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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale-Il Foglio Rassegna Stampa
13.08.2015 Turchia/Curdi: le politiche sbagliate di Usa e UE
Analisi di Gian Micalessin, Carlo Panella

Testata:Il Giornale-Il Foglio
Autore: Gian Micalessin-Carlo Panella
Titolo: «Così Turchia e UE innescano la bomba che ci distruggerà-Pax curda»

Riprendiamo dal GIORNALE e dal FOGLIO due articoli sulla politica della Turchia di Erdogan, rivelatori di come il sultano turco stia in realtà schierato dalla parte del terrorismo musulmano. Si possono mettere in evidenza le differenze fra le diverse anime curde, come fa Carlo Panella, ma è indubbio che i curdi stanno lottando da soli contro il terrorismo, lasciati soli dalla inetta e pericolosa politica americana.

Il Giornale-Gian Micalessin: " Così Turchia e UE innescano la bomba che ci distruggerà "

Chi si ostina a chiamarla tragedia apra gli occhi. Quella dei migranti è diventata una guerra. Una guerra combattuta contro di noi dalla Turchia e dai suoi alleati della Fratellanza Musulmana. Tra cui quella Libia in mano ad una coalizione islamista che l'ha trasformata nella cornucopia della migrazione illegale. Una guerra combattuta non a colpi di bombe, ma a raffiche di disgraziati mandati a spiaggiarsi sulle coste dell'Italia e della Grecia. Sotto gli occhi - più indifferenti che impotenti - dell'Unione Europea e di un'Alleanza Atlantica di cui Ankara continua - impropriamente - a far parte. L'arrivo, dall'inizio dell'anno, di 124mila migranti sulle isole greche di Lesbos, Chios, Kos e Samos è la dimostrazione più evidente di questa nuova guerra. Una dimostrazione quasi invereconda dal momento che la marea umana - e la macchina criminale che la governa - non sono, come succede in Libia, il frutto di una nazione allo sbando. Lo tsunami migratorio che rischia di trascinare a fondo una Grecia già spossata dalla crisi economica si dispiega da una Turchia in piena forma bellica e strategica. Una Turchia impegnata a bombardare i territori curdi in Siria ed in Iraq e pronta a mobilitare 18mila soldati per creare una zona cuscinetto profonda 30 chilometri e lunga cento alla frontiera con la Siria. Una zona da cui partiranno nuovi profughi visto che curdi e cristiani dovranno abbandonarla per far posto ai ribelli islamisti, veri manutentori del nuovo ordine turco. Eppure la Turchia del presidente Recep Tayyp Erdogan, così efficiente nel far valere le proprie ragioni strategiche, non muove un dito per bloccare i trafficanti di uomini che operano indisturbati a Bodros, Izmir e Canakkale, le città costiere turche da cui partono per la Grecia una media di mille esseri umani a notte. Ancor più incredibile è, però, il sopito stupore con cui l'Unione Europea guarda al nuovo esodo. Quei migranti approdati in Grecia non sono i figli di un'imprevista avversità cosmica, ma l'avanguardia del milione e 800mila profughi siriani accampati da quattro anni in territorio turco. Un'inevitabile conseguenza delle strategie di Ankara rivelatasi però tanto costosa da mantenere quanto sgradita all'opinione pubblica turca. Proprio per questo Ankara si guarda bene dal bloccare le organizzazioni criminali impegnate a trasferirli surrettiziamente in Grecia ed in Europa. Del resto nulla di nuovo. Nel 2014 la Turchia di Erdogan assistette per mesi, senza muovere un dito, alla partenza di enormi bastimenti con a bordo migliaia di migranti salpati dai porti turchi e diretti verso l'Italia. E non ha mai esercitato alcuna pressione su quella coalizione islamista al potere a Tripoli- di cui si dichiara madrina e protettrice - per indurla bloccare i lucrosi traffico di umani in partenza da Tripoli e dintorni. In fondo perché farlo? Le rotte della Libia e dell'Egeo contribuiscono, alla fine, a trasferire in Europa nuovi fedeli islamici che la Fratellanza Musulmana, in cui Erdogan si riconosce, potrà utilizzare per indebolire dall'interno la fortezza Europa. Eppure nessuno sembra accorgersene. Come nessuno sembra più ricordarsi dei 5000 militanti islamisti partiti dall'Europea e transitati dalle frontiere turche per raggiungere - sotto gli occhi compiacenti di Ankara - le basi dello Stato Islamico in Iraq e Siria. Basi da cui possono ora agevolmente rientrare sfruttando la nuova rotta dall'Egeo. Pronti, dopo un passaggio a Kos o Lesbos, ad operare e colpire nel cuore di un'Europa sempre più distratta, imbelle ed indifferente.

