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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa-Corriere della Sera-La Repubblica Rassegna Stampa
03.09.2015 Marchiatura dei migranti: non è la Shoah ma il male può tornare
Elena Loewenthal, Daria Gorodisky, Elie Wiesel intervistato da Andrea Tarquini

Testata:La Stampa-Corriere della Sera-La Repubblica
Autore: Elena Loewenthal-Daria Gorodisky-Andrea Tarquini
Titolo: «Le cifre che cancellano anche i nostri nomi-Numeri scritti a pennarello sul braccio. Gli ebrei 'ci ricordano la Shoah'-Questa non è la Shoah ma il male può tornare»

Sulla 'marchiatura' dei migranti nella repubblica ceca escono oggi, 03/09/2015, cronache e commenti su quasi tutti i giornali. Abbiamo scelto su STAMPA, CORRIERE della SERA, REPUBBLICA gli articoli di Elena Loewenthal a pag.2, di Daria Gorodisky a pag.5, l'intervista a Elie Wiesel di Andrea Tarquini a pag.6.

La Stampa-Elena Loewenthal: " Le cifre che cancellano anche i nostri nomi "


Elena Loewenthal

 Non è un assedio né un'invasione: è come se l'Europa fosse diventata da un giorno all'altro un alveare di porte. Chiuse e aperte da una drammatica girandola di paure e speranze. Treni fermi nel tunnel sotto la Manica per non travolgere decine di vite migranti a piedi. Bilancio quotidiano di barconi affondati, questa volta al largo della Turchia. La stazione di Budapest ancora chiusa ai profughi. Controlli serrati al Brennero. In questo paesaggio continentale la scena sicuramente più inquietante ha luogo a Breclav, una cittadina della Repubblica Ceca al confine con l'Austria. In altre parole, il cuore della Mitteleuropa. Qui, scesi dai treni, i migranti sono stati marchiati con numero sulla pelle. Adulti e bambini. Quel numero sta sul braccio, ed è vero che non è un tatuaggio ma un tratto di pennarello. Ed è anche vero che non è l'anticamera del campo di sterminio e del forno crematorio. Peri saperlo II, scritto sulla pelle di esseri umani che sono diventati una sequenza di cifre, fa davvero tanta impressione. Le storie non si ripetono mai eguali a se stesse: saperne cogliere le differenze è un imperativo morale perché altrimenti tutto si banalizza dentro la comoda cornice della ripetitività. Parlare di un «nuovo Auschwitz» fa un torto tanto alle vittime di ieri quanto a quelle di oggi, che hanno diritto di sentire la loro storia chiamata con un nome tutto suo. Non lo abbiamo ancora trovato, un nome Le cifre che cancellano anche i nostri nomi alla storia dei milioni di persone in fuga da luoghi del mondo ormai invivibili. Lo troveremo, prima o poi, cacciando via con la ragionevolezza e il sentimento, con la buona politica, tutta la paura che questo flusso migratorio ci incute. Forse fa così paura proprio perché ci mette davanti a qualcosa di ignoto - il futuro nostro e loro - ma anche perché questa realtà non è del tutto nuova, scava nel profondo di un Dna storico ineludibile: in un passato vicino o lontano siamo stati tutti dei migranti. Ma per noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, rubando le parole a Primo Levi, questi scenari restano una malinconia ringhiosa, uno strazio momentaneo urlato dentro la confortevole cornice del social network, finché non ci troviamo davanti la scena di Breclav. Perché toccare la carne è tutta un'altra cosa. E non si tratta di minimizzare la portata di un problema epocale, per questo Vecchio Continente che ne ha già passate tante. Provare orrore al pensiero che nel cuore d'Europa degli esseri umani siano di nuovo marchiati (di nuovo perché è già successo anche se è un'altra storia) non significa liquidare la complessità della questione migranti. Perché toccare la carne vuol dire negare quello che siamo noi, oltre che quello che sono loro. Negare quello che siamo diventati dopo millenni di storia, fatica, sofferenze, miriadi di vittime. Toccare la carne con un numero scritto sul braccio cancella anche il nostro nome, oltre che quello dei migranti.

