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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Il Giornale Rassegna Stampa
23.04.2018 Sana sgozzata e quelle donne sottomesse all'islam
Commenti di Federico Gervasoni, Karima Moual, Andrea Cuomo

Testata:La Stampa - Il Giornale
Autore: Federico Gervasoni - Karima Moual - Andrea Cuomo
Titolo: «Il Pakistan indaga sulla morte di Sana - 'Nascondo ai miei genitori il fidanzato italiano. So che rischio la vita' - Non si converte all'islam: arsa viva»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/04/2018, a pag.14 con il titolo "Il Pakistan indaga sulla morte di Sana", la cronaca di Federico Gervasoni, con il titolo 'Nascondo ai miei genitori il fidanzato italiano. So che rischio la vita', il commento di Karima Moual; dal GIORNALE, a pag. 10, con il titolo "Non si converte all'islam: arsa viva", il commento di Andrea Cuomo.

Ecco gli articoli:

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Sana Cheema

LA STAMPA - Federico Gervasoni: "Il Pakistan indaga sulla morte di Sana"

L’unica certezza è che la 25enne Sana Cheema sia morta. Le prove del suo decesso sono contenute in un filmato di pochi secondi che mostra il suo funerale con le presunte ferite coperte da un telo. Il giallo della ragazza pachistana, bresciana d’adozione, ha contorni sempre più misteriosi. È giunta proprio ieri pomeriggio la notizia che Mustafa Ghulam, il padre di Sana e il suo secondogenito sono stati scarcerati dopo un luogo interrogatorio. A rivelarlo è stato un amico pachistano della ragazza che vive a Brescia ed è in stretto contatto gli abitanti di Mangowal, il villaggio dove Sana abitava da bambina. «In Pakistan non c’è giustizia e se hai soldi riesci a farla franca», ha dichiarato il giovane al Giornale di Brescia, chiedendo di restare anonimo. Il possibile colpo di scena era arrivato già ieri da Nasser, inquilino tunisino ospite nell’abitazione dei Cheema a Brescia e che sosteneva di aver parlato al cellulare con Mustafa, ribadendo così la sua estraneità.

No all’autopsia
Così per il distretto di Gujrat non ci sono colpevoli in questa oscura vicenda dove il corpo della ragazza è stato sepolto senza effettuare un’autopsia. Intanto la comunità pachistana a Brescia ha ricevuto copia del documento che certifica una visita effettuata l’11 aprile da Sana in ospedale per un calo di pressione.
Secondo le prime notizie Sana Cheema, 25 anni e cittadina italiana dallo scorso settembre, sarebbe stata assassinata dal genitore a Gujrat in Pakistan dove lo scorso gennaio si era recata a trovare i parenti. Un racconto denso di punti oscuri e arrivato a Brescia grazie alla rivelazione di un’amica pachistana la quale aveva subito parlato di omicidio. Sana, secondo le sue parole, sarebbe stata ammazzata dal padre - addirittura sgozzata - per aver rifiutato le nozze combinate. Una regola ferrea da non trasgredire e che al giorno d’oggi viene ancora imposta nel Paese islamico.
Giunta a Brescia nel 2003 insieme alla famiglia, la venticinquenne Sana Cheema dopo il diploma conseguito al liceo “De Andrè” aveva aperto un’agenzia di pratiche automobilistiche. «Sono molto addolorato per quello che è successo», afferma Jabran Fazal, dell’associazione culturale Pak che ieri pomeriggio si è riunito con centinaia di connazionali in piazza Rovetta a Brescia per ricordarla.

I contrasti
Nel corso della manifestazione è intervenuto Raza Asif, segretario della comunità pachistana in Italia: «Nel nostro Paese è stata aperta un’inchiesta per accertare la verità. Certamente sia il padre sia fratello in questo momento non si trovano in arresto».
Un ulteriore fatto confermato è che Sana e la sua famiglia erano da tempo in contrasto. Lei aveva infatti intrecciato una relazione con un italiano residente nella provincia bresciana, mentre il padre avrebbe preteso per lei il matrimonio con un uomo pachistano con molti più anni di lei. I dissidi famigliari erano stati ribaditi anche da alcuni amici della ragazza, i quali hanno riferito di continue liti con il genitore paterno, definito rigido e molto radicale.

Praticamente l’esatto opposto di quella figlia che, contrariamente alla madre, non portava il velo, vestiva all’occidentale e soprattutto sognava un futuro in Italia. Partita a gennaio con l’intento di trascorrere come sempre le vacanze in Pakistan, Sana Cheema mai avrebbe pensato che quello si trattasse di un viaggio di sola andata, conclusosi con una morte ancora senza un perché.

 

 

La Stampa - Karima Moual: 'Nascondo ai miei genitori il fidanzato italiano. So che rischio la vita'

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Karima Moual

'Morirò anche io'. E' il primo pensiero che S.F, giovane pachistana, nata e cresciuta in Italia riesce a scandire commentando la notizia sulla morte di Sana Cheema. «Pensando a lei, non posso non riflettere su di me. Alle frustrazioni che vivo da qualche anno, alle bugie che invento per mimetizzare la mia parte italiana che si è tradotta anche con la mia storia d’amore con un ragazzo italiano. Vivo ormai una doppia vita e identità, lacerante e psicologicamente devastante».

