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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Il Giornale Rassegna Stampa
13.03.2017 'L'Olanda la pagherà': Erdogan minaccia l'Europa. No ai ricatti
Cronaca di Monica Perosino, commento di Gian Micalessin

Testata:La Stampa - Il Giornale
Autore: Monica Perosino - Gian Micalessin
Titolo: «La furia di Erdogan: l'Olanda la pagherà - Finalmente l'Europa scopre i ricatti islamisti di Ankara»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/03/2017, a pag. 15, con il titolo "La furia di Erdogan: l'Olanda la pagherà", la cronaca di Monica Perosino; dal GIORNALE, a pag. 10, con il titolo "Finalmente l'Europa scopre i ricatti islamisti di Ankara", il commento di Gian Micalessin.

Ecco gli articoli:

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Il sultano Erdogan e la democrazia dietro le sbarre

LA STAMPA - Monica Perosino: "La furia di Erdogan: l'Olanda la pagherà"

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Monica Perosino

Da ieri una bandiera turca sventola sul tetto del consolato olandese a Istanbul. È una delle poche manifestazioni moderate del disappunto di Ankara contro l’Olanda, in una crisi diplomatica tra i due alleati Nato che non dà segni di volersi spegnere.

L’Olanda «nazista e fascista» pagherà «un prezzo» per il suo comportamento «vergognoso». Così il presidente turco Erdogan ha alimentato ulteriormente l’escalation di tensione tra la Turchia e il governo olandese scoppiata dopo che il governo di Mark Rutte aveva impedito ieri al ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, di atterrare a Rotterdam, dove avrebbe dovuto tenere un comizio alla comunità turca locale in vista del referendum costituzionale che si terrà il prossimo 16 aprile in patria. Ad aggravare lo scontro è poi arrivata la vicenda che ha visto la ministra turca per le politiche sociali e famigliari, Fatma Betul Sayan Kaya, respinta dalle autorità olandesi mentre cercava di raggiungere Rotterdam «via terra», a bordo della sua auto blindata.

Oltre a Erdogan, anche il premier olandese Rutte e il leader populista Wilders potrebbero «guadagnare» consensi dal crescente scambio di accuse. Mark Rutte, costretto in questi ultimi due giorni di campagna elettorale a parare i colpi del leader islamofobo Geert Wilders, difende la scelta di impedire i comizi dei ministri turchi proponendo ai potenziali elettori l’immagine di uomo forte in alternativa al leader del movimento di ultradestra del Partito per la libertà (Pvv). Il premier ha voluto tendere la mano ad Ankara, ma ha ribadito che il suo governo non intende cedere ai ricatti: «Faremo tutto quanto è in nostro potere per fare scendere la tensione, ma l’Olanda non si farà ricattare. Se ci sarà un’escalation dovremo rispondere». Soddisfatto dalla piega delle relazioni con la Turchia anche Wilders, che si è affrettato a rivendicare come suo «successo personale» il veto e che, dopo gli scontri al consolato turco di Rotterdam, avrà buon gioco a cavalcare l’ondatata islamofoba nel Paese.

Nella seconda giornata di scambi al veleno tra i due alleati Nato, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu è approdato a Metz, in Francia, dove è stato accolto da centinaia di sostenitori al grido di «Allah Akbar». L’Aja dovrà «dare spiegazioni» sulle sue azioni, ha detto Cavusoglu in un discorso infuocato, durante il quale ha definito l’Olanda, «capitale del fascismo».

Intanto, dall’altro lato dell’Europa la Danimarca, con un comunicato ufficiale del premier Lars Lokke Rasmussen, ha proposto ad Ankara di «rinviare la visita del premier turco» che era in programma per questo mese a causa delle tensioni con l’Olanda. E dalla Germania il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha detto che «queste tensioni rendono difficili gli aiuti economici alla Turchia» e un alto membro del blocco della cancelliera tedesca Angela Merkel in Parlamento, Hans Michelbach, ha chiesto che l’Ue fermi gli aiuti alla Turchia e ha escluso che ci siano speranze per Ankara di unirsi all’Ue. «Non c’è alcuna prospettiva di ingresso a lungo termine. La Turchia si sta allontanando sempre di più dall’Unione europea», ha detto Michelbach, aggiungendo che «i programmi di sostegno (che riceve in quanto candidato Ue ndr) sono uno spreco di soldi dei contribuenti». Ma Ankara sa che ha dalla sua la leva dell’accordo con l’Unione europea sui migranti.

