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Gaza 2a puntata. Riprendiamo oggi, 01/04/2018, dalla STAMPA (Stabile e Paci), LIBERO (Panella), REPUBBLICA (Guerrera), cronace e commenti. con l'intervista a A.B.Yehoshua.
In altre pagine di IC altre notizie su Gaza. La Stampa-Giordano Stabile:" Hamas gioca la carta della marea umana per ottenere 'protezione internazionale' "
Israele accusa Hamas di usare i civili «come scudi umani» ma il movimento palestinese risponde che è stata la disperazione a spingere 30 mila persone contro le recinzioni della frontiera e a sfidare i fuoco dei cecchini. Ieri è stato il giorno del lutto, ma anche delle valutazioni sulla nuova strategia che ha permesso di riportare la questione palestinese al centro del mondo. Dietro la bandiera della Marcia del ritorno, la rivendicazione di «tutti i territori della Palestina», c’è una necessità più stringente. Quella di rompere il blocco israeliano, l’assedio che dopo dieci anni ha portato la Striscia di Gaza sull’orlo del collasso. L’ultimo tentativo diplomatico, condotto dall’Egitto, è fallito di colpo quando, il 13 marzo, un attacco al convoglio del premier palestinese Rami Hamdallah ha segnato alla rottura totale fra Hamas e il presidente Abu Mazen. Quest’ultimo ha accusato i dirigenti di Hamas di essere responsabili, e neppure l’identificazione e l’uccisione dell’attentatore, Anas Abu Houssa, ha fatto chiarezza. A Gaza sono convinti che sia una manovra del «nemico», cioè Israele, per bloccare la riconciliazione. Il ritiro dei mediatori egiziani ha gettato i dirigenti della Striscia nella disperazione. E da lì è nata l’idea della marcia dei civili, dell’onda umana pronta a rompere il blocco. «La nostra gente - ha sintetizzato ieri il leader Yehiyeh Sinwar - semplicemente non accetta più la continuazione dell’assedio». Anche se il leader politico Ismail Haniyeh ha ribadito che i palestinesi «non concederanno mai neppure un centimetro quadrato della Palestina», l’obiettivo è più realistico rispetto alla volontà di riconquista di tutti i territori perduti dal 1948 in poi. E cioè la riapertura di un negoziato che porti alla fine del blocco, senza dover capitolare. Lo ha fatto capire Salah al-Bardawil, membro dell’ufficio politico, che ha puntualizzato come Hamas «è pronta a incontrare chiunque nel mondo sia disposto a far pressione sulle forze di occupazione, in modo che lascino la nostra terra e il nostro cielo e che l’embargo venga tolto». La parola d’ordine è ora «protezione internazionale» e se il principio «tutta la Palestina» resta la base per la mobilitazione popolare, a livello politico c’è pragmatismo. «Non siamo stati noi a prendere la decisione di marciare verso il confine - conferma Ahmed Yousef, ex consigliere di Haniyeh -. Sono stati i giovani. Bisognava fare qualcosa che ricordasse al mondo che i palestinesi continuano a soffrire, nei campi profughi, nella diaspora all’estero». L’idea di una Palestina di nuovo unita però non significa cacciare gli ebrei: «Questa è la terra santa delle tre religioni abramitiche, che hanno convissuto in pace per secoli e potranno continuare a farlo». I palestinesi sono consapevoli che Israele non accetterà mai l’idea di un unico Stato, dove gli ebrei rischierebbero di ritrovarsi in minoranza nel giro di pochi anni. Ma sono anche convinti che «la capitolazione di Oslo» mai condurrà alla nascita di uno Stato palestinese. L’idea della «lotta disarmata» è la mossa inaspettata che spezza l’equilibrio. In realtà l’Intelligence israeliana lo aveva capito nelle scorse settimane. La marcia dei trentamila contro la recinzione era stata organizzata dalla divisione del Popolo di Hamas, Al-Amal al-Jamahiri, e dalla divisione della Gioventù, Al-Kutla al-Islamiya. Due leader energici, Hani Miqbil e Mohammed Haniya, sono riusciti a mobilitare una folla impressionante, nonostante la contro-propaganda di Israele, anche con volantini lanciati da cielo che ammonivano a «non mettere in pericolo le proprie vite». Alla fine, giovedì, è arrivato l’annuncio del dispiegamento dei cecchini e l’avvertimento che chiunque si fosse avvicinato alla recinzione sarebbe stato colpito. Lo stato maggiore ricordava gli eventi nel maggio del 2011, quando una folla di palestinesi colse di sorpresa i militari e riuscì a superare il confine sul Golan, vicino al villaggio druso di Majdal Shams, in Siria. L’ordine era di impedire che l’episodio si ripetesse. Il generale Eyal Zamir, comandante del Settore Sud, ha accusato Hamas di aver cercato di condurre «attacchi terroristici» sotto la copertura delle proteste di massa. I militari sottolineano che le vittime sono tutti «giovani uomini», e che almeno 10 facevano parte del braccio armato del movimento. Resta il fatto che la tattica della “muraglia umana" ha messo in difficoltà l’esercito israeliano, dimostrando la necessità di una nuova strategia nella Striscia di Gaza. Libero-Carlo Panella: " La marcia di Hamas piace solo a Erdogan "
