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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
06.04.2018 Libano & Siria: con le armi iraniane, si estende il regno del terrore di Assad
Commenti di Giordano Stabile, Leonardo Martinelli, editoriale del Foglio

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Giordano Stabile - Leonardo Martinelli
Titolo: «Assad sposta le truppe verso il Golan, Israele chiede l’intervento dell’Onu - Il Libano chiede aiuto all’Occidente ma il rischio è finanziare Hezbollah - Assad l’impunito»
Riprendiamo oggi 06/04/2018, dalla STAMPA, a pag. 12, con il titolo "Assad sposta le truppe verso il Golan, Israele chiede l’intervento dell’Onu", il commento di Giordano Stabile; con il titolo " Libano chiede aiuto all’Occidente ma il rischio è finanziare Hezbollah", il commento di Leonardo Martinelli; dal FOGLIO a pag. 3, l'editoriale "Assad l’impunito".

Ecco gli articoli:

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Un manifesto inneggia a Bashar al Assad e al leader di Hezbollah Hassan Nasrallah

LA STAMPA - Giordano Stabile: "Assad sposta le truppe verso il Golan, Israele chiede l’intervento dell’Onu"

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Giordano Stabile

Bashar al-Assad sposta le truppe verso il Golan e lo scontro con Israele rischia di incendiarsi da un momento all’altro. Dopo la vittoria nella Ghouta orientale, l’ultima grande sacca di resistenza dei ribelli, dopo il vertice di Ankara fra Russia, Turchia e Iran, che ha sancito la preminenza del fronte anti-occidentale in Siria, il raiss vede l’occasione di lanciarsi nella «battaglia delle frontiere», per recuperare il più possibile dei territori che ancora sfuggono al suo controllo.
Ieri i servizi militari israeliani hanno fatto trapelare di aver notato una concentrazione di carri armati e cannoni attorno alla città di Quneitra, il più importante centro siriano nella regione del Golan, quasi disabitato dal 1974, quando le forze armate israeliane che l’avevano conquistato nel 1967 e poi nel 1973 si sono ritirate per la creazione di una zona cuscinetto controllata dai caschi blu dell’Onu.

La tregua sulle Alture del Golan era stata mediata dall’allora Segretario di Stato Henry Kissinger fra Israele e il padre di Assad, Hafez, che lo stesso Kissinger aveva definito il «Metternich del Medio Oriente». Una patto solido che ha evitato ogni confronto diretto fra israeliani e siriani per quarant’anni. Finché nel 2014 i ribelli islamisti hanno cacciato i caschi blu. Le forze di Assad figlio hanno poi riconquistato gran parte dei territori in mano agli insorti fino ad arrivare a ridosso di Quneitra. Dopo oltre quarant’anni, così, l’esercito siriano e quello israeliano si trovano quasi a contatto, senza più il cuscinetto della missione Onu.

Con la vittoria nella Ghouta il raiss si ritrova a disposizione 90 mila soldati da inviare su altri fronti. Israele è in allarme e, secondo il quotidiano Haaretz, chiederà un intervento degli osservatori dell’Undof, per ristabilire la situazione. Ma il ritorno dei caschi blu appare in questo momento problematico. I servizi israeliani hanno notato anche una accresciuta presenza degli Hezbollah libanesi, provvisti ora di un comando regionale, e tutto fa temere un’offensiva a tutto campo, fino sotto le linee israeliane.
Le Alture del Golan sono state conquistate da Israele nel 1967 e annesse ufficialmente nel 1980. La Siria non ha mai riconosciuto l’annessione e rivendica l’intero territorio, fino alla sponda del lago Tiberiade. La guerra delle frontiere potrebbe cominciare qui, anche se Damasco e Mosca hanno come priorità la riconquista del Nord-Est, dove ci sono i curdi siriani appoggiati dagli Usa e osteggiati dalla Turchia, e dove vanno distrutte le ultime sacche di resistenza dell’Isis. La decisione di Trump di ritirare le truppe Usa è stata per ora rinviata dal Pentagono, ma non è chiaro per quanto.

LA STAMPA - Leonardo Martinelli: " Libano chiede aiuto all’Occidente ma il rischio è finanziare Hezbollah"

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Leonardo Martinelli

Fra i sei e i sette miliardi di dollari: è quanto il Libano vorrebbe strappare alla conferenza internazionale, patrocinata oggi da Emmanuel Macron nella capitale francese. La cifra è stata indicata chiara e tonda, pochi giorni fa, da Nadim Munla, portavoce del premier Saad Hariri, lo stesso transitato da queste parti nel novembre scorso, quando fu ancora il presidente francese a toglierlo dall’imbarazzo di una crisi politica, pilotata dall’Arabia Saudita. 6-7 miliardi fra crediti e donazioni sarebbero necessari per salvare il Libano dal tracollo economico ma anche dalla bancarotta dello Stato, non esclusa dopo sette anni di crisi politiche a ripetizione, l’arrivo di un milione di migranti dalla vicina Siria, in preda alla guerra civile, e un indebitamento pubblico raddoppiato negli ultimi dieci anni, così da totalizzare il 150% del Pil a fine 2017 (terza peggiore performance del mondo, dopo Giappone e Grecia). A Beirut appaiono fiduciosi. Ma esiste una variabile impazzita, da sempre nel Paese mediorientale, che potrebbe rovinare la festa. Si chiama Hezbollah.
Il partito sciita, nella sostanza un movimento armato filoiraniano, oltre a svolgere un ruolo cruciale e notorio per governare il Paese, si è infiltrato al di là dell’immaginabile nell’amministrazione pubblica del Libano e pure nelle istituzioni finanziarie, private ma anche pubbliche, vedi la Banca centrale, svilendo il credito che tutti questi interlocutori hanno agli occhi degli occidentali. Il problema si era già concretizzato nella conferenza, che si è tenuta a Roma a marzo, e che doveva sostenere le forze di sicurezza del Paese dei cedri. In quell’occasione Hariri aveva ripetuto che «le vostre armi non finiranno a Hezbollah». Ecco, i grandi Paesi dell’Occidente, quelli del Golfo e le istituzioni finanziarie internazionali, come l’Fmi, che hanno inviato oggi a Parigi i loro rappresentanti e che dovrebbero mettere le mani ai portafogli, si chiedono la stessa cosa: ma i nostri soldi non finiranno anche nelle tasche di Hezbollah? Mentre l’obiettivo della conferenza sarebbe in realtà fornire al Libano gli strumenti per rafforzarsi contro l’influenza del partito sciita.