Il Foglio-Carlo Panella: " Pax Curda "

 Roma. Abdullah Oçalan ha preso una netta (e clamorosa) distanza dal suo Pkk, impegnato in una offensiva di attentati contro la Turchia, che ha di fatto sconfessata. Ha rinsaldato il suo asse con i curdi iracheni e ha rilanciato la sua proposta di pacificazione al presidente turco Erdogan. Il tutto, secondo gli abituali moduli criptici del linguaggio e della tecnica politica anatolica. Prigioniero a vita nel carcere dell’isola di Imrali, una sorta di Alcatraz nel Bosforo, Oçalan, col sicuro assenso dei servizi segreti turchi, ha inviato due giorni fa il suo fidatissimo plenipotenziario Amin Penjweni a Erbil per concordare col premier curdo Nechirvan Barzani una linea comune a fronte di un Pkk che palesemente non ne riconosce più la leadership ed è sotto il comando settario e avventurista di Fehman Huseyin. Le dichiarazioni rese alla stampa dal premier curdo iracheno (ovviamente il fiduciario di Oçalan non ha parlato) danno il senso della manovra in atto e sono di fatto di condanna netta dell’offensiva del Pkk, sino al punto che Barzani, come già suo padre Masud, presidente del Kurdistan, non ha condannato affatto i bombardamenti aerei turchi dei santuari del Pkk (che pure colpiscono il suo Kurdistan), ma si è limitato a deprecare le uccisioni dei civili curdi. Non solo, Barzani ha nettamente attribuito al solo Pkk la responsabilità della fine della tregua e quindi la colpa della ripresa della guerra con la Turchia: “Purtroppo, i bombardamenti turchi sono conseguenza della decisione provocatoria del presidente della Comunità del Kurdistan (KCK, l’organo amministrativo creato dal Pkk) di dichiarare terminato il processo di cessate il fuoco e di pace tra la Turchia e il PKK”. Il tutto in un contesto e in una successione dei fatti inequivocabili. La dichiarazione di ripresa unilaterale delle ostilità contro la Turchia è infatti avvenuta dopo che il Pkk ha incredibilmente attribuito al governo di Ankara la responsabilità dell’attentato di Suruç (32 giovani volontari curdo turchi dilaniati) – messo in atto però da un kamikaze dell’Isis – e invece di menare un’offensiva contro l’Isis in Siria, ha iniziato a uccidere poliziotti e soldati turchi. Una strategia avventurista frontalmente criticata nei giorni scorsi da Masud Barzani. Nechirvan Barzani ha poi duramente condannato ancora una volta il demenziale attentato del Pkk contro l’oleodotto che trasporta il petrolio di Kirkuk in Turchia. Attentato sul suolo del Kurdistan iracheno che colpisce gravemente le risorse economiche del Kurdistan iracheno, unico presidio affidabile contro l’Isis. Episodio marginale, ma che rispecchia bene l’avventurismo di matrice marxista leninista del Pkk, che considera come avversari anche i curdi iracheni, e che si è impiantato con le sue basi militari sui monti Qandil, tentando di allargarsi anche in altre zone, tanto da aver spinto il governo del Kurdistan iracheno a costruire un lungo muro (ufficialmente destinato a bloccare i contrabbandieri) per isolare questa fastidiosa e turbolenta enclave. Questa netta presa di distanza di Barzani – chiaramente concordata con l’emissario di Oçalan – mira a un obiettivo evidente, enucleato dal premier curdo iracheno: “Riprendere gli sforzi in modo che entrambe le parti tornino al tavolo dei negoziati e riprendano il processo di pace, da dove è stato interrotto. Faremo di tutto per fermare la guerra tra Turchia e Pkk”. Dunque, le analisi che provengono dal governo curdo, che rappresenta l’unico presidio democratico e affidabile della Mesopotamia, nonché unico bastione contro l’Isis, smentiscono platealmente e addirittura ribaltano la versione che impera sui media occidentali politically correct, che attribuiscono la responsabilità della ripresa di questa sanguinaria guerra al “perfido” Tayyp Erdogan. Naturalmente – e non per la prima volta – l’avventurismo militarista del Pkk, da cui da anni ha preso nette distanze lo stesso Oçalan, non è affatto sgradito al presidente turco. Una guerra a bassa intensità contro il Pkk gli torna oggi estremamente utile per tentare una coalizione col reazionario e iper nazionalista Mhp e soprattutto col laico Chp (che ha sempre avversato per un dogmatico kemalismo la road map di pacificazione col Pkk, fortemente voluta sino a tre settimane fa da Erdogan). Ma gli torna ancor più utile nel caso che questa coalizione non si faccia e che quindi la Turchia torni alle urne a settembre. Presentarsi all’elettorato col paese in guerra contro il Pkk e scosso dagli attentati è indubbiamente uno scenario gradito nel faraonico palazzo presidenziale di Ankara. Anche perché Erdogan ha appena avuto la riprova che Oçalan – e soprattutto il governo del Kurdistan iracheno – sono di fatto più vicini alle sue posizioni che a quelle dei dirigenti avventuristi del Pkk.

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