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La Stampa-Il Giornale Rassegna Stampa
10.12.2017 Minacce su Israele: dagli sciiti iracheni e dal governo italiano
Analisi di Giordano Stabile, Gian Micalessin

Testata:La Stampa-Il Giornale
Autore: Giordano Stabile-Gian Micalssin
Titolo: «La minaccia sciita du Israele, liberiamo noi Gerusalemme-Palazzo Chigi, Palestina»

Israele sotto minacce. Dagli sciiti, come documenta Giordano Stabile sulla STAMPA di oggi, 10/12/2017, a pag.13. Ma anche dal governo italiano, il voto contrario al Consiglio di Sicurezza è una coltellata nella schiena a Israele, da parte di un paese, il nostro, che credevamo amico. Gentiloni/Alfano/Renzi continuano a non rispondere. Per questo pubblichiamo dal GIORNALE a pag.1, il pezzo di Gian Micalessin, che descrive  molto bene la vicenda-

La Stampa-Giordano Stabile:" La minaccia sciita du Israele, liberiamo noi Gerusalemme"

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Giordano Stabile


L'autostrada «sciita» si è materializzata all'improvviso alle frontiere di Israele e il premier Benjamin Netanyahu cerca di ricompattare l'intesa con il fronte sunnita scossa dalla decisione di Trump su Gerusalemme. E un video che mostra il comandante delle milizia irachena Asaib Ahl al-Haq sul confine fra il Libano e lo Stato ebraico a riportare l'attenzione sulla sfida sciita in Medio Oriente. Qais Al-Khazaali osserva l'orizzonte assieme a combattenti di Hezbollah, in lontananza si vedono le città israeliane di Metulla e Kiryat Shemona. «Siamo qui - proclama - pronti alla lotta per la causa palestinese e contro l'occupazione israeliana: liberemo Gerusalemme». Non sappiamo se Al-Khazaali sia arrivato dall'Iraq alla frontiera israeliana via terra, lungo quel «corridoio sciita» sempre più ampio, dopo che l'Iraq ha dichiarato la vittoria finale contro l'Isis, e la Siria ha messo in sicurezza la strada che dal confine iracheno porta a Damasco e poi a Beirut. Di certo «l'apparizione» ha una tempistica perfetta perché inserisce il fronte guidato dall'Iran nella guerra, per ora propagandistica, «per Gerusalemme», la più popolare fra le masse arabe e musuldi Asaib Ahl al-Haq, «Lega dei giusti», protagonista della lotta all'Isis 200 degli sciiti iracheni che hanno mila combattuto È il numero lo Stato complessivo islamico mane. La milizia Asaib Ahl alHaq, «Lega dei giusti», è stata protagonista delle guerriglia contro le truppe americane in Iraq fino al 2011. Poi ha risposto alla chiamata alle armi del grande ayatollah Ali Sistani per fermare lo Stato islamico alle porte di Baghdad, nell'estate del 2014. Ora conta su circa 20 mila combattenti, un arsenale di armi e mezzi di fabbricazione russa, iraniana e persino americana. Ma non ha più il nemico jihadista da combattere, perché, con la conclusione delle operazioni alla frontiera siro-irachena, «la guerra all'Isis è finita», come ha annunciato ieri premier Haider al-Abadi. Il califfato ha cessato di esistere come Stato terrorista dotato di un suo territorio. In Siria è ridotto a poche sacche isolate. Le milizie sciite irachene e libanesi lo hanno combattuto per tre anni e mezzo assieme agli eserciti regolari e si sono trasformate, anche se non tutte, nella «migliore fanteria in Medio Oriente». In Iraq possono contare su 200 mila uomini. La metà risponde direttamente a Teheran, e in particolare al comandante delle forze d'élite dei Pasdaran, Qassem Suleimani. È stato lo stesso Suleimani a supervisionare le operazioni al confine fra Siria e Iraq. Ora i proclami di Al-Khaazali hanno fatto salire le stelle l'allarme in Israele, che già deve fronteggiare le proteste palestinesi in Cisgiordania, e attacchi più seri al confine con Gaza. Il premier Netanyahu ha sentito l'esigenza di ricompattare l'alleanza con gli Stati arabi sunniti. Mentre una delegazione del Bahrein arrivava nello Stato Ebraico, Netanyahu si preparava a volare a Parigi per incontrare oggi il presidente Emmanuel Macron che ridato un ruolo da protagonista alla Francia nella regione, è amico di Israele ma non è d'accordo sulla scelta di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come sua capitale. Macron ha molta influenza in Libano, anche in funzione anti-Iran. Ieri il premier Saad Hariri ha denunciato la visita del comandante sciita iracheno come «una violazione delle leggi libanesi». Hariri ha appena ritirato le sue dimissioni, dopo che il presidente Michel Aoun gli ha promesso un progressivo ritiro di Hezballah dai fronti siriano e iracheno, in nome della «neutralità del Libano». Ritrovarsi in casa le milizie irachene era l'ultima cosa che desiderava. Ma senza più l'Isis da combattere le formazioni sostenute dai Pasdaran hanno allargato il raggio delle loro ambizioni. Un'altra milizia irachena, l'Harakat al-Nujaba, ha minacciato le truppe americane, «bersaglio legittimo» dopo la scelta di Donald Trump. E l'ancor più potente Saraya al-Salam, agli ordini dell'imam Muqtada alSadr, ha dichiarato che addestrerà un'unità speciale «per Gerusalemme». «Possiamo raggiungere il confine israeliano attraverso la Siria», ha avvertito.

