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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - Il Fatto Quotidiano - Ansa Rassegna Stampa
12.12.2017 Disinformazione e doppio standard: Corriere, Fatto, Enrico Rossi (Toscana), Leoluca Orlando(Palermo)
Lorenzo Cremonesi intervista il terrorista di Hamas Hassan Yousef, le posizioni di Cosimo Caridi, Enrico Rossi, Leoluca Orlando

Testata:Corriere della Sera - Il Fatto Quotidiano - Ansa
Autore: Lorenzo Cremonesi - Cosimo Caridi
Titolo: «'Siamo pronti ad accettare armi dall’Iran' - Figli e mattoni per conquistare la Città santa»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/12/2017, a pag. 8, con il titolo 'Siamo pronti ad accettare armi dall’Iran', l'intervista di Lorenzo Cremonesi al terrorista di Hamas Hassan Yousef; dal FATTO QUOTIDIANO, a pag. 6, con il titolo "Figli e mattoni per conquistare la Città santa", il commento di Cosimo Caridi; due comunicati ANSA con le dichiarazioni di Enrico Rossi, Leoluca Orlando.

Lorenzo Cremonesi lascia spazio senza ribattere alle parole di un terrorista di Hamas: a tanto arriva oggi il Corriere della Sera. Il terrorista Hassan Yousef promette guerra senza fine contro Israele e si dice disposto a ricevere armi e finanziamenti da chiunque, a partire dall'Iran. Nel silenzio totale di Cremonesi.

Cosimo Caridi sul Fatto Quotidiano descrive quella che definisce la "strategia di lungo periodo di Israele", ovvero "occupare e abitare le terre palestinesi". Non sorprende che il Fatto pubblichi un articolo tanto sbilanciato contro lo Stato ebraico, che giunge ad auspicare una crescita demografica araba tale da ottenere la maggioranza a Gerusalemme. Un cognome sospetto, che sia il figlio di tanta madre?

Riportiamo infine le dichiarazioni del presidente della regione Toscana Enrico Rossi e del sindaco di Palermo Leoluca Orlando, non nuovi a affermazioni contro Israele. Anche in questo caso, parole fondate sul doppio standard di giudizio.

Ecco gliarticoli:

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi: 'Siamo pronti ad accettare armi dall’Iran'

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Lorenzo Cremonesi Hassan Yousef

«Se la comunità internazionale non ci aiuta a combattere Israele e non reagisce compatta alle follie di Trump, allora noi palestinesi dovremo essere pronti a qualsiasi sacrificio pur di difendere i nostri diritti sulla nostra terra. Potremmo accettare armi e munizioni dall’Iran e saremmo ben felici se Hezbollah dal Libano dovesse compiere azioni armate contro Israele». Hassan Yousef evita appelli alla «guerra santa» e alla violenza estrema, come fanno i suoi compagni di partito a Gaza. Leader delle fazioni moderate del movimento islamico Hamas in Cisgiordania, 62 anni, sa di essere nel mirino della polizia locale e dei militari israeliani. Nel 2006 venne messo in cella a Ramallah per 9 mesi dagli agenti dell’Autorità palestinese. E da allora viene regolarmente arrestato dagli israeliani. «Senza processo. Per loro è una pura misura amministrativa precauzionale», ci dice nella sua casa di Ramallah.

Hamas cerca aiuto dall’Iran nella guerra con Israele? «Dopo 24 anni dagli accordi di Oslo, possiamo dire che il processo di pace è morto e sepolto. Trump ha piantato l’ultimo chiodo sulla bara. Il presidente Mahmoud Abbas e il suo governo devono dimettersi e ammettere il fallimento, hanno perso qualsiasi seguito popolare. Ora, se l’Europa non ci aiuta, saremo costretti a scegliere altre strade. E l’Iran può diventare un prezioso alleato». Ma l’Iran aiuta gruppi sciiti come l’Hezbollah libanese, che fa la guerra ai sunniti in Siria e Iraq. Hamas è sunnita, come potete cooperare? «Non abbiamo alternative. Se l’Iran ci manda armi saremo ben contenti di riceverle. Ma ben vengano gli attacchi di Hezbollah dal Libano contro Israele». Cosa pensa del nuovo asse tra Israele-Stati Uniti e il giovane principe reggente saudita Mohammad bin Salman in chiave anti-iraniana? «Non abbiamo alcun interesse a criticare il principe Salman. A noi preme difendere la causa palestinese, l’unità araba e la lotta contro Israele che resta il nemico da battere».

IL FATTO QUOTIDIANO - Cosimo Caridi: "Figli e mattoni per conquistare la Città santa"