Fonti di intelligence occidentali rivelano che «Hezbollah può contare su un servizio segreto proprio, chiamato Unità 900, che si è infiltrato nell’amministrazione dello Stato e nelle istituzioni finanziarie del Libano a tutti i livelli, con diverse centinaia di informatori e di pedine dirette nelle mani dell’organizzazione». Secondo le stesse fonti, l’Unità 900 rappresenta un formidabile strumento d’influenza nelle mani di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, per poter conoscere in anticipo le decisioni prese anche a livello del presidente, il generale Michel Aoun, e del premier Hariri. Non solo: pure per influenzarle. Senza contare che la rete degli agenti dell’Unità 900, in un Paese corrotto come il Libano, possono raccogliere prove compromettenti per ricattare funzionari pubblici. Ecco, in questo contesto dovrebbero essere spesi i 6-7 miliardi sui quali conta Beirut. Ma i servizi segreti dei maggiori Paesi occidentali, in previsione della conferenza di Parigi, hanno intensificato le loro ricerche sul ruolo dell’Unità 900. E i risultati stanno scoraggiando non poco i Paesi donatori, gli Usa in pole position.

Questo servizio di intelligence strutturato all’interno di Hezbollah si sviluppò già negli anni Novanta. Si ritrova oggi sotto la guida di un misterioso personaggio, Khodor Yousef Nadar. Lui per anni è rimasto agli ordini di Mustafa Badr Al-Din, che fu uno dei fondatori di Hezbollah nel lontano 1982 e ha poi avuto un ruolo importante durante la guerra civile in Siria, fungendo praticamente da comandante supremo dei miliziani dislocati lì da Hezbollah per sostenere il regime di Assad. Badr Al-Din è morto nel maggio 2016 presso l’aeroporto di Damasco, in condizioni mai davvero chiarite (si è detto sotto le bombe israeliane, Hezbollah ha accusato gruppi islamisti takfiri, mentre gli israeliani hanno a loro volta assicurato che l’uomo sarebbe stato ucciso da altri esponenti di Hezbollah). Oggi, Nadar e l’Unità 900 si ritrovano sotto le dirette dipendenze di Nasrallah. Che non è la situazione più incoraggiante per i possibili (e vivamente auspicati da parte di Beirut) Paesi donatori.

IL FOGLIO: "Assad l’impunito"

Questo editoriale è dedicato a quei commentatori che un anno e due giorni fa, dopo il bombardamento chimico di un villaggio nel nord della Siria che uccise cento civili, tirarono fuori questa giustificazione: “Non può essere stato Assad perché se usasse armi chimiche sarebbe un suicidio”. Si riferivano al fatto che il presidente siriano aveva firmato un accordo per la distruzione sorvegliata delle sue armi chimiche dopo un’altra strage contro i civili e quindi non poteva farsi cogliere di nuovo in fallo. Ora che è passato un anno possiamo rispondere con tranquillità: quell’attacco non fu per niente “un suicidio” per il presidente siriano. Vediamo di ricapitolare per punti.
- Se nel 2017 Assad stava vincendo, nel 2018 sta trionfando. A febbraio la sua contraerea ha persino abbattuto un aereo israeliano, cosa che non osava fare dal 1982. - Il bombardamento punitivo ordinato dall’Amministrazione Trump uccise sei soldati siriani. Decisamente non fu una rappresaglia catastrofica per l’esercito della Siria.
- La commissione d’inchiesta dell’Opcw, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, ha stabilito che l’agente nervino sarin usato nell’attacco è lo stesso delle scorte del governo siriano (scorte che non ci dovrebbero essere più dopo l’accordo del settembre 2013, ma che sono state conservate in segreto).
- La commissione d’inchiesta dell’Opcw sulle stragi con armi chimiche in Siria è stata sciolta a causa di un veto russo alle Nazioni Unite a fine ottobre e non potrà più fare altre indagini. Il sarin c’è ancora, la commissione d’inchiesta è stata eliminata.
- Ci sono sempre più contatti tra il governo di Assad e i paesi occidentali, vedi per esempio la visita molto discreta del suo capo dell’intelligence a Roma a gennaio.
- Il pilota siriano che eseguì quel bombardamento è stato premiato con una medaglia. Postilla finale. Gli israeliani segnalano che da giorni l’esercito siriano sta rinforzando le sue posizioni sul confine, in violazione degli accordi del 1974. E’ quello che succede quando non ci sono mai conseguenze. Vengono sviluppi peggiori.

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