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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale-Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.08.2016 Olimpiadi: odio antisemita, ma Israele vince e riceve gli applausi
Commenti di Fiamma Nirenstein, Davide Frattini

Testata:Il Giornale-Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein-Davide Frattini
Titolo: «Vergogna, a Rio vince l'odio per gli ebrei-Il judoka egiziano che non stringe la mano all'atleta israeliano disonora se stesso»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 13/08/2016, a pag.11, con il titolo " Vergogna, a Rio vince l'odio per gli ebrei " il commenti di Fiamma Nirenstein. Dal CORRIERE della SERA, a pag.26, con il titolo "Il judoka egiziano che non stringe la mano all'atleta israeliano disonora se stesso " quello di Davide Frattini.


Or Asson, il vincente

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Islam al Shehabi, il perdente, si rifiuta di stringere la mano a Or Sasson, il vincente

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Vergogna, a Rio vince l'odio per gli ebrei "

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Fiamma Nirenstein

Ma come mai il mondo non si alza tutto in piedi gridando, questo mondo anti razzista, anti apartheid, in piena festa globalista alle Olimpiadi... Perché è così strabico da riuscire (a ragione) a cacciare un'atleta dopato che rompe il codice d'onore del lo sport, e non manda via a calci quelli che ne infrangono la regola fondamentale di parità etnica e religiosa discriminando gli israeliani come lebbrosi, rifiutandosi di toccarli, di condividere con loro uno spazio, di competere? Oramai siamo a tre episodi repugnanti di estremismo islamico, e nessuno alza un dito: ieri l'egiziano Islam al Shehabi, per cui evidentemente, come per tanti altri sui conterranei, non è mai stata firmata la pace con Israele del 1979 (parliamo di quasi quarant'anni fa!), ha rotto tutte le tradizione del judo rifiutandosi di stringere la mano al ragazzo israeliano che l'aveva battuto . L'ha lasciato di sale, incredulo e disarmato, privato della sua vittoria. Il pubblico ha protestato, i giudici hanno chiesto ad al Shahabi di fare l'inchino rituale e lui l'ha fatto: un inchino si fa da lontano. Ma toccare un ebreo, che schifo, che orrore. Domenica era stata la volta di Joud Fahmy, anche lei judoka, la quale si è spinta a perdere apposta lo scontro precedente a quello che l'avrebbe inevitabilmente portata a battersi con Gili Cohen, israeliana. Cohen? Si chiama Cohen? Siamo pazzi? Un cognome ebraico! Non si tocca, forse puzza, forse ha la coda. E pensare che i sauditi pochi giorni fa erano a Gerusalemme per delle riunioni in cui si discute di rapporti migliori, di piani di pace, di strategia. Ma altra cosa è la gente di un Paese integralista islamico rinunciare all'antisemitismo che impregna di sé tutto il suo mondo, con cui è stato educato dalla più tenera infanzia. Un ebreo si ammazza; Israele, sparirà: anche in Egitto si seguita a ripeterlo fin da bambini. Bisogna essere davvero illuminati, e ce ne sono, per pensare diversamente. Per favore si guardi PMW, sito web cui di possono leggere i media palestinesi e non solo quelli di Hamas ma anche quelli del partito di Abu Mazen. Il primo episodio avrebbe già dovuto allarmare e destare una reazione immediata: gli atleti israeliani stanno per salire sull'autobus che li deve portare al Maracanà, all'apertura, proprio il primo giorno che dovrebbe essere tutto spirito sportivo e entusiasmo e gli atleti libanesi si parano davanti alla portiera impedendogli di salire. Condividere un bus con gli ebrei? Il Libano è il Paese degli Hezbollah? E quando mai? Gli autobus sono un ben noto luogo di apartheid, ci sale solo chi è puro e degno. Non gli atleti israeliani. Le autorità sportive hanno fatto sapere che più avanti ci si occuperà di questi strani atteggiamenti. Più avanti? Non si compr ende che il fatto che il mondo intero si mostri indifferente, che di nuovo Europa, America, i Paesi occidentali in genere non attribuiscano nessuna importanza per questo evento è di fatto la copia dell'atteggiamento che fu preso a Monaco quando l'intera squadra israeliana fu sterminata con orribili torture da un commando di terroristi palestinesi? Anche allora i giochi proseguirono come se niente fosse accaduto. Non si capisce che non reagire a un atteggiamento integralista e estremo di odio verso gli ebrei apre la strada all'odio integralista e estremo, che proprio in queste ore si sta ringalluzzendo nell'ammirazione per gli atleti arabi che hanno compiuto i gesti discriminatori verso Israele, verso tutto l'Occidente? In questi giorni l'Isis e altri gruppi terroristici hanno cosparso i network di richieste ai loro sostenitori di compiere attacchi alle Olimpiadi: "Un picco lo attacco col coltello e con ciò che trovate a Rio avrà maggiore effetto di qualsiasi altra azione nel mondo" spiegano i centri del terrore. E' lo stesso ragionamento che, mutatis mutandis, ha portato gli atleti arabi a discriminare Israele: una piccola discriminazione qui, è uguale a un grande odio là, è una macchina di propaganda che porta al boicottaggio nelle università, nella scienza, all'odio per gli ebrei in tutto il tutto il mondo, alla dipendenza demenziale dalle menzogne di cui è Israele è coperto e che dovrebbero portare alla sua scomparsa e alla fine, alla crescita dell'estremismo violento. E le federazioni sportive che fanno? Che fanno i Paesi che hanno i loro atleti in gara a Rio? Si batteranno allegramente coi judoki antisemiti? Non capiscono che questa è una condanna che comminano a se stessi?


