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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Manifesto - Il Fatto Quotidiano Rassegna Stampa
28.11.2017 Hezbollah: per alcuni è un 'partito' o un 'movimento'
La disinformazione di Michele Giorgio, Roberta Zunini

Testata:Il Manifesto - Il Fatto Quotidiano
Autore: Michele Giorgio - Roberta Zunini
Titolo: «'Coalizione anti terrorismo': l'idea dello smanioso MbS - La maledizione del clan Hariri: padri-padroni in ostaggio di Allah»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 28/11/2017, a pag. 7, con il titolo "'Coalizione anti terrorismo': l'idea dello smanioso MbS", il commento di Michele Giorgio; dal FATTO QUOTIDIANO, a pag. 15, con il titolo "La maledizione del clan Hariri: padri-padroni in ostaggio di Allah", il commento di Roberta Zunini.

Ecco gli articoli:

Gli articoli di Michele Giorgio e Roberta Zunini diffondono disinformazione contro Mohammed bin Salman e Saad Hariri e si schierano di fatto con la dittatura iraniana. I due articoli trovano un punto di contatto esplicito a proposito di Hezbollah, il movimento terroristico sciita libanese al soldo di Teheran. Secondo Zunini Hezbollah è un "partito armato", peggio ancora fa Giorgio scrivendo di un semplice "movimento". Ecco un'immagine dei terroristi di Hezbollah, ciascuno può giudicare se considerarlo un "movimento" o un "partito":

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IL MANIFESTO - Michele Giorgio: 'Coalizione anti terrorismo': l'idea dello smanioso MbS'

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Michele Giorgio

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Mohammed bin Salman

Dopo aver minato la stabilità del Libano imponendo le dimissioni (poi sospese) al premier Saad Hariri, i sauditi sono ora riusciti a impantanare le già modeste possibilità di successo delle trattative, tra il governo siriano e i rappresentanti delle opposizioni, che si aprono oggi a Ginevra sotto l'egida dell'Onu.

 

 

COME AVEVA ANTICIPATO il quotidiano di Damasco al Watan, la delegazione governativa ha rinviato la partenza a causa della dichiarazione diffusa la scorsa settimana al termine della riunione a Riyadh dagli oppositori telecomandati dai Saud. Nel documento è stata inclusa di nuovo la richiesta che il presidente Bashar Assad si faccia da parte subito, quindi prima di qualsiasi accordo per una soluzione politica della guerra in Siria. «Abbiamo ricevuto un messaggio da parte del governo siriano in cui si affermava che oggi la delegazione del regime non sarebbe arrivata a Ginevra», ha comunicato ieri l'inviato per la Siria Steffan de Mistura al Consiglio di sicurezza dell'Onu.

DAMASCO VUOLE CHIAREZZA sugli obiettivi del negoziato e denuncia il «ritorno al punto di partenza» dopo i passi in avanti fatti nell'ultimo anno-agevolati dai successi militari dell'esercito siriano contro la galassia jihadista e islamista - per spingere gli oppositori e i loro sponsor arabi e occidentali a fare i conti con la realtà e a rinunciare a una richiesta insostenibile. Non la pensano così i sauditi che non si rassegnano e stanno facendo di tutto per rovesciare le intese sulla Siria raggiunte da russi, turchi e iraniani e che, almeno in parte, trovano appoggio anche a Washington. Nuove difficoltà anche per il Congresso nazionale per il dialogo sulla Siria in programma a Sochi. Sarà posticipato al febbraio 2018. Doveva tenersi già questo mese ma era stato posticipato a dicembre. L'iniziativa russa vuole mettere insieme tutte le componenti della società siriana, compresi i curdi. Ma i curdi non ci sono ancora. Lo ha confermato ieri Qadri Jamil, a capo del gruppo dell'opposizione «Piattaforma di Mosca».

E MENTRE IL NEGOZIATO a Ginevra diventa zoppo e quello a Sochi subisce un nuovo rinvio, il principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, ha lanciato a Riyadh la «Coalizione antiterrorismo« formata da 41 paesi musulmani, in occasione della riunione dell'Imctc (Islamic Military Counter Terrorism Coalition). Lo smanioso rampollo reale, che di fatto è già subentrato al padre re Salman, ha spiegato che la Coalizione metterà insieme «le sue capacità militari, finanziarie, politiche e di intelligence...e ciò avverrà a partire da oggi ed ogni paese contribuirà con il massimo delle proprie capacità». Quindi ha versato lacrime di coccodrillo condannando l'attacco di venerdì scorso alla moschea sufi nel Sinai. L'erede al trono ha dichiarato che si tratta di un «evento molto doloroso che ci ricorda i pericoli del terrorismo e dell'estremismo». Commovente.

TUTTAVIA IL GIOVANE MBS, come da un po' lo chiamano i media anglosassoni, ha omesso un particolare non proprio insignificante. Riyadh contribuisce generosamente al sostegno di istituzioni e gruppi religiosi vicini al salafismo - cugino di primo grado del wahhabismo saudita-che da anni è il principale produttore di estremismo e jihadismo armato in giro per il mondo. Al parto della «Coalizione antiterrorismo» islamica, che si aggiunge a quella che è nota ufficiosamente come la «Nato araba» (Arabia saudita, Emirati, Egitto e Giordania), non ha partecipato il Qatar, pur essendo un paese membro dell'Imctc.

IL GENERALE RAHIL SHARIF, comandante militare dell'Imctc, ieri ha parlato di «un approccio integrato per coordinare e unire gli sforzi sui quattro cardini della coalizione: l'ideologia, la comunicazione, il finanziamento del terrorismo e il settore militare, al fine di combattere tutte le forme di terrorismo ed estremismo». Nell'Imctc detterà legge l'Arabia saudita che, non è difficile immaginarlo, indicherà di volta in volta i «terroristi da colpire». E, possiamo scommetterci, saranno solo gruppi sciiti legati all'Iran, come gli houthi yemeniti e il movimento libanese Hezbollah.

