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La Stampa-Il Giornale Rassegna Stampa
29.01.2017 Terrorismo: con Trump la musica cambia
Paolo Mastrolilli intervista Daniel Pipes, analisi di Gian Micalessin

Testata:La Stampa-Il Giornale
Autore: Paolo Mastrolilli-Gian Micalessin
Titolo: «Giusto proteggersi, ma così non funziona-Altro che svolta razzista, mezzi drastici contro la jihad»

Riprendiamo oggi, 29/01/2017, dalla STAMPA (pag.9) e dal GIORNALE (pag.3)
due servizi sulle dichiarazioni di Donald Trump che hanno nuovamente suscitato clamore su tutti i media, un coro di proteste che non tengono conto delle reali misure previste. Se il terrorismo islamico deve essere combattuto, avere il controllo su chi entra negli Usa è fondamentale, questo il ragionamento di Trump. Così come mantenere una attenzione totale su quei paesi da cui provengono i terroristi. Che poi la decisione possa essere meglio elaborata lo dichiara anche Daniel Pipes, uno degli esperti che collabora con Trump. Parlare di razzismo è senza senso, una cosa sono i rifugiati dai paesi in guerra, altro il terrorismo, malamente affrontato in Occidente, a causa della confusione nella quale l'islam - la radice di tutto - sta continuando la guerra contro la democrazia. Ue, Onu,  la chiese, Vaticano in testa, sono stati finora complici. Obama se n'è andato, tocca a Trump.

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Donald Trump

La Stampa-Paolo Mastrolilli:" Giusto proteggersi, ma così non funziona"

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Paolo Mastrolilli                               Daniel Pipes

La titolazione non rende correttamente il pensiero di Daniel Pipes, uno dei massimi esperti di terrorismo islamico, in più collabora con la nuova amministrazione, vedremo a breve correzioni e,speriamo, i primi risultati.

«Una buona idea, messa in pratica male». È il giudizio di Daniel Pipes, presidente neocon del Middle East Forum e consigliere dell’amministrazione Trump, sul bando per l’ingresso negli Stati Uniti dei rifugiati e dei cittadini di sette paesi. Perché è una buona idea applicata male? «Gli Stati Uniti devono proteggersi meglio, e sapere chi chiede di entrare nei loro confini, ma il sistema di controllo va basato sugli individui, non sugli stati». Alcuni critici, anche repubblicani, dicono che il provvedimento firmato da Trump aiuterà i terroristi, confermando la loro versione secondo cui gli Usa sono in guerra con l’islam. «Più che questo aspetto, ciò che mi preoccupa è l’efficacia stessa dell’iniziativa. Ci sono alcuni iraniani molto amici dell’America, e alcuni italiani pronti invece a colpirla. Noi non abbiamo mai ricevuto attacchi diretti da alcuni degli stati inseriti nella lista, mentre ad esempio Richard Reid, lo “shoe bomber” che nel 2001 aveva cercato di far esplodere un aereo dell’American Airlines in volo tra Parigi e Miami, era cittadino britannico». Questo cosa dimostra? «Emettere un provvedimento generale nei confronti di alcuni stati non è la strada giusta da seguire. Se si tratta di una iniziativa temporanea di emergenza, in attesa di rendere operativi altri sistemi più efficaci, allora può andare. Nel lungo termine, però, dobbiamo tarare i controlli sulle persone specifiche che ci minacciano, non su intere regioni in maniera indiscriminata. Oltretutto la stessa lista è discutibile». Perché? «Ad esempio non ci sono l’Egitto e l’Arabia Saudita, cioè i paesi da dove venivano in maggioranza gli attentatori dell’11 settembre 2001». Perché mancano? «Non lo so. Forse perché abbiamo buoni rapporti con i loro governi, oppure perché le aziende del presidente Trump hanno interessi in quei paesi, però è possibile proteggerci senza urtarli». Lei cosa suggerisce di fare? «Io sto lavorando per l’amministrazione ad un sistema chiamato Uniform Screening Standards, che appunto è finalizzato a definire gli standard uniformi per il controllo di chi viene negli Stati Uniti, basati sulla pericolosità specifica delle persone, invece della provenienza generale. Questa è la strada da seguire per proteggere meglio il paese dal terrorismo, senza generare polemiche con un modello di intervento che invece non raggiunge i nostri scopi». 

Il Giornale-Gian Micalessin:" Altro che svolta razzista, mezzi drastici contro la jihad"

Ecco come stanno i fatti. Il coro buonista e politicamente corretto - come lo definisce Micalessin - ha completamente stravolto le dichiarazioni di Trump.