Corriere della Sera-Daria Gorodisky: " Numeri scritti a pennarello sul braccio. Gli ebrei 'ci ricordano la Shoah' "

 Stazione ferroviaria di Breclav, Repubblica Ceca. Una poliziotta scrive a pennarello blu un numero bello grande sul braccio di un bambino, poi un altro sulla mano di un giovane uomo. Vengono «marchiati» in questo modo 214 profughi, per la maggior parte siriani. Tra le notizie e le immagini che ieri hanno indignato il mondo, c'è stata anche questa. La cittadina è vicina al confine austriaco e di li passano treni che, partiti dall'Ungheria, sono diretti in Germania. La pressione dell'ondata migratoria in Europa è sempre più forte; e i regolamenti interuazionati che dovrebbero gestire gli ingressi di chi cerca rifugio sono sempre più inattuali ed evanescenti. Così, le autorità governative ceche hanno cercato di spiegare che numerare le persone era un sistema per tenere insieme i gruppi familiari, soprattutto vista la quantità di bambini presente nei treni; oppure, come riportato dal Daily Mail online, hanno fatto presente che evidenziare il numero di convoglio e di vagone dei clandestini avrebbe facilitato il loro respingimento verso il Paese di partenza. Però, per le organizzazioni umanitarie ceche e interuazionati controlli, caos e mancanza  di preparazione non giustificano in alcun modo comportamenti illeciti che «ricordano quelli dei nazisti». E anche la comunità ebraica italiana ha condannato duramente il fatto. «Quello che è accaduto è gravissimo. Decine di profughi sono stati letteralmente marchiati come fossero bestiame destinato al macello, richiamando inevitabilmente il periodo più oscuro della storia contemporanea», ha dichiarato Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane. Sottolineando la necessità di una reazione «forte e unitaria» per la costruzione di ponti di dialogo e solidarietà, e impegnando a questo fine «l'esperienza di amore per la convivenza delle realtà ebraiche», Gattegna ha però definito gravissima anche «d'immagine di un'Europa che appare sempre più fragile e incapace di affrontare le sfide che la investono». Una linea di pensiero che è condivisa dalla presidente della Comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello: «Sono immagini terribili, non si può ledere la dignità delle persone. Tutto questo mette in luce però anche un problema sostanziale  quando il flusso è ingigantito, non si è capaci di gestirlo. Adesso affrontiamolo, cominciando a interrogarci sugli errori commessi e operando con politiche di accoglienza e integrazione». Certo, esiste un aspetto sicurezza che non può essere trascurato: «È chiaro che non si può abbassare la guardia. Ci devono essere controlli, e soprattutto prevenzione. Però sempre nel rispetto delle persone. So che l'equilibrio fra accoglienza e sicurezza può essere difficile, un gatto che si morde la coda. Eppure, di fronte a certe situazioni, non possiamo stare a guardare e diventare complici di qualcosa di tremendo e già visto. Altrimenti, l'anima dell'Europa nata dalle ceneri di Auschwitz sarà svuotata di ogni suo valore fondamentale». Ma davvero si può fare un parallelo tra i fatti di Breclav e gli orrori della Shoah, che è stata citata da più parti? «No — conclude Ruth Dureghello —. Però non accetto che si resti indifferenti di fronte all'immagine di persone che diventano numeri. Non mi piace affatto».

 La Repubblica-Andrea Tarquini: " Questa non è la Shoah ma il male può tornare "

