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La Repubblica - Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.10.2015 Violenza a Gerusalemme e nei Territori contesi: chi disinforma
Malainformazione e menzogna omissiva di Fabio Scuto, 'dimenticanze' di Davide Frattini

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera
Autore: Fabio Scuto - Davide Frattini
Titolo: «A Gerusalemme la Città vecchia proibita agli arabi: scontri, 100 feriti - La Città Vecchia chiusa agli arabi, e nei Territori c'è voglia di 'Intifada'»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 05/10/2015, a pag. 20, con il titolo "A Gerusalemme la Città vecchia proibita agli arabi: scontri, 100 feriti", l'analisi di Fabio Scuto; dal CORRIERE della SERA, a pag. 12, con il titolo "La Città Vecchia chiusa agli arabi, e nei Territori c'è voglia di 'Intifada' ", l'analisi di Davide Frattini.

Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti:

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Attentato a Gerusalemme

LA REPUBBLICA - Fabio Scuto: "A Gerusalemme la Città vecchia proibita agli arabi: scontri, 100 feriti "

L'articolo di Fabio Scuto e la sua messa in pagina da parte della redazione della Repubblica è un tipico esempio di disinformazione, come al solito contro Israele.

Le notizie riportate da Scuto e enfaticamente riprese nel titolo sono essenzialmente tre:
1) La Città vecchia di Gerusalemme è stata "proibita" agli arabi.
2) Nella "Cisgiordania occupata" ci sono state violenze e tafferugli, con oltre 100 feriti palestinesi.
3) Benjamin Netanyahu ha annunciato "misure straordinarie".

Invece di descrivere l'ondata di attentati che in questi ultimi giorni ha investito Gerusalemme e molte località dei Territori contesi (non "occupati"), Scuto e Repubblica preferiscono vittimizzare i palestinesi e dipingere Israele con i consueti panni di carnefice. Terroristi palestinesi compiono attentati mortali, ma per La Repubblica la vera notizia è che la Città vecchia di Gerusalemme è stata momentaneamente chiusa (ai non residenti, ma questo Scuto non lo scrive), che Netanyahu annuncia "misure straordinarie" (che cosa avrebbe dovuto annunciare? Una distribuzione gratuita di caramelle per i terroristi?) e che 100 palestinesi sono stati feriti, omettendo di scrivere che si tratta di violenti che hanno attaccato civili e militari israeliani. Malainformazione e menzogna omissiva al massimo.

Ecco il pezzo:

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Fabio Scuto

Mai, nemmeno durante i periodi più bui del terrorismo, la Città Vecchia era stata vietata agli arabi. Ma la gravità della situazione ha spinto le autorità israeliane a compiere questo passo eccezionale, dopo i due attacchi a colpi di coltello di “lupi solitari” palestinesi che hanno lasciato sulle pietre bianche della Old City due morti israeliani e tre feriti in meno di 12 ore. Se nella Città Santa scontri e tafferugli sono stati in qualche modo limitati ai quartieri arabi, nella Cisgiordania occupata la violenza è dilagata a macchia d’olio, a Jenin, a Hebron, Nablus e Ramallah. A fine giornata i feriti palestinesi saranno oltre cento – 18 feriti da pallottole vere, 59 da quelle di gomma ma con l’anima di ferro, 139 quelli trattati per inalazione di gas sparati da polizia e esercito israeliano. «E’ una nuova Intifada e il governo non è in grado di dare una risposta», accusa il capo dell’opposizione Yitzhak Herzog. Il premier Benjamin Netanyahu rientrato ieri sera dagli Usa annuncia “misure straordinarie” per contenere quest’ondata di violenze.