Davide Frattini

La visita a Gerusalemme un mese fa del ministro degli Esteri egiziano è stata la prima in nove anni. Sameh Shoukry ha discusso con il premier israeliano di strategie e preoccupazioni comuni (la Striscia di Gaza, il far west nel Sinai). Seduto sul divano con Ben amin Netanyahu, ha anche guardato la finale degli Europei. Le foto dell’incontro — i sorrisi davanti allo schermo piatto del televisore — sono state pubblicate al Cairo. Quando è tornato in patria, Shoukry è stato processato, almeno davanti al tribunale di Facebook, per tradimento. Gli stessi giudici e giustizieri che in queste settiman e hanno incitato il judoka egiziano Islam El Shehaby a rifiutare di combattere con l’israeliano Or Sasson. «Se perdi, disonori un’intera nazione» ha scritto un commentatore. Infatti
El Shehaby ha perso e ha disonorato solo se stesso (e il codice di un ’arte marziale come il judo) quando alla fine dello scontro non ha stretto la mano all’altro atleta. Scaraventato a terra un paio di volte durante la sfida, ha saputo rispondere solo con una mossa: insultare a lotta ormai finita. Richiamato dal giudice sul tatami per il saluto rituale, ha piegato di poco la testa, mentre l’etichetta dei samurai richiederebbe un inchino. Neppure il pubblico a Rio de Janeiro si è inchinato al suo sgarbo, l’antisportivo egiziano è stato sommerso dai fischi. Israele e l’Egitto sono in pace dal 1979. Anwar Sadat ha firmato — e per questo è stato ucciso — un accordo che riconosce l’esistenza dello Stato dall’altra parte della frontiera. Un’intesa che il gesto di El Shehaby e le urla digitali dei suoi sostenitori vorrebbero cancellare. Gli atleti arabi (sempre a Rio la delegazione libanese non ha voluto condividere un autobus) e iraniani proclamano che i loro boicottaggi sono un gesto simbolico contro il trattamento dei palestinesi, una protesta politica attraverso lo sport. Sembra piuttosto che vogliano rifiutare il diritto a esserci degli israeliani. In Medio Oriente o all’Olimpiade.

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