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La Stampa - Libero Rassegna Stampa
28.08.2014 Crimini dell'Isis e nuove alleanze in Medio Oriente
Cronache e analisi di Maurizio Molinari, Maurizio Stefanini

Testata:La Stampa - Libero
Autore: Maurizio Molinari - Maurizio Stefanini
Titolo: «L'Isis recluta bambini kamikaze - Il risiko delle alleanze tra nemici - Mutilazioni e crocifissioni. I venerdì horror dell'Isis»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 28/08/2014, a pag. 10, con il titolo "L'Isis recluta bambini kamikaze", e a pag. 11, con il titolo "Il risiko delle alleanze tra nemici", gli articoli di Maurizio Molinari; da LIBERO, a pag. 8, con il titolo "Mutilazioni e crocifissioni. I venerdì horror dell'Isis", l'articolo di Maurizio Stefanini.


Bambino addestrato dall'Isis

Di seguito gli articoli:


Maurizio Molinari

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "L'Isis recluta bambini kamikaze"

Esecuzioni in pubblico, amputazioni, frustate, false crocifissioni e arruolamento di bambini come kamikaze: sono i «crimini di guerra» che le Nazioni Unite attribuiscono allo Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr Al Baghdadi in un rapporto sulla Siria che accusa anche il regime di Damasco di aver adoperato in più occasioni le armi chimiche contro i civili. «Le esecuzioni nei luoghi pubblici sono divenute un uso ricorrente il venerdì nei territori controllati Isis» afferma il documento della Commissione indipendente di inchiesta sui diritti umani in Siria, sottolineando come i jihadisti «sono responsabili di decapitazioni di bambini di 15 anni, amputazioni e fustigazioni a cui i minorenni sono obbligati ad assistere». L’intento, per il capo della Commissione Paulo Pinheiro, è di «spogliarsi di ogni umanità, evocare l’apocalisse sui civili e devastare ogni tipo di sicurezza e libertà per le minoranze come per donne e bambini».
Il risultato è «creare un’atmosfera di paura e terrore» che viene a volte messa in atto «grazie ai bambini, anche di appena 10 anni, arruolati per combattere al fronte o compiere missioni suicide». Ciò non significa tuttavia, afferma il rapporto Onu di 45 pagine, che «Isis ha il monopolio della brutalità in Siria» perché il regime di Assad «che durante i primi anni del conflitto è stato responsabile di decine di migliaia di vittime civili» dallo scorso gennaio «ha continuato a massacrare centinaia di uomini, donne e bambini ogni settimana lanciando sui centri abitati missili e barili di esplosivo». Le truppe del regime di Damasco continuano inoltre ad usare le armi chimiche: «In almeno otto occasioni in aprile hanno adoperato clorina contro i civili nel Nord, a Kafr Zeita, al-Tamana e Tal Minnis». Sempre i governativi «usano violenze, torture e stupri contro i detenuti».
Le accuse dell’Onu nei confronti di Isis coincidono con un intensificarsi delle misure adottate nel mondo arabo per contrastare il «Califfo Ibrahimi»: in Giordania la polizia ha effettuato retate di militanti salafiti nell’ultima settimana mentre l’Egitto di Al Sisi, secondo il giornale saudita Al-Watan, sta discutendo con altri Paesi arabi la possibilità di «intervenire in Siria per sostenere i gruppi ribelli anti-Assad spingendoli anche a combattere Isis». Il tutto in vista di un impegno militare diretto Usa in Siria contro i jihadisti che proprio Al Sisi discuterà alla Casa Bianca con Barack Obama all’inizio di settembre.

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Il risiko delle alleanze tra nemici"

Iran. Influente ovunque grazie al ruolo delle tribù sciite.

È stato il re giordano Abdallah a coniare la definizione di «Mezzaluna sciita» per definire la coalizione di Paesi, organizzazioni e tribù che la Repubblica Islamica dell’Iran ha creato in Medio Oriente. È un’area che, da Est a Ovest, inizia con l’Iran, prosegue con l’Iraq dove la maggioranza sciita controlla Parlamento e governo, continua in Siria dove il regime di Assad è uno stretto alleato di Teheran e termina nel Libano del Sud roccaforte degli Hezbollah, il partito sciita libanese che controlla una super-armata milizia militare che minaccia Israele con un arsenale stimato di circa 10 mila missili.
A questa spina dorsale di alleanze bisogna aggiungere l’influenza che l’Iran ha sulle minoranze sciite in Paesi sunniti: dal Bahrein, dove furono protagoniste tre anni fa della rivolta di piazza contro la monarchia, fino allo Yemen dove gli Houti incalzano le truppe governative nel Nord e perfino dentro il perimetro della capitale Sanaa. Alla base di queste alleanze di Teheran c’è l’efficienza della Forza Al Quds, ovvero le speciali unità militari incaricate di operazioni all’estero per sostenere i partner di Teheran e colpirne gli avversari. È la Forza Al Quds ad aver creato, negli ultimi 30 anni, gli Hezbollah nella Valle della Bekaa, riuscendo poi a sfruttare proprio la manodopera dei miliziani sciiti libanesi per sostenere il regime di Assad sin dall’inizio della rivolta popolare del febbraio 2011. I comandi della Forza Al Quds rispondono agli ordini di Ali Khamenei, Guida Suprema della Rivoluzione. Ma non è tutto perché oltre alla carta della solidarietà sciita e ai gruppi paramilitari c’è un terzo elemento che spiega l’estendersi dell’influenza dell’Iran: la credibilità che viene dallo sviluppo del nucleare perché spinge capi di governo e leader tribali a guardare a Teheran come ad un’imminente potenza atomica.

