah e, anziché spiegare in quali modi l'accordo voluto da Obama sia stato violato dal regime degli ayatollah, sostiene la necessità di mantenere l'accordo. Non riprendiamo l'articolo di OR, che ripete la necessità di trovare un accordo ma non spiega in che modo e, soprattutto, sorvola sui criminali progetti  iraniani.

Ecco gli articoli:

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LA STAMPA - Giordano Stabile: "I sauditi colpiscono in Yemen. Bombe sul palazzo presidenziale"

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Giordano Stabile

 

L’aviazione saudita colpisce per la prima volta il palazzo presidenziale a Sanaa e arriva a un soffio dal decapitare la leadership dei ribelli sciiti Houti. La guerra in Yemen ha conosciuto ieri un nuovo giro di vite. La coalizione sunnita filo-occidentale, guidata da Riad, ha cambiato strategia negli ultimi due mesi, con l’arrivo sul terreno dell’Intelligence e delle forze speciali americane, e ora cerca di stroncare la resistenza degli insorti appoggiati dall’Iran con raid mirati a uccidere i loro principali dirigenti.

Il doppio bombardamento di ieri ha colpito in pieno centro, nel distretto di Tahrir, una delle zone più affollate della capitale yemenita. L’obiettivo erano gli uffici degli Houthi nel complesso presidenziale, vicino alla Banca centrale.

Caccia al leader
In quel momento dovevano esserci, secondo fonti di Intelligence, il leader ribelle Mohammed Ali al-Houthi e il presidente del Consiglio supremo Mahdi Mashat. Ma non ci sono conferme della loro uccisione. Il raid è stato seguito da due potenti esplosioni che hanno fatto tremare gli edifici di tutto il centro hanno causato la morte di almeno sette civili, e decine di feriti.

Ma a essere scosso davvero per la prima volta è anche il movimento sciita che ha preso il potere nella capitale e in tutto lo Yemen del Nord nel febbraio del 2015, dopo aver cacciato il presidente Abd Rabbu Mansour Hadi. Da tre anni la coalizione sunnita cerca di sconfiggere i ribelli, senza grossi risultati, nonostante bombardamenti a tappeto che hanno fatto migliaia di morti.

Ma la strategia di «decapitazione» ha già messo a segno colpi importanti. Il 27 aprile, dopo una soffiata, è stato ucciso da un drone Saleh Sammad, allora a capo del Consiglio supremo. Altri due dirigenti sono stati colpiti in un raid condotto sul ministero dell’Interno. Le forze della coalizione, composte per la maggior parte da militari sauditi, emiratini, sudanesi e in misura minore da egiziani e pachistani, sono adesso appoggiate dai «berretti verdi» americani. L’obiettivo è fiaccare la leadership Houthi in modo da costringerla ad arrendersi o a trattare.

IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Se il deal scoppia"

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Daniele Raineri

Roma. Ieri il prezzo del petrolio è salito oltre i settanta dollari al barile come non succedeva dal novembre 2014 perché ci si aspetta una decisione imminente dell’Am - ministrazione Trump sul rinnovo del deal atomico con l’Iran. La scadenza dell’ultimatum è venerdì, ma Trump ha twittato ieri sera che annuncerà la sua decisione già oggi. Ieri un’agenzia azera privata specializzata nel campo dell’energia – l’Azerbaigian confina con l’Iran ed è molto interessato ai movimenti nel settore dell’energia della regione – ha pubblicato un’analisi a pagamento per spiegare quali imprese internazionali resteranno in Iran in caso di sanzioni americane. La riportiamo qui. In breve: se l’America decidesse di non rinnovare il deal atomico e decidesse di imporre di nuovo sanzioni internazionali sarebbe una mossa distruttiva contro i progetti esistenti e futuri delle aziende straniere in Iran. Le uniche imprese che, secondo le previsioni, continuerebbero le loro operazioni commerciali sono quelle di Russia, Cina e India, ma in quel caso potrebbero essere colpite da sanzioni per quanto riguarda le loro attività in America e in Europa. Le conseguenze saranno molto dure nel campo del greggio e del gas. Anche se le aziende russe, cinesi e indiane continuassero a operare in Iran le attività di estrazione e produzione sarebbero inevitabilmente colpite perché la maggior parte della tecnologia è occidentale e quindi ci si aspetta un taglio brutale della produzione e dell’export iraniano. “Le capacità della francese Total, dell’italiana Eni e della multinazionale Shell sono molto migliori e di qualità più alta di quelle che possono essere messe in campo dai cinesi e dagli indiani. La produzione si abbasserà”, dice un consulente sentito per il report. Inoltre le banche americane ed europee potrebbero non concedere più finanziamenti e anche questo frenerà il settore. Il ministero del Petrolio iraniano sperava di toccare quota settecentomila barili al giorno di produzione nel marzo 2019, ma adesso potrebbe dover rivedere al ribasso la stima di cinquecentomila barili al giorno. Un’enormità. E pensare che senza sanzioni aveva raddoppiato la produzione di greggio. La Russia, secondo l’analisi, resterà in Iran soprattutto per ragioni di politica estera, quindi per non abbandonare il partner iraniano con cui condivide il peso dell’intervento nella guerra civile in Siria a fianco del presidente Bashar el Assad. I contratti già firmati con le compagnie occidentali e le loro quote in caso di sanzioni saranno ceduti ad altre compagnie. Il caso più importante è quello di Total, che aveva firmato un contratto in cui prometteva investimenti in Iran da un miliardo di dollari per sviluppare il giacimento di gas South Pars e che dovrebbe cedere la sua quota ai cinesi, dopo avere già speso novanta milioni di dollari che contava di recuperare soltanto con l’inizio delle attività. Il capo di Total, Patrick Puoyanné, aveva già detto a marzo che in caso di ritorno delle sanzioni americane avrebbe chiesto all’Amministrazione americana un’esenzione per continuare a sviluppare il suo progetto. Ieri il governo francese ha detto che continuerà ad aderire al deal atomico, ma non si sa quanto senso avrebbe perché il governo dell’Iran ha già fatto sapere che se l’America si ritira allora si considererà sciolto dall’accordo.

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