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Il Giornale-La Stampa Rassegna Stampa
27.12.2017 Gerusalemme: 10 paesi con Trump- Taglio dei finanaziameti all'Onu
Commento di Fiamma Nirenstein, cronaca mischiata alla critica di Paolo Mastrolilli

Testata:Il Giornale-La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein-Paolo Mastrolilli
Titolo: «Gerusalemme, 10 paesi con Trump-Trump taglia i fondi all'Onu dopo il voto su Gerusalemme»

Sul trasferimento dall'ambasciata americana a Gerusalemme e sul taglio dei fondi all'Onu da parte degli Usa, riprendiamo oggi, 27/12/2017, il commento di Fiamma Nirenstein dal GIORNALE a pag.15 e la cronaca di Paolo Mastrolilli dalla STAMPA a pag.8 preceduta da un nostro commento.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein:" Gerusalemme, 10 paesi con Trump"

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Fiamma Nirenstein                                    Nikki Haley

Potrebbero già essere dieci i Paesi che stanno seguendo le tracce del Guatemala sulla strada dello spostamento dell'ambasciata da Tel Aviv alla capitale di Israele, Gerusalemme. L'ha detto la viceministra degli esteri Tzippi Hotovely durante un'intervista alla radio. E dato che fra questi Paesi sembra ci siano anche Romania, Slovenia, Repubblica Ceca, appare poco previdente l'affermazione di Federica Mogherini che sprezzantemente ingiunse a Netanyahu di non cercare approvazione per Gerusalemme capitale nell'Unione Europea, perché non ne avrebbe mai trovata. I Paesi che si avviano, dopo aver votato contro la mozione israeliana o dopo essersi astenuti, a trasferire l'ambasciata, seguono la traccia del Guatemala, uno dei nove Paesi che hanno votato contro la maggioranza automatica. Trentotto si sono astenuti, 21 assenti. C'è spazio. II Guatemala ha una lunga tradizione cristiana di amicizia con Israele e buone ragioni pratiche per avviare lo spostamento dell'ambasciata: un misto che potrebbe essere condiviso da molti Paesi, insieme al desiderio di non schierarsi testa a testa contro gli Stati Uniti.
Novità assoluta nella storia dei frequenti voti antisraeliani e antiamericani, Nikky Haley ha chiarito, diritta e fiera, che di questo si tratta: integrità e buon uso del denaro. Un difficile binomio da digerire per il mondo moderno, ma che caratterizza finora l'atteggiamento all'Onu, col ritiro dall'Unesco e adesso, con un taglio dei fondi del contribuente americano.
II discorso di Haley, sul terreno morale, prosegue la linea storica inaugurata a suo tempo da Daniel Patrick Moynihan quando nel 1975 dopo il voto dell'Onu «sionismo uguale razzismo» non nascose il suo disgusto. Haley ha dichiarato l'Onu disonorato dal voto su Gerusalemme, e ha aggiunto: «Non aiutate né la democrazia né la libertà». Tuttavia da allora, con alterne vicende, l'Onu ha seguitato a farsi gioco dei due Paesi tramite maggioranze automatiche islamiche o «non allineate», ricevendo al contempo una quantità di aiuti in forma soggettiva e per l'organizzazione in generale.
Trump ha annunciato per ora il ritiro di una somma relativamente piccola, 285 milioni di dollari sul bilancio 2018-19. II budget americano è il 22 per cento di quello di tutta l'Onu, e tutto insieme lo si può calcolare a 8 miliardi. Una somma troppo grande per ricavarne solo schiaffi e ingiurie da parte di Paesi violatori seriali di diritti umani, sostenitori del terrorismo.
II presidente del Guatemala Orlando Hernandez ha annunciato che manderà al Congresso un accordo firmato con Israele che aiuterà il suo Paese a organizzare le proprie forze armate per costituire un baluardo contro il crimine organizzato, la droga, il terrorismo. Israele può aiutare molti Paesi in questo campo, come in quello dell'agricoltura, della tecnologia, della medicina: è per questo che svariati Paesi africani e asiatici si sono mossi verso lo Stato ebraico.
Ci sono motivi di convenienza che si affiancano, finalmente, a un compito riconosciuto: spazzare via dalle istituzioni corrotte la persecuzione perdurante del popolo ebraico, cioè dell'ebreo collettivo, Israele, operata dalle istituzioni internazionali.
Nikky Haley sin dall'inizio ha denunciato la necessità per l'Onu di darsi un comportamento morale, sia rispetto ai suoi contenuti politici che rispetto alla corruzione che ne è diventata parte integrante insieme agli scandali economici e sessuali che ne promanano.
E' penoso pensare che leader come Macron, Gentiloni, Merkel, votino insieme all'Iran, alla Turchia, al Qatar, (dove Macron ha appena concluso ottimi affari) alla Siria, al Venezuela, alla Nord Corea, lasciando al Guatemala e all'Honduras di diventare nuovi attori importanti della politica mondiale.
Intanto, nel processo di pace, avanza il Giappone che ieri ha invitato i protagonisti a Tokyo, compreso Trump. Nikky Haley sta rivoluzionando tutti gli schemi, e peccato che l'Europa, in gran parte, non sappia dire «l'anno prossimo a Gerusalemme».