Egitto e Arabia Saudita. Un patto di ferro per contenere i “ribelli” sunniti

Il patto fra il Cairo e Riad riunisce tutti i Paesi arabi sunniti che si oppongono tanto alla «Mezzaluna sciita» guidata dall’Iran che ai gruppi ribelli fondamentalisti sostenuti dal Qatar. Il presidente egiziano Al Sisi e il re saudita Abdullah possono contare anzitutto sugli Emirati del Golfo - Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Oman - assieme allo Yemen e, in Nord Africa, ad Algeria e Marocco. È uno schieramento di capitali accomunate dal timore dell’egemonia di un Iran nucleare sul Golfo Persico e dalla paura per sommovimenti interni guidati da gruppi come Isis, Jubat Al Nusra e le milizie jihadiste libiche. All’interno della Lega Araba sono posizioni di maggioranza, che si articolano in politiche differenti. Nei confronti dei gruppi jihadisti, come i Fratelli Musulmani, la scelta del Cairo e di Riad è la più dura repressione mentre per fronteggiare l’Iran nucleare l’unica carta a disposizione ce l’hanno i sauditi, grazie alle armi atomiche che - secondo la tv Bbc - avrebbero già «acquistato» negli arsenali pachistani.

Turchia. Dai curdi a Hamas. Il sultano Erdogan gioca su più tavoli

L’ambizione di Ankara è sfruttare la fase di decomposizione degli Stati nazionali arabi post-coloniali per creare una propria sfera di influenza in Medio Oriente. I fronti dove Recep Tayype Erdogan è più aggressivo sono quattro: in Iraq ha siglato accordi con le autorità del Kurdistan per evitare contagi irredentisti in patria e aspirare a controllare il greggio di Mosul e Kirkuk; a Gaza si è trasformato nel più determinato alleato di Hamas, fino al punto da impegnarsi a inviare unità militari per scortare navi civili nella missione di violare il blocco navale israeliano; in Siria ha impegnato militari e intelligence per sostenere il «Free Syrian Army» ingaggiando duelli aerei con i jet di Assad per sottolineare la copertura armata ai ribelli «laici» e «filo-occidentali»; nel Golfo Persico si è schierato a più riprese con Qatar e Iran, nelle dispute in atto con l’Arabia Saudita, facendo capire che l’interesse comune è ridimensionare gli sceicchi di Riad.

Israele. L’asse con Al Sisi per indebolire Teheran e jihadisti

Israele sfrutta le crisi in atto nel mondo arabo-musulmano per consolidare i rapporti con Egitto, Arabia Saudita ed Emirati del Golfo (tranne il Qatar). Ciò che guida le mosse di Gerusalemme è l’intento di indebolire i propri avversari: l’Iran e i gruppi jihadisti come i Fratelli Musulmani e Hamas. Ciò spiega perché il premier israeliano Benjamin Netanyahu si è impegnato, pubblicamente, a difendere la confinante Giordania dal rischio di infiltrazioni jihadiste così come ha creato una stretta cooperazione militare con l’Egitto di Al Sisi nel Sinai contro le cellule di Beit al Muqqadis e Hamas. In Iraq, gli alleati più fidati di Israele sono i peshmerga curdi - con cui i rapporti risalgono all’opposizione al regime di Saddam Hussein - mentre in Siria gli israeliani si battono contro gli Hezbollah e le altre milizie sciite, cercando di sostenere gruppi sunniti ostili al regime di Assad. Anche qui in sintonia con le mosse del Cairo e di Amman.