Abitualmente vivace, animata e colorata, la Città Vecchia ieri mattina sembrava una città fantasma e un fortino allo stesso tempo. Vicoli e viuzze deserti, negozi sbarrati e chiusi da grandi lucchetti, qualche turista ignaro, il silenzio rotto solo dal gracchiare delle radio appese alla cintura di poliziotti, guardie di frontiera e soldati che a gruppi di quattro pattugliavano tutta l’area. Nelle vicoli che dalla Porta di Jaffa scendono verso il Muro del Pianto i fedeli ebrei passano di fretta: molti in mano hanno il Lulav, il ramo di palma di Sukkot, lo stesso che avevano tra le mani i due rabbini uccisi sabato sera. Alle nove porte d’ingresso alla Old City erano invece schierate centinaia di divise israeliane per filtrare gli ingressi. Il ministro dell’Homeland Security Gilad Erdan ha parlato di un provvedimento “senza precedenti” perché la chiusura della città riguarda la stragrande maggioranza dei 300 mila palestinesi residenti a Gerusalemme Est che non vivono all’interno delle mura della città vecchia. Per due giorni – ieri e oggi – solo gli israeliani, i residenti, i commercianti e i turisti potranno entrare. La Spianata, il terzo luogo santo musulmano, è rimasta aperta.

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Benjamin Netanyahu

L’accesso resta possibile solo agli uomini più vecchi di 50 anni, un’altra disposizione inaccettabile per molti musulmani fedeli. Ma le autorità israeliane hanno dovuto blindare il perimetro all’interno delle Mura di Solimano nel timore che anche oggi, quando migliaia di ebrei si recheranno al Muro del Pianto per la fine della Festa di Sukkot, ci possano essere altre aggressioni. L’Anp denuncia questa ondata di violenze – ma finora ha evitato di condannare questi accoltellamenti – e punta il dito contro gli assalti dell’esercito israeliano in Cisgiordania, a Jenin e Hebron, i raid nei quali sarebbero stati arrestati anche dei pazienti nell’ospedale a Nablus, contro l’uso indiscriminato delle pallottole vere, delle rappresaglie dei coloni che hanno devastato alcuni villaggi arabi nella zona di Nablus. L’urban intifada, questa ondata di violenze legate soprattutto all’azione di “lupi solitari” arabi che usano l’auto come un ariete o il coltello, ha ucciso solo quest’anno otto israeliani mentre almeno 29 persone sono state uccise nella parte palestinese.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "La Città Vecchia chiusa agli arabi, e nei Territori c'è voglia di 'Intifada' "

L'articolo di Davide Frattini non è disinformante come quello di Scuto, e tuttavia contiene una imprecisione quando riporta l'ipotesi che Israele voglia cambiare lo status quo delle moschee sul Monte del Tempio come se si trattasse di una reale opzione sul tavolo. Israele ha smentito ripetutamente le voci, messe in circolo dalla propaganda palestinese per far crescere la tensione e scatenare una nuova ondata di terrorismo. Ma Frattini riporta esclusivamente la versione del terrorismo palestinese.

Ecco il pezzo:

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Davide Frattini

L’ invito del presidente Reuven Rivlin a non lasciare vuote le vie nella Città Vecchia di Gerusalemme sbatte contro lo sbarramento della paura e quello imposto dalla polizia. Che per due giorni non permette ai palestinesi di varcare i portali delle mura antiche, possono passare solo gli arabi che vivono o lavorano tra le pietre più contese. Con loro i turisti, gli ebrei israeliani che vogliono pregare al Muro del pianto, le tante guardie dispiegate dopo l’attacco di sabato sera. In questi giorni Israele celebra la festa di Sukkot, le tende bianche coperte dalle foglie di palma issate come bandiere davanti alle case o sui balconi. Pochi ricordano l’altra tenda, quella che il premier israeliano Benjamin Netanyahu suggeriva di piantare a metà strada tra Gerusalemme e Ramallah dove sedersi con il presidente palestinese Abu Mazen.

Era il giugno del 2013, adesso i due leader neppure si parlano, i negoziati voluti dagli americani sono «congelati» — l’espressione è dei diplomatici, le trattative sembrano piuttosto ibernate — in mezzo ci sono state una guerra (quella dell’estate scorsa con Hamas a Gaza) e la violenza che non si placa in Cisgiordania. La parola Intifada torna sulle prime pagine dei giornali, viene sussurrata con preoccupazione da Netanyahu e i suoi consiglieri, proclamata come avvertimento da quelli di Abu Mazen: «I segnali sono gli stessi del settembre di quindici anni fa, l’esperienza dimostra che gli israeliani non possono bloccare la libertà palestinese con misure di forza» commenta Saeb Erekat, considerato un possibile successore del raìs. Che a ottant’anni non nasconde la stanchezza: è improbabile che cerchi di ottenere un secondo mandato nelle elezioni per ora sempre rinviate.

