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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
15.12.2016 Iran: continua l'espansionismo in Siria e la repressione della libertà
Analisi di Daniele Raineri, Vanna Vannuccini

Testata:Il Foglio - La Repubblica
Autore: Daniele Raineri - Vanna Vannuccini
Titolo: «Ora è l'Iran a dettare le condizioni ad Aleppo e anche ala Russia - 'Con l'intesa nucleare niente è cambiato': nelle strade di Teheran delusa dall'Occidente»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 15/12/2016, a pag. 1-3, con il titolo "Ora è l'Iran a dettare le condizioni ad Aleppo e anche ala Russia", l'analisi di Daniele Raineri; dalla REPUBBLICA, a pag. 9, con il titolo " 'Con l'intesa nucleare niente è cambiato': nelle strade di Teheran delusa dall'Occidente", l'analisi di Vanna Vannuccini.

Ecco gli articoli:

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IL FOGLIO - Daniele Raineri: "Ora è l'Iran a dettare le condizioni ad Aleppo e anche ala Russia"

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Daniele Raineri

La storia della tregua prima firmata da Russia e Turchia per trasferire in salvo gli assediati di Aleppo e poi bloccata dall’Iran rende bene l’idea di cosa succede e di chi comanda in quel quadrante del paese. Una fonte di Aleppo dice al Foglio che ieri mattina gli autobus verdi hanno abbandonato il luogo prestabilito per l’inizio dell’evacuazione dei civili dalla città, che era stata fissata per le cinque del mattino e che non è mai cominciata. L’evacuazione era il risultato di un patto discreto tra Russia (che rappresenta il presidente siriano Bashar el Assad) e Turchia (che negozia a nome di alcuni – non di tutti – gruppi armati ribelli). La fonte dice che l’accordo con i ribelli c’è ed è stato pure firmato da un ufficiale russo. Non è impossibile: il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov dice che Mosca negozia con tutti i ribelli, tranne Jabhat al Nusra e Stato islamico. Cinque ore dopo l’ora della partenza abortita ricominciano i bombardamenti sugli assediati, come se non ci fosse stato alcun piano.

La fonte non vuole vedere il proprio nome in un articolo perché sono tempi duri – i nomi possono finire sulle liste di siriani in mano al governo e ancora non si sanno le conseguenze: cattura? Arruolamento obbligatorio nell’esercito? Per ora si tiene in contatto con i compagni ancora dentro Aleppo e attende nei dintorni di al Atarib, circa 30 km a est della città, che è il posto dove avrebbero dovuto arrivare gli autobus verdi. I bus sono ormai il simbolo della strategia del governo del presidente Bashar el Assad: assediare le aree che si sono ribellate, costringerle alla capitolazione con un misto di bombardamenti e di fame, svuotarle, trasferire gli abitanti altrove con – appunto – gli autobus verdi.

Gli sfollati sono stati bloccati ai checkpoint delle milizie iraniane, che non si accontentano del patto raggiunto dai russi assieme con i gruppi ribelli. Per loro le condizioni poste dai russi sono troppo miti, vogliono di più, per esempio vogliono allargare l’intesa a due enclave sciite assediate dai ribelli vicino Idlib. Il contatto del Foglio dice così, “milizie iraniane”, ma è una semplificazione per tagliare corto e indicare quell’assortimento di fazioni armate sciite formate da combattenti di nazionalità varie, siriani, pachistani, afghani, iracheni, libanesi, yemeniti, che in Siria si muove sotto il comando delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Se l’Iran disfa l’intesa, gli assediati restano dentro Aleppo est, ed è quello che è successo. Iran e Russia hanno il potere assoluto sulle decisioni del governo Assad, perché stanno fornendo la potenza militare che ne garantisce la sopravvivenza – anzi, più che la sopravvivenza, sono la forza dietro la serie recente di vittorie. Tra i due partner stranieri di Damasco, i russi sembrano i più forti, ma gli iraniani hanno molti argomenti per farsi valere e per dominare in questo triangolo.

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Iran: nessuna libertà di parola

L’argomento più forte è che gli iraniani provvedono a tutta la manovalanza necessaria a conquistare Aleppo e soprattutto a tenerla. I russi hanno deciso di fare una guerra quasi del tutto aerea, senza impegnare truppe a terra, per non dover soffrire perdite e anche per evitare la previsione maligna del presidente americano Barack Obama, che nel 2015 disse: l’intervento russo in Siria finirà in un “quagmire”, vale a dire s’impantanerà in un disastro militare. Se non ci fossero gli iraniani, Putin per essere altrettanto decisivo – come lo è ora – nella guerra civile siriana (ma non contro lo Stato islamico) dovrebbe mandare soldati russi a terra, ma sarebbe difficile da spiegare al paese. Il numero dei soldati iraniani morti in Siria è superiore a mille, come anche il numero di Hezbollah libanesi morti in Siria, per non parlare delle perdite delle altre milizie sciite – per esempio quelle afghane – che sono più difficili da conteggiare. Questo volume di perdite sconsiglia un impegno troppo robusto a terra. Il risultato è che l’Iran può dettare condizioni. E ai civili di Aleppo tocca una situazione che Yaacov Lozowick, capo archivista dello Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme, descrive così: “Quando noi ebrei diciamo mai più, diciamo mai più a situazioni come quella di Aleppo”.

