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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale-La Stampa Rassegna Stampa
15.11.2014 Sabato/Libri: Halbertal, Fubini, Modiano
Recensiti da Fiamma Nirenstein, Elena Masuelli, Gabriella Bosco

Testata:Il Giornale-La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstin, Elena Masuelli, Gabriella Bosco
Titolo: «Da Isacco al kamikaze quanti significati per la parola sacrificio-Che via di fuga hai quando il mondo crolla?-L'erba della notte cresce nei giardini di Modiano»

Riprendiamo oggi, 15/11/2014,  le recensioni  di tre libri interessanti, uscite sul GIORNALE e TUTTOLIBRI- LA STAMPA.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Da Isacco al kamikaze quanti significati per la parola sacrificio"


Fiamma Nirenstein                                      Moshe Halbertal

Da Caino e Abele, al sacrificio di Isacco, al Secondo Tempio, attraverso il Talmud ma anche leggendo Kant e Wittgenstein, Moshe Halbertal nel volume della Giuntina Sul sacrificio (pagg. 150, euro 14) arriva fino alla «guerra giusta» e ai kamikaze. Impariamo in sostanza che il concetto di «sacrificio a», ovvero il sacrificio rituale, che presto si trasforma in «sacrificarsi per», un luogo della psiche umana con cui tutti quanti abbiamo familiarità, è molto pericoloso perché si intreccia indelebilmente con il concetto di violenza. Insomma, se pensavamo che sacrificarsi fosse una scelta di generosità, invece impariamo qui che esso può essere una scelta in cui l'imperativo categorico di kantiana ispirazionesi mescola con il narcisismo personale, e chi della pulsione vuol fare uso, prima di tutto lo Stato, che secondo Halbertal può spingerci a guerre senza fine.
La preoccupazione di Halbertal, professore di pensiero e filosofia ebraica all'Università di Gerusalemme, è che il concetto di sacrificio nel trasformarsi in ideologia crei dunque alla fine dei soldati che, pronti a sacrificare la propriavita, si lancino di fatto in una spirale di violenza. Ma non è tutto qui, anzi. Il libro è diviso in due parti: sacrificio «a» e «sacrificarsi per», con una dimostrazione molto acuta di come la seconda scelta sia lo sviluppo moderno del sacrificio rituale. Caino che vede rifiutata misteriosamente la sua offerta amorosa al Signore agisce in risposta uccidendo Abele, non tanto perché si sia creata una sua privazione nell'avere, quanto nel dare. Il dono se non viene accolto annienta il donante, il rifiuto toglie dignità all'essere umano e lo rende pericoloso, e quindi si tratta di costruire una struttura in cui, proprio tramite la ritualità e più avanti tramite il pubblico apprezzamento, l'accoglienza sia garantita e protetta. Halbertal compie dunque tutta la strada per definire la pericolosità ma anche l'importanza nella storia umana di questo processo di rischio e protezione. Non esistiamo senza sacrificio, e non perché ci aspettiamo qualcosa in cambio, ma per motivi molto più profondi, relativi all'amore di Dio o all'apprezzamento. Abramo che si piega a offrire Isacco ci dimostra che il sacrificio non è fatto per ottenere ricompensa, dato che nessuna ricompensa può pareggiare l'offerta di un figlio. Si tocca così il tema del Cristo offerto da suo Padre per la salvezza del genere umano. Più avanti si arriverà, col «sacrificarsi per», alla trasmigrazione del tema nella psiche moderna: la guerra ne è l'epitome più salata. La tesi del filosofo è che il sacrificio dei soldati in guerra sia una esplosiva somma di amore di sé e di interesse con cui si paga il diritto a uccidere. Tesi interessante, e gestita bene: il fatto però è che spesso il sacrificio in guerra è generato da situazioni senza scelta, in cui l'amore di sé e l'interesse suggeriscono, come accade ora nella guerra contro il terrorismo, di combattere per non soccombere, e basta. Ovvero: per quanto se ne ragioni, il sacrificio a volte è indispensabile.

La Stampa- Elena Masuelli: " Che via di fuga hai quando il mondo crolla?"