Il Giornale-Gian Micalessin: " Palazzo Chigi, Palestina"

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Gian Micalessin                 
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Alfano Renzi Gentiloni

Cialtrona, servile ed autolesionista. Ecco l'Italia che ci ha regalato il governo del Partito democratico. Un'Italietta sollecita e prona quando si trattava di correre alla corte di re Obama. Ubbidiente e meschina oggi nell'associarsi alla muta dei Paesi europei pronti ad azzannare ai polpacci il detestato Donald Trump. La scelta di riconoscere Gerusalemme capitale dello Stato d'Israele sarà anche opinabile, ma la decisione del nostro governo di assecondare la Francia e di firmare, in qualità di membro non permanente e presidente di turno del Consiglio di sicurezza dell'Onu, una presa di distanze dalla Casa Bianca suona tanto meschina quanto masochista. Meschina perché mentre Matteo Renzi si presenta come il miglior amico di Israele, il governo del suo partito non si fa problemi a calpestare uno dei principi fondamentali 4 Le vittime dall'inizio dell'intifada proclamata venerdì dai palestinesi contro Gerusalemme capitale dello Stato ebraico pur di dar addosso all'odiato Trump. Ma nell'infelice scelta di allinearsi alle spalle della Francia, con Germania, Inghilterra e Svezia, c'è anche un bel po' di masochismo. La Francia di Emmanuel Macron, a cui non smettiamo di genufletterci, è la stessa che dopo aver portato al caos la Libia si rifiuta di darci una mano sulla questione migranti. La stessa che in Libia fa di tutto per contrastare le nostre politiche, sottrarci gas e petrolio e far carne di porco di quanto resta del nostro prestigio internazionale. Un prestigio che con Israele dovremmo star molto attenti a difendere visto che l'Italia è tra i principali partner dello Stato ebraico e il «terzo fornitore a livello europeo» con scambi cruciali nei settori dell'innovazione tecnologica, della biomedicina e della sicurezza cibernetica. Eppure - nonostante questi legami e i proclami di amicizia ad Israele ripetuti a ogni piè sospinto - l'Italia del Partito democratico non perde occasione per dimostrarsi scorretta ed inaffidabile. Soprattutto nelle occasioni e nelle sedi cruciali. In Europa, dove la guerra politica e commerciale allo Stato ebraico cova sotto le ceneri e dove le manovre di boicottaggio ad Israele sono quotidiane Matteo Renzi ha insediato come Alto rappresentante per la politica estera una Federica Mogherini diventata immediatamente famosa per la suo foto-santino in compagnia di Yasser Arafat. Una Mogherini impegnata in queste ore a far passare in ambito Ue una condanna di Trump e del riconoscimento di Gerusalemme analoga a quella presentata venerdì al Consiglio di sicurezza dell'Onu. In tutto questo il tradimento e l'autogol più imperdonabile avvallato dall'Italia-Pd resta quello dell'ottobre del 2016. In quei giorni - con Renzi ancora premier e Gentiloni alla Farnesina - la nostra rappresentanza *** all'Unesco non si fa problemi a scegliere l'astensione di fronte ad una mozione, sostenuta dall'Autorità nazionale palestinese, in cui si dichiara l'estraneità di Israele a Gerusalemme e ai suoi luoghi santi. Una sciatteria politico-diplomatica a cui Renzi tenta vanamente di mettere una pezza esibendosi in un'istrionica, ma tardiva sfuriata. Ma la faciloneria e l'approssimazione rischiano di giocare un brutto scherzo anche a Luca Lotti, il fedelissimo di Renzi piazzato su una poltrona dello sport da cui sembrerebbe difficile far danni. Invece la scelta, meritevole nel principio, di far partire da Gerusalemme il Giro d'Italia si è già rivelata goffa piccineria quando, per non far torto ai palestinesi, si è aggiunto il suffisso Ovest al nome della città. Ma il peggio deve, forse, ancora arrivare. La decisione di Trump su Gerusalemme era nell'aria da tempo e anche un ministro dello Sport poteva prevederne le non proprio pacifiche conseguenze per la zona. Ora, a decisione presa, il governo Gentiloni rischia di dover scegliere se esporre il Giro alla rabbia palestinese o confessare d'aver scherzato esponendo l'Italia all'indignazione israeliana. Comunque vada, rischia d'esser un gran brutto finale

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