La Stampa-Paolo Mastrolilli: " Trump taglia i fondi all'Onu dopo il voto su Gerusalemme"

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Paolo Mastrolilli

Quella che doveva essere una cronaca è im realtà un commento tutto orientato contro Trump. La decisione diventa una rappresaglia, Trump è contro l'Onu a prescindere, poco conta che la maggioranza degli stati che lo compongono siano dittature/regimi autoritari/ stati musulmani anti-democratici. Su questo aspetto neanche una parola. Ciò che conta è mettere in cattiva luce il presidente americano. La Stampa si allinea agli altri quotidiani?

L'amministrazione Trump ha tenuto fede alla minaccia di tagliare i finanziamenti all'Onu, dopo la risoluzione approvata dall'Assemblea Generale che bocciava il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Lunedì l'ambasciatrice Haley ha annunciato che gli Usa ridurranno di 285 milioni di dollari il loro contributo al bilancio regolare del Palazzo di Vetro. Così però Washington punirà l'organizzazione, invece dei 128 Paesi che le hanno votato contro, esercitando lo stesso diritto alla difesa della loro sovranità nazionale, che Trump ha invocato per la sua decisione di trasferire l'ambasciata da Tel Aviv.
Per il biennio 2018-2019, l'Onu ha approvato un bilancio da 5,4 miliardi di dollari. Secondo la regola che distribuisce i contributi in base al pil dei Paesi, gli Usa dovrebbero pagare il 22% di questa cifra, che nello scorso biennio era ammontato a 1,2 miliardi. Da qui verranno tolti 285 milioni, incidendo in particolare su viaggi, consulenze, e altre spese operative. Il taglio è stato negoziato domenica, e la Haley lo ha annunciato così: «Non consentiremo più che la generosità del popolo americano venga abusata o rimanga senza controllo. In futuro, potete essere certi che continueremo a cercare maniere per migliorare l'efficienza dell'Onu, proteggendo i nostri interessi».
 Il taglio è una rappresaglia politica, peraltro minacciata apertamente durante il dibattito su Gerusalemme, che ha poco a che vedere con le questioni economiche. L'amministrazione Trump, come quella di Bush figlio, ha un'avversione ideologica nei confronti dell'Onu per almeno tre ragioni: primo, la sua dottrina sovranista non accetta l'idea di organizzazioni multilaterali che possano imporre la loro volontà sul governo americano, anche se questo nel caso del Palazzo di Vetro è impossibile, perché avendo il potere di veto gli Usa possono bloccare qualunque risoluzione legalmente vincolante del Consiglio di Sicurezza che non condividono; secondo, le Nazioni Unite sono percepite come nemiche di Israele; terzo, l'organizzazione è fondamentalmente progressista e liberal, promuove principi come la salute riproduttiva o la lotta ai cambiamenti climatici, e quindi ha un'agenda generalmente avversa, se non opposta, aquella del governo Usa in carica. Quindi ogni occasione per attaccare l'Onu è apprezzata dalla base di Trump e può quindi giovare al partito repubblicano in vista delle elezioni del novembre 2018 per il rinnovo parziale del Congresso di Washington.
I difetti di questa visione sono principalmente due. Il primo sta nella natura dell'organizzazione. II Palazzo di Vetro è solo una struttura dove i 193 Paesi del mondo si incontrano e discutono. Anche se venisse abbattuto, le posizioni globali resterebbero quelle. Su Gerusalemme, ad esempio, 128 Paesi sarebbero contrari al riconoscimento. Senza l'Onu non avrebbero una piattaforma per farlo sapere, ma sul piano politico concreto il problema resterebbe invariato. II secondo difetto sta nel fatto che le Nazioni Unite le avevano volute proprio gli Usa, per difendere i loro interessi. È vero, ad esempio, che Washington paga il 22% del bilancio, ma ciò significa che il resto del mondo paga il 78% rimanente. Con questi soldi, ad esempio, si finanzia l'assistenza ai rifugiati che scappano dalla Siria in Giordania, stretto alleato degli Usa nella lotta al terrorismo, che senza gli aiuti Onu sarebbe già esploso.

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