IL GIORNALE - Gian Micalessin: "Finalmente l'Europa scopre i ricatti islamisti di Ankara"

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Gian Micalessin

Gli unici a non averlo capito nonostante gli attentati di Parigi e le altre atrocità del terrore islamista sono i francesi. Ieri sono stati gli unici a concedere al ministro degli esteri di Ankara Mevlut Cavusoglu, già al bando in Germania e Olanda, di parlare alla comunità turca in Francia. Così l'inviato di Erdogan ha potuto approfittarne per reiterare le sguaiate accuse lanciate a Olanda e a Germania. Ma se la Francia guidata da un Hollande senza futuro continua imperterrita il suo cammino di «sottomissione» il resto dell'Europa sembra svegliarsi, compresa la Danimarca che rinvia la visita del premier turco. Sembra comprendere che far parlare nelle piazze gli emissari di Erdogan equivale ad aprire le porte al nemico, a portarsi in casa chi vuole minare la civiltà e la stabilità utilizzando i migranti come quinta colonna.

Anche perché il referendum del 16 aprile non è una semplice riforma presidenziale. Rappresenta il definitivo colpo di spugna alla Costituzione laica del 1923 con cui Mustafà Kemal Ataturk abolì il califfato, mise le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, laicizzò il Paese, riconobbe la parità dei sessi e proibì l'uso pubblico del velo. Vincendo quel referendum Erdogan potrà ignorare il Parlamento e regnare alla stregua dei sultani ottomani che ha più volte annunciato di voler restaurare. Potrà, insomma, calare la maschera indossata per anni nel tentativo di farsi ammettere alla corte di Bruxelles. Certo la farsa di un Erdogan che con una mano blandiva l'Unione e con l'altra flirtava con l'Isis, sbatteva in galera gli oppositori e c'inondava di profughi per poi ricattarci a suon di miliardi era evidente. La riforma presidenziale rappresenta però il definitivo passaggio del guado. Erdogan ammette l'ambizione di trasformarsi in un nuovo Sultano, ammette il ritorno all'originale identità islamista, intollerante e integralista che nel '98 gli costò la poltrona di sindaco di Istanbul e lo portò in galera. Certo l'Europa ci ha messo un po' per capirlo. E non lo fa certo perché spronata dai propri ideali. Né per difendere quella sovranità che Erdogan pretende di tornare a calpestare.

Se il premier olandese Rutte ha trovato il coraggio di mettere alla porta Cavusoglu e la sua collega velata Sayan Kaya bisogna ringraziare Geert Wilders, il candidato della destra euroscettica e anti islamista che alle elezioni di mercoledì minaccia di conquistare la maggioranza. E lo stesso vale per Angela Merkel. Solo lo spettro del voto d'autunno e l'avanzata degli euroscettici dell'Afd pronti a rubarle milioni di voti regalando il successo al rivale socialdemocratico Martin Schulz la spingono a contrapporsi all' ex «amico» Erdogan a cui promise 6 miliardi a nome di tutta l'Europa pur di fargli richiudere il rubinetto dei migranti. Ma rispetto a quanto avviene ora quelle erano bazzecole. Con la scusa della propaganda elettorale il Sultano sta tentando di trasformare i migranti turchi a cui l'Europa ha garantito lavoro e benessere in cavalli di Troia della nuova Turchia neo-ottomana e islamista. Siamo insomma alle premesse di un'autentica guerra. La guerra subdola e paradossale di un alleato Nato che non potendo più entrare in Europa punta a influenzarla e sottometterla mutandone la composizione etnica e religiosa e minandone dall'interno la stabilità politica e sociale.

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