Cosimo Caridi

Nei bar arabi della città gira una battuta. "Cosa manca a Gerusalemme per diventare Capitale? L'ambasciata statunitense? No,l'aeroporto!".Per arrivare nella Città Santa si atterra a Ben Gurion, distante oltre un'ora di curve dal Muro del pianto. L'aeroporto internazionale di Gerusalemme c'è, ma è chiuso. Aperto negli anni '30, passò sotto il controllo giordano nel '48 e poi israeliano dal '67. Ha smesso di operare nel 2001, durante la seconda Intifada, perché bersagliato dalle sassaiole palestinesi. Nell'urbanistica millenaria di Gerusalemme si leggono guerre, abbandoni e ricostruzioni. Ogni conquistatore ha tentato di cambiare almeno parte della città. Oggi Israele è forte: politicamente ed economicamente. L'edilizia vive un momento di enorme espansione. Percorrendo le arterie stradali che collegano le periferie al centro si notano innumerevoli cantieri. Sulla Hebron Road, la strada che punta a sud verso Betlemme, svettano due grattacieli, si contano trenta piani, sono i più alti della città. "Abito qui vicino - racconta Moshe Dahan studente dell'Università ebraica - prendo il bus davanti al cantiere tutte le mattine. Non mi sono accorto di come venivano su le torri, sono stati velocissimi". Due bandiere israeliane scendono lungo le facciate dell'edificio. Il riflesso del sole su acciaio, vetro e pietra bianca trasforma il cantiere in un simbolo. La strategia di Tel Aviv è stata chiara sin dal '48: occupare e abitare le terre vinte ai palestinesi, riutilizzare gli edifici che non si potevano abbattere e soprattutto costruire. Prima di tutto abitazioni e infrastrutture, poi nuove città e colonie. "Facts on the ground, facts on the ground (fatti sul terreno) - ripete Saleem Ramadan, insegnante quarantenne - qui la contesa non è sul riconoscimento o meno della capitale, ma sull'occupazione dello spazio fisico.

CI SONO MILIONI di israeliani e altrettanti palestinesi. Vince chi abita più spazi. Costruire, anche senza permessi o contro la legge internazionale, vuol dire che poi le negoziazioni si faranno sulla base non di quello che c'era 70 anni fa, ma su quello che esiste ora". Le colonie israeliane erano poche unità nel '48, oggi contano quasi un milione di abitanti e continuano a crescere. Qualsiasi futuro accordo di pace non potrà non prendere in considerazione questo fact on the ground. Saleem non ha partecipato alle proteste di questi giorni. La sua generazione ha visto due intifade e in entrambi i casi ai palestinesi non è rimasto nient'altro che una peggiore condizione economica. "Non abbiamo una leadership - spiega l'uomo - in molti non hanno documenti per viaggiare e sempre di più non hanno nemmeno i soldi per vivere". La politica di Abu Mazen, il presidente dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), è da sempre quella del negoziato.

IL RISULTATO E STATO un appoggio quasi incondizionato da parte della comunità internazionale, con l'importante eccezione statunitense. La mossa di Trump non è ha fatto cambiare la politica di Abu Mazen che ha incassato l'appoggio dell'Unione europea. Ieri Federica Mogherini, Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri, ha detto che l'Europa non seguirà il presidente statunitense nella scelta di spostare le ambasciate a Gerusalemme. Vedendo le immagini delle manifestazioni di questi giorni attivisti e politici di tutto il mondo hanno urlato "Intifada, Intifada", come fanno ogni qual volta esplodono delle proteste nei Territori. Però alle manifestazioni in Cisgiordania non c'erano i rappresentati dell'Anp, mentre a Gaza sventolavano le bandiere verdi di Hamas. La maggioranza delle proteste sono animate da gruppetti di adolescenti con fionde e pietre. Non ci son armi, solo pneumatici da bruciare. Dall'altro lato gli israeliani schierano i militari di leva, ragazzi di massimo vent'anni che sparano lacrimogeni per contraccambiare i sassi ricevuti. Non c'è escalation della violenza, ma lo scontro come momento formativo per le giovani generazioni di due popoli costretti a convivere.

Ecco due comunicati Ansa:

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Enrico Rossi. presidente Regione toscana

ISRAELE: ROSSI «TRUMP ACCENDE MICCIA, ITALIA IRRILEVANTE TACE» ROMA (ITALPRESS) - «Trump accende la miccia della guerra in Medio Oriente. l'Italia tace e non difende la pace. L'ineffabile irrilevanza della politica estera del governo Gentiloni ci fa perdere la dignità di Paese di primo piano e ci fa rimpiangere Andreotti e sognare il Craxi di Sigonella». Così, in un post su Facebook, il governatore della Toscana ed esponente di Art.1-Mdp Enrico Rossi. «Trump con la decisione di trasferire l'ambasciata Usa a Gerusalemme viola il diritto internazionale e accende una miccia che può far esplodere la guerra in Medio Oriente. La Pace prima di tutto. Macron qualcosa dice. E l'Italia che fa? È succube di Trump - aggiunge -, delle 'petromonarchiè arabe e della destra israeliana o esprime un pensiero e un'iniziativa autonoma? Che dicono Gentiloni, Alfano e Renzi? Forse ci basta fare affari con i sovrani sauditi e con Netanyahu. Temo davvero che finiremo per rimpiangere la politica estera di Andreotti e per sognare il Craxi di Sigonella», conclude Rossi.

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Leoluca Orlando, sindaco di Palermo

ISRAELE: ORLANDO «TRASFERIRE AMBASCIATA USA È SBAGLIATO» PALERMO (ITALPRESS) - «La decisione di trasferire l'ambasciata degli Stati Uniti in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme non è solo contraria a tutte le decisioni internazionali assunte sullo status giuridico di Gerusalemme e non solo rischia di portare a nuove violenze nel Mediterraneo e nel mondo alimentando fondamentalismi e radicalizzazione dei conflitti. Questa decisione, soprattutto, pone gli Stati Uniti e Israele dal lato sbagliato della storia». Lo ha dichiarato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando.

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