LA REPUBBLICA - Vanna Vannuccini: " 'Con l'intesa nucleare niente è cambiato': nelle strade di Teheran delusa dall'Occidente"

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Vanna Vannuccini

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La teocrazia iraniana spiegata: "Voi votate, Dio decide"

Alle sei di sera la libreria Saless è piena di giovani, ma l’entusiasmo e le speranze di un anno fa, quando entrò in vigore l’accordo nucleare e tutti si aspettavano che l’Iran tornasse ad essere un paese normale, sono ormai spenti. «Speravamo in nuove opportunità di lavoro, in scambi col resto del mondo, e in una maggiore libertà», dice Nahal, una giovane laureata che è appena stata fermata dalla polizia alla guida della sua macchina perché il foulard era scivolato dietro la testa. «E invece trovare lavoro è diventato ancora più difficile, e noi continuiamo a vivere sotto non uno ma mille dittatori» . Se guidi senza foulard per punizione devi tenere in garage la macchina per una settimana. Nahal aveva obbiettato di dover ogni giorno insegnare all’università. È stata chiamata dai Servizi: «Collabori con noi, se non vuol pagare la multa. Ci servono informazioni, soprattutto ora che ci avviciniamo alle elezioni». Nahal ha rifiutato, ma pensa che tanti invece accettino di collaborare. Così non si fida più di nessuno. Come per questi giovani, anche per il presidente Rouhani l’accordo nucleare doveva essere l’avvio per grandi riforme interne.

«Abbiamo fatto Barjam uno, ora dobbiamo fare Barjam due a casa nostra » aveva detto a febbraio (Barjam è l’acronimo con cui gli iraniani chiamano l’accordo). Ma agli occhi del Leader supremo le aperture potrebbero rendere la Repubblica islamica vulnerabile alla “infiltrazione” americana: «Dietro la spinta verso nuovi Barjam c’è un complotto americano. L’obbiettivo è sempre lo stesso: cambiare la costituzione, rovesciare il sistema islamico», ha ribattuto Khamenei. Se il Leader aveva appoggiato il negoziato - senza il suo consenso nessun accordo avrebbe potuto essere firmato - non aveva però mai smesso di insistere sulla necessità di un’ «economia di resistenza » (tutto il contrario dell’apertura al mondo).

Ora, dopo l’elezione di Trump e dopo che il Congresso americano ha ribadito la volontà di bloccare qualsiasi vantaggio economico che l’Iran potrebbe trarre dall’accordo, e dopo la vittoria di Assad ad Aleppo con l’aiuto determinante degli iraniani oltre che dei russi, per la prima volta il Leader supremo si è schierato apertamente dalla parte dei fondamentalisti. Ha attaccato direttamente Rouhani: «La corsa a firmare l’accordo sul nucleare è stata un errore », ha detto in un incontro coi capi della Marina militare. Rouhani non è più nelle sue grazie, e il Leader non perde occasione per manifestare in pubblico la sua disaffezione, ostentando ad esempio simpatia per il vice presidente Jahangiri. Sotto pressione, Rouhani tenta l’appeasement: promette alla Marina militare sottomarini nucleari, ha licenziato il ministro della Cultura Jannati, inviso ai conservatori perché generoso nel permettere concerti e mostre di pittura (le pressioni sono arrivate al punto che gli ultrà hanno appeso in parlamento le foto di una signora che secondo le accuse sarebbe legata al ministro).

Ma il tentativo non ha fatto che accrescere la delusione degli iraniani, mentre i conservatori profittano del clima creato dall’elezione di Trump per dare il colpo di grazia al presidente sostenuto dai riformatori . Il Consiglio dei Guardiani respingerà a maggio la candidatura di Rouhani per un secondo mandato, si dice. La storia si ripete nella Repubblica islamica. Quindici anni fa, quando al presidente riformatore Khatami si affiancò un parlamento deciso a cambiare le cose, i conservatori dissero basta. E con l’appoggio decisivo del Leader supremo neutralizzarono Khatami , impedendogli qualsiasi riforma fino a che gli iraniani non si convinsero che i riformatori «erano come gli altri se non peggio» e che era inutile votare per loro. Fu così che andò al potere Ahmadinejad. Questa volta la posta in gioco è ancora più alta. Nei prossimi anni si tratterà di nominare il successore di Khamenei, che va per gli ottanta. E per i conservatori nessuna calamità sarebbe maggiore che vedere un riformatore prendere il suo posto. Rouhani avrebbe tutte le carte in regola per farlo, meglio perciò metterlo da parte prima.

Le lotte nell’ombra sono cominciate e come in passato la prima mossa è puntare sulle delusioni della gente: si vieta qualche mostra, si blocca l’uscita di un film, si mettono decine di poliziotti senza uniforme per le strade a multare la donne “mal vestite”. Hanno coniato anche uno slogan, Hassan il fabbro, subito adottato dalla popolazione stanca di non aver visto nessun miglioramento da un presidente che in campagna elettorale si era presentato con in mano la chiave per risolvere i problemi del paese. “Ha messo la chiave nella serratura e lì gli si è bloccata”, dicono. «Tanti hanno la memoria corta, nessuno si ricorda dell’eredità disastrosa lasciata da Ahmadinejad», ricorda un economista. In realtà la macchina dell’economia in questi ultimi mesi ha ricominciato muoversi. Entro la fine dell’anno iraniano che si chiude il 21 marzo è prevista una crescita del 6% e un’inflazione a una cifra per la prima volta da ventisei anni. Ma i prossimi cinque mesi saranno cruciali.

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