IL FATTO QUOTIDIANO - Roberta Zunini: "La maledizione del clan Hariri: padri-padroni in ostaggio di Allah"

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Roberta Zunini

I manifesti con il volto di Saad Hariri, 45 anni, il primo ministro tornato nella Capitale libanese il 22 novembre, giorno dell'Indipendenza, dopo aver rassegnato le proprie dimissioni agli inizi del mese con un annuncio dall'Arabia Saudita - per alcuni ci sarebbe stato lo zampino del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman - punteggiano la strada che va dall'aeroporto intitolato al padre assassinato, Rafiq Hariri, fino alla moschea sunnita da lui fatta costruire e dove ora è seppellito. Il volto di Saad, che ha sospeso le proprie dimissioni dopo una riunione con il presidente cristiano Michel Aoun (che domani sarà in Italia, ndr), alleato del partito armato sciita Hezbollah, accompagna però anche chi sta per lasciare la città; non è detto che Saad non riprenderà la stessa strada fra una decina di giorni quando avrà finito le consultazioni con gli alleati del debole fronte sunnita e Hezbollah, longa manus dell'Iran, il vero dominus della politica libanese.

Quando nel 2005, due anni prima di essere assassinata, la ex premier pachistana musulmana sunnita, Benazir Bhutto, commentò il devastante attentato dinamitardo appena costato la vita al primo ministro libanese Rafiq Hariri, disse: "E troppo comodo attribuire in automatismo la colpa ai jihadisti di al Qaeda. Prima di emettere sentenze bisognerebbe far pulizia in casa, anziché, regolarmente, accusare lo sceicco del terrore (Bin Laden) col solo risultato di cacciare l'immondizia sotto il tappeto". Fare pulizia nella mente di un esponente del mondo islamico sunnita, allora come oggi, significa bloccare la crescita dell'influenza sciita iraniana e dei suoi affiliati, tra cui il partito armato libanese Hezbollah, la formazione politica che oggi guida di fatto il paese dei Cedri e i cui paramilitari hanno contribuito alla tenuta del regime di Bashar al Assad nella vicina Siria. La "pulizia" non era stata portata a termine nemmeno dalla "Rivoluzione dei Cedri", scoppiata subito dopo, anche a causa dello spietato omicidio del premier-magnate, nonostante i sospetti su mandanti e esecutori dell'esplosione che ridusse in polvere Hariri e la sua scorta, assieme ad alcuni passanti, in tutto 22 persone, fossero caduti sul presidente siriano.

Beirut, per vent'anni sotto i riflettori dei media internazionali per colpa della guerra civile, dall'ultimo scontro con Israele acceso da Hezbollah nel 2006, era di fatto scomparsa dai radar lasciando spazio al regime siriano. Salvato dall'intervento dei paramilitari di Hezbollah e dalla Russia di Putin, il regime alawita (culto di lontana derivazione sciita) di Assad ora affronterà il processo di transizione orchestrato da Mosca, dall'Iran e dalla Turchia, trascinandosi dietro il Libano e Saad Hariri. Figlio di Rafiq, già premier dal 2009 al gennaio 2011, quando venne fatto cadere dal patto stretto dall'allora generale Aoun con Hezbollah, Saad era tornato sulla stessa poltrona il 18 dicembre 2016, periodo in cui avrebbe cercato di bloccare il coinvolgimento del proprio paese nel conflitto siriano a causa della presenza massiccia di Hezbollah finanziando una milizia sunnita sempre in Siria. Come ha affermato in una intervista alla Bbc l'ex primo ministro del Qatar, lo sceicco Hamad bib Souleiman, Saad Hariri, attraverso la Turchia, ha foraggiato militanti armati con la collaborazione di Usa, Giordania, Emirati e Arabia Saudita.

Saad Hariri, anche dopo essere stato incaricato l'ultima volta alla presidenza del Consiglio in seguito al compromesso sull'elezione di Aoun a presidente della Repubblica per volere di Hezbollah, avrebbe quindi provato a contrastare lo stesso Hezbollah in Siria. Avrebbe potuto fare di più? Secondo il nuovo corso saudita di Mohammed bin Salman, si. Per questo lo ha chiamato e messo agli arresti domiciliari nella capitale saudita Riyadh costringendolo alle dimissioni. Sia Rafiq Hariri, sia il figlio Saad, così come tutta la dinastia Hariri, hanno anche la nazionalità saudita. Ma nel paese sunnita wahabita sede della Mecca, non sono mai stati semplici cittadini. A Ryad alla fine degli anni '70, Rafiq era entrato dal portone principale, quello reale, grazie alla protezione del monarca di allora. Dopo aver fondato l'impresa di costruzione Oger, era diventato il cavallo da corsa saudita nell'agone politico libanese. Con il suo assassinio sembrava che la società avesse trovato la forza di reagire all'oppressore, e così in parte è stato. Ora Saad non ha molte chance di rimanere al governo, a meno che l'Arabia Saudita si accontenti di una ritirata di Hezbollah dallo Yemen e dalla Siria. Intanto il rampollo Hariri una cosa la sa di sicuro. Qualora rimanesse primo ministro con il beneplacito di Hezbollah, la società fondata dal padre, diventata nei decenni un gigante delle costruzioni, dovrà dichiarare bancarotta perché non verrà più salvata dai petrodollari dei reali sauditi. Ad agosto ha chiuso i battenti dopo 39 anni.

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