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Elie Wiesel

"Numeri scritti sulle braccia dei migranti, vecchi e giovani, uomini donne e bambini? Devo davvero dirle — con tutte le differenze storiche tra allora, quando sopravvissi, e oggi — quali memorie queste notizie-shock da Praga evocano nel mio animo?». Il professor Elie Wiesel, tra i massimi intellettuali della comunità ebraica mondiale, premio Nobel per la pace, risponde scosso eppure insieme freddo e lucido nell'analisi. Professor Wiesel, come sa la polizia cèca ha cominciato a scrivere numeri d'identificazione e registrazione sulle braccia dei migranti che in treno o altrimenti passano per il territorio cèco diretti in Germania o Austria. Che ne dice? «Davvero succede questo? Sta scherzando? Dio, la mia prima reazione è lo shock assoluto, quasi a citare papa Wojtyla, che defini il nazismo e la Shoah il Male assoluto. M'intenda bene, la Shoah non è paragonabile a nessun altro crimine nella storia dell'umanita. Però apprendendo quelle notizie da Praga confermate da Mlada Fronta Dnes (autorevole quotidiano cèco, ndr) mi chiedo: ma perché mai lo fanno? E perché mai lo fanno ancora proprio in Europa?». Insisto, come si sente davanti alle nuove ondate di ostilità e odio contro i migranti, all'Est e altrove? I mali oscuri e antichi dell'Europa tornano vivi? «Io voglio proprio sperare di no. E aggiungo, stiamo attenti: non paragoniamo la Shoah ad altri orrori pur scioccanti. Però tutti dovrebbero ricordare quell'espressione di Wojtyla, "male assoluto", anche per evitare che accada ogni male minore. Tutti gli europei dovrebbero sapere che siamo stati tutti stranieri pei e gli altri cittadini del mondo globalizzato dovrebbero sempre rammentare che siamo e siamo stati tutti stranieri quasi sempre, da secoli. Io mi sento da una vita come straniero eterno in quanto ebreo, e ho imparato a sentirmi bene. Perché nello straniero noi dell'intelligentsija ebraica— ma da secoli la pensano e l'hanno pensata così anche milioni e milioni di cittadini europei — lo straniero è qualcuno che ti arricchisce, perché ti porta un'altra cultura, una visione in più. Le società più aperte verso gli stranieri e la loro integrazione sono spessissimo quelle che ci guadagnano di più, acquisendo più cultura e più talenti. Tali successi non si conseguono scrivendo numeri sulle braccia dei migranti». L'Europa ancora una volta ha paura dei migranti economici, gli Stati Uniti no. Perché? «Gli Usa hanno sempre saputo crescere come nazione di stranieri che pian piano imparano a crescere insieme come we, the people. Gli europei dovrebbero sapere, come Angela Merkel e le statistiche Onu ricordano, che il più numeroso gruppo di migranti sono siriani. Fuggono da guerra, persecuzioni della dittatura, terrorismo dell'Is e sono persone molto qualificate». Quanto ha paura per il futuro dell'Europa? «Questa nostra conversazione mi fa prendere una decisione: nei prossimi giorni o settimane mi recherò in Ungheria e altrove in Europa, per farmi onestamente e direttamente un'idea della situazione e parlare chiaro. E per narrare come crebbi da fuggiasco e da straniero: scampato ai Lager nazisti, accolto in Francia con altri bambini ebrei, ebbi dalla Francia le chiavi di una cultura aperta. Esempi di mano tesa di allora dovrebbero non essere dimenticati, altro che numeri sulle braccia». Ma in Francia oggi il partito in volo è il Front National... «Lo so, mi preoccupa, eppure continuo a essere fiducioso nel paese dell'Illuminismo dove io sopravvissuto alla Shoah scoprii da bimbo e da giovane la cultura multietnica del mondo. La loro ragionevolezza futura sarà vitale». All'Est il nuovo razzismo quant'è allarmante? Prima contro ebrei, poi contro Rom, poi contro migranti... «È molto allarmante. In Ungheria, nei paesi Baltici, in Romania, altrove, bisogna fare chiarezza con il peso grave della Storia e capire che integrare gli stranieri è nell'interesse nazionale, non timbrarli. E poi trovo scioccante che Orbàn riabiliti Horthy, ideatore delle prime leggi razziali e complice dell'Olocausto. S'immagina Merkel che riabilita qualcuno che non voglio nominare? E quali servigi avrebbe mai reso l'antisemita Horthy al suo paese e al mondo? Ripeto, voglio volare in quelle terre al più presto, per cercare di capire meglio cos'è nella testa dei politici e della gente e dire chiaro e forte come la penso, in nome dell'umanità. Per esempio, dire anche che ognuno deve ripensare e non rimuovere dalla Memoria il ruolo di ogni paese nella seconda guerra mondiale».

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