Sarebbe la terza rivolta palestinese, l’ultima è scemata ed è stata disinnescata dalle operazioni militari nel 2005, dopo tremila morti arabi e un migliaio israeliani. A ognuna gli analisti e i politici israeliani hanno affibbiato una definizione: la prima è stata chiamata Intifada delle pietre mentre per la prossima, quella da scongiurare, manca ancora una denominazione perché la violenza è diffusa ma non sembra fino ad adesso organizzata. «È un’Intifada individuale — spiega Avi Issacharoff, esperto di cose palestinesi per il sito Times of Israel —. La maggioranza della popolazione non prende parte agli attacchi». Un sondaggio del Palestinian Center for Policy Survey and Research rileva che il 57 per cento tra gli abitanti arabi dei territori e di Gerusalemme Est appoggia il ritorno alla «ribellione armata», è l’8 per cento in più rispetto a tre mesi fa. Editorialisti come David Rosenberg associano la frustrazione palestinese all’economia sempre più rallentata (la crescita è a zero) della Cisgiordania: «Le condizioni di vita sono stagnanti — scrive sul quotidiano Haaretz — e l’Autorità palestinese tira avanti solo grazie alla generosità internazionale: non vuol sentir parlare di crisi perché vorrebbe dire impegnarsi in riforme interne».

Altri analisti sono convinti che lo scontro stia diventando religioso, al centro la questione della Spianata a Gerusalemme: il terzo luogo più sacro al mondo per i musulmani sunniti è venerato anche dagli ebrei, lì sorgeva il Secondo tempio distrutto dai romani nel 70 dopo Cristo. Malgrado le smentite, gli arabi temono che il governo israeliano voglia cambiare le regole di accesso definite da quasi cinquant’anni e permettere agli ultraortodossi di pregare tra le moschee. Abu Mazen alza il volume dei proclami e delle minacce, non sembra interessato però a fomentare una guerra che lo lascerebbe traballante al potere: per ora le sue forze di sicurezza continuano a cooperare e coordinarsi con l’esercito israeliano, provano a evitare che i disordini si diffondano.

Eppure — fa notare Amos Harel sempre su Haaretz — «gli sviluppi di questi ultimi mesi mostrano che i freni tirati dall’Autorità e dal governo israeliano potrebbero non bastare a fermare la corsa verso il caos». Gli alleati nella coalizione accusano Netanyahu di essere troppo morbido, lui che sette mesi fa ha vinto le elezioni con l’appellativo di Mr. Sicurezza. Così la destra oltranzista chiede di ordinare raid militari: «L’esercito ha le mani legate per colpa del premier» attacca Naftali Bennett, che guida il partito dei coloni ed è ministro dell’Educazione. «La sinistra sembra invece offuscata dai dubbi della mezza età», ironizza su Twitter Asaf Ronel, che ha seguito per Haaretz il dibattito tra Zeev Sternhell, tra i più importanti ricercatori sulle origini del fascismo, e Shlomo Avineri, docente di Scienze politiche ed ex diplomatico. Tutt’e due sostenitori da sempre della necessità di un accordo con i palestinesi, devono confrontarsi con quello che ormai anche i pacifisti considerano il fallimento dell’intesa stabilita a Oslo e che garantì il Nobel per la pace a Yitzhak Rabin, Shimon Peres, Yasser Arafat. Sono passati vent’anni, i due pensatori provano a immaginare le soluzioni che possano chiudere questo conflitto senza fine. Con l’avvertimento di Avineri: «I palestinesi continuano a considerare Israele un fenomeno coloniale destinato a scomparire, così non c’è una vera base per il dialogo».

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