La Stampa-Francesca Paci: " Israele pronto a colpire Gaza, difendiamo la sovranità" Dopo un giorno di calma relativa (ci sono stati comunque scontri e 16 palestinesi feriti) i tamburi di guerra tornano a rullare al confine di Gaza e di fronte alla rinnovata minaccia palestinese di una serie di settimane di fuoco Israele lascia intendere di essere pronto a colpire anche oltre il confine. All’indomani della marcia dei 30.000 conclusasi con 16 morti e circa 1400 feriti, la tensione resta altissima. L’esercito israeliano tiene la postazione e per bocca del suo portavoce, generale Ronen Maneli, fa sapere che se le violenze continueranno «non si limiterà più, come fatto finora, a puntare chi tentava di violare il confine ma andrà oltre colpendo i miliziani anche in altri posti». La replica di Gaza è duplice: la conferma delle proteste quotidiane calendarizzate fino al 14 maggio (data della nascita dello Stato d’Israele, la Nabka per gli arabi, ma anche dell’annunciato trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme) e lo sfoggio della ritrovata solidarietà nazionale, col presidente Abu Mazen che ha chiuso per lutto scuole, ministeri e negozi della Cisgiordania e ha additato Israele come «pienamente responsabile dell’aggressione a Gaza e della morte dei palestinesi». Il braccio di ferro che non accenna a mollare riaccende l’attenzione delle cancellerie internazionali (tra i primi a dirsi preoccupati sono stati il governo svedese e tedesco), finora concentrate su altre crisi regionali. Così, mentre a ridosso della riunione notturna del Consiglio di sicurezza dell’Onu il segretario generale Antonio Guterres chiede «un’indagine indipendente e trasparente» e si appella alla moderazione affinché si eviti «qualsiasi misura che potrebbe portare ad altre vittime e mettere i civili in pericolo», l’Unione europea si dice a lutto per le vittime, ricorda che «l’uso della forza deve essere proporzionato in ogni momento» e auspica un ritorno alla calma. Anche l’Egitto, alleato de facto d’Israele nella guerra contro gli jihadisti in Sinai e guidato da un presidente, Al-Sisi, appena rieletto ma quantomai bisogno di consenso popolare, fa sentire la sua voce e, pur aspettandosi moderazione «da tutte le parti in causa», critica «l’uso della violenza contro civili disarmati che partecipavano a marce pacifiche per commemorare la Giornata della terra». Si cammina sull’orlo del precipizio. A Gaza, dai funerali delle vittime di venerdì, si levano bandiere palestinesi e invocazioni alla vendetta. Israele non arretra e continua ad accusare Hamas di aver organizzato la «marcia per il ritorno» come una deliberata provocazione e di aver «sfruttato i civili» mandandoli sotto la barriera di confine e mettendo a rischio le loro vite. Una posizione rilanciata dall’ambasciatore israeliano all’Onu Danny Danon che, mentre il ministro degli Esteri palestinese Riad Malki tradisce il disappunto per un intervento del Palazzo di Vetro a sua impressione poco duro, ribadisce la linea dell’esercito: «È un atto di terrorismo organizzato, i palestinesi uccisi sono uomini fra i 18 e i 30 anni, la maggior parte di loro sono attivisti». Tra le sedici vittime, dieci erano membri di Hamas. Mancano 44 giorni al 14 maggio. La storia degli ultimi 15 anni insegna che una scintilla a Gaza è già un mezzo incendio. Nel pieno delle celebrazioni per la Pasqua ebraica il premier israeliano Netanyahu ha elogiato l’esercito per aver «protetto i confini del Paese e la sicurezza dei suoi cittadini». La Repubblica- Antonello Guerrera:" Abraham Yehoshua: le proteste sono una provocazione, Hamas ci odia "
«Queste manifestazioni sono una pura provocazione, una pura provocazione. Ce ne siamo andati da Gaza, ci hanno sconfitto nel 2005, adesso che cosa vogliono da noi?». Abraham Yehoshua è da sempre uno dei più appassionati messaggeri di pace tra ebrei e palestinesi ma stavolta le sue parole trasudano rabbia e delusione. Le manifestazioni di Gaza iniziate venerdì non sono piaciute affatto al celebre autore di La comparsa e Per inviare la propria opinione, telefonare: direttore@lastampa.it rubrica.lettere@repubblica.it lettere@liberoquotidiano.it |
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