Qatar. Doha, lo sponsor delle rivolte arabe dialoga con gli Usa

L’Emirato di Doha ha edificato la propria coalizione sfruttando al meglio la Primavera Araba. Ospitare la sede della tv «Al Jazeera» gli ha consentito di sostenere informalmente i movimenti di protesta e con il passare dei mesi è divenuto palese lo schieramento a favore dei gruppi politici di matrice islamica. Tutto è iniziato in Tunisia ma è stato l’Egitto a far venire alla luce la strategia qatarina perché Doha ha sostenuto senza esitazioni Mohammed Morsi, il presidente espresso dai Fratelli Musulmani, cavalcandone la popolarità nel 2013. I Fratelli Musulmani egiziani sono legati al Qatar dagli Anni Cinquanta e l’Emirato si è trasformato rapidamente nel protettore dei vari gruppi che a loro fanno riferimento: da Hamas a Gaza al Fronte Islamico in Giordania fino ai Fratelli Musulmani siriani impegnati a combattere il regime di Bashar Assad. Il Qatar è così divenuto il punto di riferimento dei gruppi ribelli sunniti che, in più Paesi, si battono contro despoti e monarchi. È tale posizione che ha portato Doha a diventare la capitale che - assieme a Kuwait City - ospita le maggiori raccolte di fondi anche a favore dello Stato Islamico (Isis) del «Califfo Ibrahim» Abu Bakr Al Baghdadi. Al tempo stesso il Qatar vanta una politica estera di alto profilo con gli Stati Uniti - ospitando il comando delle truppe Usa in Medio Oriente - e con la Cina a cui ha iniziato questo mese a vendere gas liquido sulla base di un contratto che prevede 2 milioni di tonnellate di forniture annue. Sono tali caratteristiche ad aver spinto più volte Washington a chiedere i buoni uffici del Qatar per trattare con gruppi terroristi per liberare ostaggi, come nel caso del reporter Peter Theo Curtis detenuto in Siria o del soldato Bowe Berghdal che in Afghanistan era nelle mani dei taleban.


LIBERO
- Maurizio Stefanini: "Mutilazioni e crocifissioni. I venerdì horror dell'Isis"

Che significa avere 10 anni in una zona sotto il controllo dello Stato Islamico (Isis)? Ad esempio, poter essere arruolati per essere addestrati a fare i combattenti o anche i kamikaze. Oppure ogni venerdì, giorno di festa musulmano, dover andare obbligatoriamente ad assistere a uno spettacolo di esecuzioni pubbliche per decapitazione o colpo di arma da fuoco alla testa, amputazioni, fustigazioni, crocifissioni sulla pubblica piazza. I colpevoli? Ragazzini di 15 anni che possono venire decapitati. Uomini che vengono frustati per aver fumato, o per aver accompagnato una familiare vestita in modo «inapropriato». Donne che vengono frustate per non aver coperto il volto. E per terrorizzare la popolazione, i cadaveri restano poi esposti per diversi giorni. È il quadro raccapricciante che emerge dalle 45 pagine del rapporto che sulla Siria ha appena presentato la Commissione d'inchiesta indipendente Onu sui diritti umani: un organismo di cui fa parte anche Carla del Ponte, il magistrato svizzero ex procuratore capo del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia. Anche le forze governative hanno commesso massacri, attacchi, torture ed altre violazioni che «equivalgono a crimini contro l'umanità». «Vi sono fondati motividi credere che agenti chimici, probabilmente cloro, siano stati usati su Kaif Zeita, Al-Tamana’a e Tel Minnis in otto incidenti nel corso di un periodo di dieci giorni in aprile». «Testimoni hanno visto elicotteri governativi sganciare barili-bomba e riconosciuto un odore simile a quello del cloro per usi domestici subito dopo il loro impatto». «Le vittime hanno riportato sintomi compatibili con l’esposizione ad agenti chimici, come vomito, irritazione degli occhi e della pelle, problemi respiratori ». Ma è soprattutto l’Isis che rappresenta «un chiaro pericolo per i civili e in particolare per le minoranze sotto il suo controllo». Né le violenze si fermano. Quattro giovani sarebbero stati uccisi a sangue freddo e poi crocifissi dai jihadisti, nella provincia di Dayraz- Zor: lo ha riferito l’agenzia ufficiale siriana Sana, citando testimoni oculari secondo cui i quattro giovani sono stati uccisi e poi crocifissi nella piazza al-Baloum, all’ingresso della città di al-Mayadeen. Inoltre, a giugno i militanti dell'Isis hanno emesso un decreto con il quale hanno ordinato alle famiglie musulmane di mandare le loro donne non sposate nella regione per il Jihad al-Nikah: il «jihad sessuale», per offrire «conforto» ai combattenti. Almeno tre donne malaysiane sarebbero partite per il Medio Oriente, secondo i dati di un funzionario dell’intelligence di Kuala Lumpur. La stessa fonte avverte che anche dalle intelligence di altri Paesi arrivano notizie analoghe. In particolare, sarebbero partite per il «jihad sessuale» molte musulmane dal Regno Unito e dall'Australia. Ovviamente, la maggior parte dei volontari che stanno arrivando sono uomini che vengono a combattere. Dopo il macello di James Foley ora gli Stati Uniti sono sconvolti dalla storia di Douglas McArthur McCain: un 33enne afro-americano di San Diego, California, col nome del generale della Seconda Guerra mondiale e il cognome dell’eroe del Vietnam candidato repubblicano nel 2008, che dopo alcuni precedenti per droga e piccola criminalità si è convertito all’Islam, è andato in Siria ed è morto in combattimento domenica proprio nelle file dell’Isis. Nel frattempo, secondo il New York Times Obama starebbe per autorizzare raid aerei e lanci di generi di prima necessità intorno alla città di Amerli, nel nord dell' Iraq, dove vive una numerosa minoranza turcomanna sotto assedio da due mesi. Ma in Siria la strategia è ancora quella di rafforzare l'opposizione anti-Assad moderata.

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