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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.09.2015 Il Congresso dice sì a Obama, mentre l'Iran continua a prendere a schiaffi Obama
Commento di Maurizio Molinari, cronaca di Massimo Gaggi

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Moolinari-Massimo Gaggi
Titolo: «Per Teheran il potere Usa è in declino-Il 34° senatore 'dem' ha detto sì. Obama blinda l'intesa con l'Iran»

L'Accordo sul nucleare dell'Iran è al sicuro, come scrive in un editoriale Roberto Toscano sulla STAMPA di oggi, 03/09/2015, uno dei più plaudenti sostenitori della resa dell'Occidente di fronte alla politica terrorista degli ayatollah.
Riprendiamo, sempre dalla STAMPA, il commento di Maurizio Molinari, a pag.15.In poche righe, leggiamo la sconfitta degli Usa, affermata non da Netanyahu, ma dall'Iran stesso, che con parole arroganti ma veritiere prende a schiaffi Obama.
Segue, dal CORRIERE della SERA, a pag.23, la cronaca di Massimo Gaggi.

La Stampa-Maurizio Molinari " Per Teheran il potere Usa è in declino "

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a sinistra Maurizio Molinari, ayatollah Khamenei
la vignetta: finalmente qualcuno con cui posso negoziare

 "Il potere dell'America in Medio Oriente è in  declino": ad affermarlo è Qassem Soleimani, il comandante della Forza Al Qods che guida le operazioni delle Guardie della rivoluzione iraniana fuori dai confini nazionali, dall'Iraq alla Siria. Nel discorso all'Assemblea degli Esperti di Teheran, uno degli organi più importanti della Repubblica Islamica, il generale descrive così quanto sta avvenendo: «Assistiamo al collasso del potere degli Stati Uniti perché ad affermarsi è la solidità degli interessi e delle logiche dell'Iran». Due gli esempi. Primo: «L'America vuole tenere in vita lo Stato Islamico per spingere i musulmani a continuare a dipendere da lei» e la dimostrazione è che «le forze americane agiscono senza porre minacce esistenziali a questi terroristi». Secondo: «In Yemen gli houthi di Ansar Allah sono un movimento popolare che ha già resistito quattro mesi» ovvero «il doppio di quanto fecero i taleban nel 2001 in Afghanistan». Poiché Soleimani è il generale iraniano più vicino ad Ali Khamenei, Leader Supremo dell'Iran, le sue parole descrivono la lettura strategica del Medio Oriente che prevale a Teheran all'indomani dell'accordo sul nucleare a Losanna: «L'America è in declino, perde terreno, i suoi alleati sauditi non riescono a battere gli houthi ed è costretta a sfruttare Isis per tenersi vicini gli arabi». La conclusione di Soleimani è quella a cui Khamenei tiene di più: «Israele è diventata più debole»

Corriere della Sera-Massimo Gaggi: " Il 34° senatore 'dem' ha detto sì. Obama blinda l'intesa con l'Iran "

 
Smettetela, mi rifiuto di stare a sentire dei lunatici come voi!

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Massimo Gaggi

Alla fine Barack Obama l’ha spuntata: l’accordo nucleare negozi ato con l’Iran, o steggi ato d a Is r ael e e d a i repubblicani Usa, resterà in vigore anche in caso di voto contrario da parte del Congresso: la Casa Bianca porrà il veto e da ieri, dopo le prese di posizione dei senatori Casey, Coons e Mikulski, il leader americano ha la certezza di avere, almeno in un ramo del Parlamento, i voti necessari (34 al Senato) per respingere il prevedibile tentativo della destra di vanificare il veto presidenziale: un atto estremo che richiede una maggioranza dei due terzi in tutte e due le camere. A Capitol Hill la lobby ebraica si è impegnata in una campagna di un’intensità senza precedenti per cercare di ottenere dal Congresso un voto capace di far naufragare l’accordo sul nucleare iraniano siglato dagli Usa, dai Paesi Ue (Gran Bretagna, Francia , Germani a) e da Russia e Cina . L’ Aipac, l’associazione ebraica che ha legami molto forti con tutti e due i partiti Usa, ha « marcato a uomo» i parlamentari e stanziato circa 40 milioni di dollari per campagne contro l’intesa. Chuck Schumer, uno dei due senatori democratici che hanno ufficializza to il loro «no» all’accordo voluto da Obama (l’altro è Robert Menendez), si è ritrovato l’ufficio invaso da ben 60 attivisti dell’Aipac nei giorni precedenti alla sua presa di posizione. Ma Obama ha investito molto, nei suoi anni alla Casa Bianca, su una ripresa del dialogo con l’Iran degli ayatollah e non era disposto a farsi spiazzare: così ha ribattuto all’offensiva dei movimenti filoIsraele (non tutti: una parte della comunità ebraica ha appoggiato l’intesa) con altrettanta durezza. Ha accusato chi si oppone all’accordo di voler andare alla guerra con l’Iran, ripetendo l’errore fatto 13 anni fa attaccando l’Iraq. Ed è arrivato a dare interviste a giornali e televisioni minori, ma influenti in collegi n i quali vengono eletti parlamentari democratici ancora indecisi su come schierarsi. Trattando da guerrafondaio chi si oppone all’accordo anche quando oppone dubbi legi timi, Obama ha sicuramente esagerato (e infatti negli ultimi giorni ha corretto il tiro), ma alla fine l’ha spuntata: ora l’accordo con Teheran è al sicuro anche in caso di bocciatura del Congresso che dovrà votare il 17 settembre. Ma adesso Obama spera addirittura di evitare anche questa prima bocciatura: alla Camera, dove la maggioranza di destra è molto ampia, non ha speranze, ma al Senato, in b se alle norme sul «filibustering» tante volte usate per paralizzare l’azione del governo democratico, al presidente bastano 41 voti su 100 per costruire una minoranza di blocco. Obiettivo difficile da centrare ma non impossibile. Attualmente i senatori impegnati a bocciare l’accordo sono 43 e quelli pronti a farlo altri 13: in totale 56 su cento, i 54 repubblicani più due democratici; 34 senatori si sono già impegnati a sostenere il patto con Teheran e altri due sembrano orientati a seguirli. Tutto si gioca, quindi, su 8 democratici ancora incerti. Per Obama sarebbe importante evitare la bocciatura per togliere forza alla campagna repubblicana che sarà comunque vigorosa anch e se gli oppositori dell’accordo non riusciranno a bloccare la sua entrata in vigore. Tanto più che diversi dei senatori arruolati dal presidente voteranno senza entusiasm o (quando non con riluttanza) solo perché convinti che, al punto in cui sono le cose, non è realistico sperare i n una rinegoziazione del patto né in un ripristino delle sanzioni da parte di Cina, Russia e degli stessi Paesi europei. Storicamente gli ebrei americani sono più vicini ai democratici che ai repubblicani, ma stavolta Schumer e Menendez sono rimasti abbastanza isolati. Il secondo , un senatore del New Jersey azzoppato da un’accusa di corruzione, ha fatto molto riflettere i suoi colleghi quando ha detto che la speranza che alla scadenza dell’accordo (tra 10-15 anni), l’Iran rinunci all’arma nucleare per non perdere i benefici dell’integrazione nell’economia mondiale, «è appunto, solo una speranza. Che è un sentimento umano legittimo, ma non e’ una strategia per la sicurezza nazionale».

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