Renzo Fubini                      Federico Fubini

Un «pugno di lettere» può bastare a stimolare la voglia di ricostruire una lontana storia privata, raccontandola con lucidi occhi che guardano a ciò che ci succede intorno. La via di fuga è l’originale omaggio del giornalista Federico Fubini al prozio Renzo, laureato in economia con Luigi Einaudi e borsista alla Rockefeller Foundation, testimone del crollo diWall Street e della grande depressione degli anni Trenta, giovane professore ebreo vittima delle persecuzioni razziali, morto ad Auschwitz. Ma è anche l’intuizione dell’attualità di quel tempo, riconoscendo nel nostro le stesse modalità di reazione e i tentativi di sopravvivere. Un’indagine condotta conciliando affetto e metodo, attraverso archivi e raccolte di giornali, rare testimonianze e sgualciti documenti conservati da chi Renzo lo ama, senza averlo conosciuto. Fogli sottili di carta azzurrina, fitti di appunti, restituiscono i tratti di una personalità schiva e prudente, curiosa, percorsa da «un magnete che lo attraeva negli ingranaggi della storia». La vita segnata dalla fretta, prima ancora che dalla paura, «come se sentisse che il tempo non gli bastava a vedere tutto, imparare tutto, esprimere, aprirsi, respirare». Affascinato da Keynes, più che da Hayek, al contrario di Einaudi: il maestro che lui ha il coraggio di mettere in dubbio, il potente amico di famiglia che, nonostante missive accorate e deferenti, non intercede per farlo espatriare, non lo salva. Con un continuo parallelismo fra ieri e oggi, Fubini porta il lettore a Catanzaro a «conoscere» Gianpietro, mezzo italiano e mezzo zingaro, disoccupato geometra senza timbro, troppo istruito per essere un rom, con l’indirizzo sbagliato per essere «normale». La volontà di non arrendersi alla città della compravendita dei voti che rende impossibile la vittoria dell’idealista candidato sindaco Salvatore Scalzo e lo fa emigrare; delle inchieste del procuratore Dominijanni, sempre il lotta contro i difetti di forma, gli occhi chiusi dei suoi collaboratori, la prescrizione dei processi; della piccola azienda informatica che, per mietere successi, vive mimetizzata e silenziosa. E poi il viaggio nella Grecia devastata dal fallimento, per «tramonti dalle dita di rosa» e autostrade deserte dirette verso il nulla, fino alla Nicea dei violenti neonazisti di Alba Dorata che si sostituiscono allo Stato, distribuiscono cibo a chi si sottopone a comizi, curano, «giudicano » sommariamente chi si sente derubato. Tutto è letto attraverso gli scritti di Renzo e quelli di un suo allievo, l’economista Albert Hirschman. Sua la definizione delle tre modalità di reazione alla crisi: exit, voice, loyalty. «Defezione, protesta, lealtà al sistema in declino». Con la constatazione di quanti danni, oggi come allora, mieta la mancanza di fiducia, «ricetta dell’inerzia e della paralisi»; di quanto resistano corporativismo e corruzione; di come «a distanza di un secolo l’Italia riesce ad espellere i corpi estranei». E la presa d’atto di una quarta via, un istinto che fa capolino a ogni disastro finanziario in tutti quelli che, in condizioni divenute impossibili, si rifiutano di fare i conti con la realtà. Ostinati rivogliono indietro «i migliori anni della loro vita».

La Stampa-Gabriella Bosco: " L'erba della notte cresce nei giardini di Modiano"


