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Il Cittadino di Lodi Rassegna Stampa
13.12.2017 Lodi: bisogna ripristinare la verità su Israele
Lettera di Marco Riccaboni

Testata:Il Cittadino di Lodi
Autore: Marco Riccaboni
Titolo: «Prima di esprimersi occorre conoscere bene la storia di Israele»

Riprendiamo dal CITTADINO di LODI del 12/12/2017, a pag. 35, la lettera di Marco Riccaboni, Presidente Associazione Italia Israele di Lodi, con il titolo "Prima di esprimersi occorre conoscere bene la storia di Israele".

La pubblicazione di questa lettera dimostra l'utilità di scrivere e intervenire sui giornali locali, un consiglio per tutti gli amici di Israele.

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Marco Riccaboni

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Egr. sig. Direttore de il Cittadino, Sabato 9 dicembre 2017, in piazza della Vittoria a Lodi, davanti al Duomo, si è tenuto un comizio gestito dall’Associazione FuoriCircuito in cui si sono espresse posizioni aberranti contro Israele, accusato di apartheid e genocidio. All’origine di queste affermazioni c’è la drammatica situazione in cui vivono le popolazioni nella striscia di Gaza e in Cisgiordania che si pensa sia diretta responsabilità dello stato Ebraico, ma un tale ragionamento è pieno di pregiudizi e di luoghi comuni. Quindi è il caso di un approfondimento dei fatti che possa fare maggiore chiarezza. Parlare di apartheid e di genocidio non è solo sbagliato ma è anche molto pericoloso perché le parole usate possono portare gravi ripercussioni ed esacerbare gli animi, giustificando attacchi violenti. Se le parole sono usate senza conoscerne il significato, forse sarebbe meglio tacere, se le si usano in mala fede, invece, è gravissimo. Innanzitutto, pur con le sue contraddizioni e difficoltà, Israele è oggi l’unica democrazia del medio oriente, una società pluralistica in cui vivono con pari diritti ebrei (76%), musulmani (16%), arabi cristiani (2%), drusi (2%) e altri ancora (4%). Tutti hanno gli stessi diritti attivi e passivi, eccezion fatta per i musulmani che sono esentati dal servizio militare. Israele è l’unico Stato del medio oriente in cui gli uomini e le donne hanno gli stessi diritti. Dove non vi sono discriminazioni religiose o sessuali. Dove gli omosessuali possono esprimersi liberamente, senza il rischio di finire imprigionati o ammazzati come accade nei paesi arabi confinanti. Dove arabi, cristiani, drusi ed ebrei possono aspirare a occupare le mansioni più alte in aziende, ospedali, università, esercito, in Parlamento e nella Corte Suprema. Certo, per raggiungere tali posizioni si deve competere e meritare il posto grazie al proprio valore. Ma questo è un pregio, non un difetto; sicuramente, non ha nulla a che vedere con razzismo e apartheid. Gerusalemme è la città santa per gli Ebrei da oltre 3000 anni e da 70 è anche la capitale di Israele. E’ la città santa per i cristiani nei luoghi dove avvenne il martirio di Cristo. Lo è anche per i musulmani che ricordano qui l'ascesa al cielo del profeta Maometto. Oggi tutte e tre le religioni possono accedere ai luoghi di preghiera. Dal ‘49 al ‘67, durante l’occupazione giordana, ciò non era possibile. Massacri, distruzione di sinagoghe e profanazione di cimiteri ebraici hanno portato la popolazione ebraica di Gerusalemme est alla quasi scomparsa. Dove ore c’è la piazza davanti al Kotel (muro del pianto) vi erano latrine e per gli ebrei era impossibile accedervi. E anche per i cristiani non era facile poter andare a pregare al Santo Sepolcro. Quando poi si parla di genocidio, si parte da molto lontano. Si accusa falsamente Israele di aver espulso 850.000 palestinesi. In realtà il 29 novembre 1947 l’ONU approvò il piano che prevedeva la spartizione in due stati del mandato britannico per la Palestina. Furono gli stati arabi che rifiutarono perché nel ‘48 attaccarono con i loro eserciti il nuovo stato. Prima dell’attacco, avevano invitato gli abitanti arabi del nascente stato ebraico a lasciare le loro case con la promessa che nel giro di pochi mesi vi sarebbero rientrati. Contemporaneamente, in tutti gli stati arabi, gli ebrei, che vivevano in quelle terre da secoli, furono trucidati; i più fortunati espulsi o riuscirono a scappare. Ben 900.000 ebrei provenienti dai più disparati stati arabi, confluirono in Israele per salvarsi la vita. Con il termine genocidio si intendono «gli atti commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»[dizionario online della Treccani]. Nei confronti dei palestinesi non esiste nessun fatto storico nei che possa realmente portare a tale definizione. La popolazione palestinese che volontariamente ha lasciato lo stato di Israele ammontava a circa 850.000 persone, ora in circa 70 anni, il numero è salito a circa 4.000.000. Certo le loro condizioni di vita non sono facili, hanno per giunta il confronto con il vicino stato che è prospero, nonostante 70 anni di conflitto e questo alimenta e fomenta invidie. Purtroppo la mistificazione della storia, porta a far passare le vittime per oppressori, i carnefici per vittime. E purtroppo ci si dimentica troppo spesso dei fatti che sono accaduti. Durante la seconda guerra mondiale il modo arabo e in particolare, il gran Mufti di Gerusalemme, zio di Yasser Arafat, era un sodale di Hitler e insieme crearono le SS arabe. Al contrario, la brigata ebraica veniva in soccorso della nostra nazione insieme agli angloamericani per la liberazione dal nazifascismo. Oggi, purtroppo, uno dei libri più letti nei paesi arabi, è il Mein Kampf di Adolf Hitler da cui spesso Hamas, OLP, Fatah e altri gruppi traggono insegnamento: ”le grandi masse di una nazione….diventeranno più facilmente vittime di una grande menzogna piuttosto che di una piccola” (Adolf Hitler, Mein Kampf) Anche il processo di pace non è mai arrivato a una conclusione condivisa, non per responsabilità di Israele, ma per la volontà, prima degli stati arabi, e poi del gruppo dirigente palestinese (Fatah e Hamas) di non addivenire a nessuna reale mediazione. Perché l’unico obbiettivo riconosciuto dalla parte araba è la totale cancellazione dello stato di Israele, come chiaramente dichiara Hamas nel proprio statuto. Da leggere in particolar modo gli articoli 13 e 14. Auspichiamo, quindi, che ci sia la volontà di conoscere la realtà e la storia dello Stato di Israele, che non è quella del genocidio e dell’apartheid, prima di esprimere giudizi così severi.

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