S.F, 23 anni, universitaria, ha la fortuna di respirare un po’ di libertà solo perché la sua famiglia si è trasferita da qualche anno per lavoro in Inghilterra. Lei ha fatto di tutto per non seguirli, un po’ con la scusa degli studi in Italia. Ma la verità è che vorrebbe sfuggirgli perché, seppur cresciuta rispettando usi e costumi del paese di origine si sente anche italiana, e non vuole sentirsi pachistana in un altro paese straniero, con tutto ciò che ne comporta: «Altra ghettizzazione, controllo dei genitori e della comunità. Non volevo rivivere quell’incubo altrove – racconta – una gabbia soffocante, piena di regole, tradizioni ma soprattutto un futuro già prestabilito, dal quale è possibile fuggirne solo al prezzo del ripudio o la morte». «Amo molto la mia famiglia – dice con gli occhi lucidi -. Ho provato ad annullarmi in tutta la mia adolescenza, a partire dal velo che ho portato soprattutto per loro, per renderli orgogliosi di me e non esporli alle chiacchiere della comunità. Ma non ero felice, mi sentivo mutilata di una parte importante di me». «Oggi che abito lontana dai miei genitori - aggiunge - ho anche tolto il velo e mi sono innamorata. Eppure il senso di colpa mi perseguita come un’ombra insieme con la paura di peccare e alla delusione che potrei recare ai miei genitori».
«Ad ogni telefonata mia madre mi ribadisce di comportarmi bene, di non fare scelte sbagliate, di non avvicinarmi a ragazzi non musulmani e non sporcare l’onore e il nome della nostra famiglia».

Per S.F la fede è importante ma i dubbi stanno aumentando: «Come può Dio odiare un sentimento sincero? Come può essere un peccato amare un non musulmano? Sono domande che ho provato a fare anche a degli imam on line, usando un profilo falso, perché ragazze come me possono vivere solo nell’anonimato. La loro risposta? La conversione del mio ragazzo italiano o divento peccatrice. Ma io non voglio obbligare nessuno a convertirsi - spiega S.F -. Lo amo per quello che è e mi sentirei ipocrita non solo di fronte a Dio ma anche a me stessa».

S.F è giovane ma la sua età sta diventando problematica perché le sue coetanee pachistane sono già sposate e con figli: «Prima voglio laurearmi, essere indipendente economicamente e poi sposare chi amo. So però che per riuscirci dovrò pagare un prezzo forse troppo alto, perché ragazze che fanno la mia scelta possono avere una vita soltanto nell’anonimato: non per mancanza di coraggio, ma per le troppe gabbie che solo noi conosciamo quanto siano invalicabili».

IL GIORNALE - Andrea Cuomo: "Non si converte all'islam: arsa viva"

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Andrea Cuomo

Un altro orrore che arriva dal Pakistan, un'altra storia di scontro culturale nel secondo più popoloso Paese musulmano dopo l'Indonesia, sfociato in una violenza ai danni di una donna che non voleva essere vassalla dei desideri di un uomo-padrone. La vicenda arriva da Sialkot, nel Punjab, regione a Nord del Pakistan al confine con l'India. Una città di oltre un milione di abitanti, specializzata nella produzione di ogni genere di palloni. Un luogo che riempie di divertimento il mondo ma che in questo caso è stato teatro di una vicenda per noi intollerabile. Un giovane di religione islamica, Muhammad Rizwan Gujjar, ha arso viva la fidanzata cristiana (i Cristiani in Pakistan sono quasi tre milioni, circa l'1,8 per cento della popolazione) di nome Asma. La colpa di Asma, 25 anni, era di non volersi convertirsi all'islam. I due si amavano e avevano progettato di sposarsi, ma per il giovane era semplicemente inconcepibile mettere su una famiglia con una donna che non adorasse Allah. Quindi ha chiesto alla fidanzata di cambiare la sua fede, lei si è rifiutata, lui ha insistito e quando ha capito che lei non avrebbe mai acconsentito al suo volere invece di lasciarla scegliendosi una donna islamica l'ha punita per la sua per lui incomprensibile ribellione. Cospargendola di cherosene e bruciandola viva. La ragazza ora versa in condizioni disperate in un ospedale di Lahore, metropoli a circa 125 chilometri da Sialkot, con l'80 per cento del corpo ustionato. La vicenda è stata raccontata dalla televisione Bbc Urdu, secondo cui la polizia locale avrebbe arrestato Rizwan, che avrebbe subito confessato quello che per lui è un reato fino a un certo punto. Secondo il racconto di Yaqoob Masih, padre di Asma, che di lavoro era collaboratrice domestica, il 17 aprile lui e il figlio Maqsood si sarebbero recati nella casa in cui Asma prestava servizio. «Eravamo seduti in una stanza - racconta l'uomo - quando abbiamo sentito bussare alla porta. Asma è andata a vedere chi fosse e noi l'abbiamo sentita urlare di dolore. Siamo corsi fuori e abbiamo visto Rizwan Gujjar scappare via mentre Asma era avvolta dalle fiamme».

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