                                   Patrick Modiano

Il quartiere parigino di Montparnasse, una donna di nome Dannie, vaghi indizi, appunti sibillini presi in un taccuino nero, sbiaditi ricordi di incontri, spostamenti, dialoghi. In L’erba delle notti, romanzo del premio Nobel Patrick Modiano che sta per uscire da Einaudi nella traduzione di Emmanuelle Caillat, la consueta ricerca al di là del tempo effettuata dal narratore, scrittore di nome Jean, si concentra in un’area particolarmente circoscrittae il suosforzo nelmettere insieme brandelli di indizi è più faticoso del solito. Come se quel frammento di vita lontano vari decenni, che sprofonda nella prima giovinezza vissuta all’inizio degli anni Sessanta –già riaffacciatosi allamemoria in un passato più recente per via di un’inchiesta reale, di polizia, nel corso della quale il narratore aveva dovuto rispondere a domande precise sui suoi movimenti dell’epoca – si sottraesse ad ogni tentativo di recupero. Quasi si trattasse di una fotografia fuori fuoco in cui egli cercassedidistinguere idettagli. Al centro, nel punto più illeggibile dell’immagine, c’è un’uccisione. E a intromettersi tra il presente dell’indagine identitaria e il passato che il narratore cerca di incalzare, si insinuano molteplici stratificazioni letterarie: ricordi di letture che simescolano e sovrappongono a quelli autobiografici. Tristan Corbière, Gérard de Nerval, Jeanne Duval, amata da Baudelaire… Con la donna misteriosa, Dannie, è scomparso un pannello di vita, e Jean cerca di ricostruirlo appigliandosi alla memoria di altri scrittori, ombre che si aggirano per levieparigineenonsi lasciano afferrare. A questo tessuto narrativo tanto impalpabile quanto avvolgente, il cui andamento è quello del sogno, il lettore italiano potrà vantaggiosamente accostare un altro romanzo di Modiano uscito in questi giorni da Frassinelli nella traduzione di Leonella Prato Caruso, Viaggio di nozze.Un romanzo che Modiano scrisse nel 1990, epoca in cui lo ossessionava la scomparsa di una donna reale, la protagonista del suo capolavoro: Dora Bruder. In Viaggio di nozze il fuggitivo è il narratore stesso. Incessantemente alla ricerca di persone, luoghi, fatti che gli sinegano, il protagonista di Modiano in questo caso è qualcuno che vuole far perdere le sue tracce. Ha finto di partire per Rio de Janeiro ed è invece andato a Milano (lasciando a Parigi la moglie che lo tradisce con uno dei suoi collaboratori) per dedicarsi alla ricerca di tracce lasciate da una donna francese uccisasi diciotto anni prima proprio in un albergo diMilano, poco prima di ferragosto, nello stesso albergo in cui pochi giorni dopo il narratore si era trovato a passare. L’alter ego romanzesco diModiano si chiama anche qui Jean, questa volta autore di documentari televisivi sugli esploratori, mestiere di carta assai trasparente. Vuole scomparire «come se non fosse mai esistito», per indagare sul passato più liberamente. La donna suicida si chiamava Ingrid Teyrsen, il narratore l’aveva incontrata da ragazzo, nei primi anni Sessanta, facendo autostop in Costa Azzurra. Caricato da Ingrid e dall’uomo che era con lei, Rigaud, Jean aveva condiviso con quei due sconosciuti un breve tratto di strada e di vita.Donna all’epoca trentacinquenne, era parsa sin da subito a Jean capace di protezione nei suoi confronti. L’avrebbe rivista anni dopo, a Parigi, sola, in fuga da se stessa. Proprio lì in Costa Azzurra,Ingrid eRigaud erano approdati nel 1942, in piena guerra. Si erano finti in viaggio di nozze. La giovane donna era ebrea, l’uomo la portava con sé per sottrarla alla deportazione. Come per la veraDoraBruder, anche nel suo caso un avviso di ricerca era stato lanciato dal padre. Perché Ingrid era la versione finzionale di colei che assediava lamente diModiano dalla fine del 1988, da quando aveva letto casualmente in una vecchia copia di Paris Soir un annuncio dei coniugi Bruder che cercavano la figlia Dora, quindicenne, scomparsa il 19 dicembre 1941. Per Modiano, la fuga da casa di quella ragazzina ebrea, nelle vie di una Parigi assediata dalla seconda guerra mondiale, era diventata un pensiero fisso. Per anni ne inseguì esili tracce indocumenti, testimonianze, registri di polizia, nel collegio in cui i genitori l’avevano messa per proteggerla. Voleva scoprire imotivi di una fuga che aveva preceduto di pochi mesi la deportazione a Auschwitz. E la ricerca, meticolosa, si trasformò poco alla volta in erranza di uno scrittore cinquantenne nel proprio passato familiare e tra i fantasmi della storia. Il libro che ne risultò uscì nel 1997 (la traduzione italiana, che Guanda ora ripropone, è quella straordinaria di Francesco Bruno). «Dora Bruder è la vittima che Modiano avrebbe voluto essere e che non è stato», ha scritto Citati. Di questa ipotetica identificazione, Viaggio di nozze fornisce oggi un ulteriore, illuminante tassello interpretativo.

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