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Gian Micalessin

II coro buonista e politicamente corretto ha già deciso. Da ieri Donald Trump non soltanto è populista, ma anche anti-islamico e razzista. Eppure il suo decreto su visti e immigrazione non pretende di bloccare alle frontiere i musulmani, né di discriminare chi crede nel Corano. Quel decreto ha solo due obiettivi. Punta da una parte a migliorare i controlli su visti e immigrati per evitare l'arrivo di jihadisti e terroristi e dall'altra a garantire corsie preferenziali per i cristiani, gli yazidi e tutte le minoranze vittime della violenza e dell'odio islamista. Ecco gli 8 punti chiave per comprendere l'ipocrisia di chi condanna quel decreto.
1 - II decreto non menziona l'Islam, non fa della religione musulmana un elemento discriminante per l'ammissione negli Usa e durerà solo 4 mesi, il tempo necessario a migliorare le procedure di selezione dei richiedenti asilo. Il testo dell'ordine esecutivo mette al bando solo «coloro che sostengono ideologie violente anziché la legge americana». Nel firmarlo Trump parla della necessità di «tenere islamisti radicali e terroristi fuori dagli Stati Uniti. Non ammetteremo nel paese chi minaccia i nostri soldati che combattono all'estero». Nulla a che vedere con il razzismo e la discriminazione.
2 -Lo stop all'arrivo di nuovi rifugiati siriani non è un atto straordinario. Dopo l' 11 settembre un decreto assolutamente simile, emesso dal presidente George W. Bush, sospese l'accoglienza dei profughi iracheni. La decisione di Trump revoca un ordine esecutivo, firmato dal presidente Obama, che nel 2016 ha aperto le porte a 15.749 rifugiati siriani determinando un incremento dell'accoglienza del 606%. Un incremento assai discusso perché favoriva soprattutto i rifugiati siriani legati a quei movimenti jihadisti che l'amministrazione Obama ha appoggiato e armato, arrivando al paradosso di sostenere le fazioni di Al Qaida arroccate ad Aleppo Est.
3 - II decreto di Obama a favore dei profughi siriani è stato oggetto di pesanti critiche da parte delle stesse autorità federali chiamate a controllare i richiedenti asilo. Secondo quelle autorità il decreto conteneva «falle» che impedivano di respingere sospetti terroristi o personaggi legati a gruppi estremisti. Secondo alcune «gole profonde» citate dal «Los Angeles Times» ai primi di gennaio grazie a quelle «falle» sono entrati negli Usa un fiancheggiatore dell'Isis ed un sospetto terrorista - legato ad un altro gruppo jihadista - finito poi a lavorare in una base militare americana all'estero.
4 - Una statistica condotta a fine novembre - quando gli immigrati siriani accolti negli Usa grazie al decreto Obama erano 14.074 - dimostrava che il 99,1 di loro erano sunniti. Tra gli oltre 14mila rifugiati si contavano solo 83 cristiani, quindi appena lo 0,58 per cento a fronte di una minoranza che in Siria rappresenta oltre il dieci per cento. Gli sciiti, minacciati di morte dai gruppi jihadisti, erano soltanto 27. II decreto di Trump punta a mettere fine a queste discriminazioni e a garantire corsie preferenziali per quelle minoranze, come i cristiani e gli yazidi, che sono il vero obbiettivo delle campagne di persecuzione e sterminio condotte dallo Stato Islamico e da altri gruppi jihadisti.
5 - La revoca dei visti non riguarda i «musulmani», ma i cittadini di sette Paesi (Irak, Siria, Iran, Sudan, Libia, Somalia, Yemen) dove la presenza di Al Qaida e dello Stato Islamico è assolutamente documentata. L'unica eccezione riguarda il Sudan. In compenso il suo presidente Omar al Bashir è ricercato dalla Corte internazionale per genocidio e crimini di guerra.
6 - La revoca dei visti durerà solo 90  giorni, il tempo ad introdurre verifiche che consentano un migliore controllo sui visti concessi ai cittadini di quei paesi per evitare l'ammissione di sospetti terroristi e di personaggi pericolosi per la sicurezza.
7 - II decreto non è né arbitrario, né inusuale. Per capirlo basta leggere l' «Immigration and Nationality Act» (Legge sull'immigrazione e sulla nazionalità) «Qualora ritenga l'entrata di uno straniero o di una categoria di stranieri nociva per gli interessi degli Stati Uniti il Presidente - recita la legge - può decidere la sospensione delle entrate di tutti gli stranieri odi categorie di stranieri per il tempo ritenuto necessario ed imporre qualsiasi restrizione alle loro entrate considerata appropriata».
8 -  Chi accusa Trump di insensibilità nei confronti dei rifugiati musulmani farebbe bene a verificare quanto fanno per le vittime dei conflitti da loro stessi alimentati paesi di provata fede islamica come l'Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait e il Bahrain. L'Arabia Saudita e il Qatar pur avendo finanziato e armato i gruppi jihadisti che combattono in Siria rifiutano per legge l'ammissione di qualsiasi rifugiato e a tutt'oggi non ne assistono nemmeno uno. E altrettanto fanno Emirati Arabi, Kuwait e Bahrein che però si lavano la coscienza versando generosi contributi all'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite.

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