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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
21.08.2014 ' Estirpare l'Isis': la svolta di Obama. I finanziamenti del Qatar al gruppo terroristico.
Cronache e analisi di Fiamma Nirenstein, Maurizio Molinari, Domenico Quirico

Testata:Il Giornale - La Stampa
Autore: Fiamma Nirentsein - Maurizio Molinari - Domenico Quirico
Titolo: «Obama duro con i jihadisti: 'Siete un cancro da estirpare' -L'islamismo da esportazione del Qatar. Per il Califfo un tesoro da due miliardi -»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 21/08/2014, a pag. 2, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Obama duro con i jihadisti: 'Siete un cancro da estirpare' ", dalla STAMPA a pagg. 1-4, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " L'islamismo da esportazione del Qatar. Per il Califfo un tesoro da due miliardi", e a pagg 1-5, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo "Tutti impegnati a inseguire Bin Laden e intanto nasceva la jihad bolscevica "

Dall'articolo di Molinari segnaliamo in particolare le considerazioni sul Qatar e sul suo sostegno ai jihadisti di Zvi Mazel, ex Ambasciatore d'Israele al Cairo, editorialista del Jerusalem Post e collaboratore di Informazione Corretta.

Di seguito, gli articoli:



    Il ricatto dell'Isis all'America


La risposta di Barack Obama

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Obama duro con i jihadisti: 'Siete un cancro da estirpare' "

              
Fiamma Nirenstein    



Il giornalista americano Steven Joel Sotloff potrebbe essere, e speriamo davvero che qualche miracolo lo soccorra, il prossimo in fila per soddisfare la sete di sangue dell'Isis. Il boia islamista dall'accento britannico dice alla telecamera mentre lo tiene per il collo: «La vita di questo cittadino americano, Obama, dipende dalle tue prossime decisioni», e ha appena decapitato un altro giornalista americano, James Foley. Il video che mostra tutto senza pietà, è costruito nello stile dei terroristi, appunto, per terrorizzarci fino alla più profonda fibra del nostro essere. Il terrorista con forte accento inglese spiega che lo scopo è quello necessario e legale di fondare uno stato islamico, il califfato, proprio come lo fece Maometto alla metà del settimo secolo. Gli americani, spiega il boia, disturbano questa santa passeggiata di sangue, e il maggiore responsabile dei loro fastidi sulla via del califfato universale è, nelle affermazioni del boia, Obama. La ragione evidente è il suo sostegno al governo iracheno e ai curdi, con i suoi circa 90 bombardamenti dall'8 di agosto, l'intervento dall'aria a Irbil, il salvataggio degli Yazidi. Quindi Foley deve morire in nome di tutti gli americani, i soliti maledetti imperialisti di sempre nonostante Obama abbia investito nel suo ruolo di colomba per quanto ha potuto. E Sotloff, i cui genitori hanno chiesto a Obama di fare il possibile per salvare loro figlio, sarà il prossimo se Obama non si tira indietro. Ma Obama ha chiarito ieri che indietro non si tirerà. In una breve ma dura dichiarazione dal suo amato buen retiro di Martha's Vineyard ha detto chiaro e tondo che Isis è «un cancro che vuole un genocidio, e che deve essere estirpato con uno sforzo comune internazionale». Per lo Stato islamico di al-Baghdadi, ha scandito il presidente degli Stati Uniti, «non c'è posto nel ventunesimo secolo, faremo giustizia come sempre quando vengono attaccati degli americani ovunque nel mondo». Nessuna comprensione di stampo religioso può essere accampata per questi fanatici, ha detto Obama, precisando che «nessuna religione insegna alle persone a massacrare innocenti, nessun dio sosterrebbe quello che hanno fatto ieri e quello che fanno ogni giorno». E già il Pentagono «starebbe studiando» - secondo fonti dell'Amministrazione di Washington - l'invio di altri 300 militari in Iraq. Non soltanto Obama ha reagito al linguaggio sanguinolento che Isis usa proprio per parlare a noi. La Francia e la Germania hanno espresso il loro orrore, il presidente Hollande chiede una conferenza internazionale per decidere come fermare l'Isis. David Cameron, dato che il governo inglese è particolarmente coinvolto a causa dell'accento inglese del boia, è tornato apposta dalle vacanze: i servizi di sicurezza americani e inglesi lavorano insieme per identificarlo. Foley appare nel video come pietrificato, il suo bel volto è terreo, fisso, ripete deglutendo varie volte frasi probabilmente obbligate dai suoi carnefici, e dice le parole che da decenni ormai ci vengono insufflate da un'ideologia colpevolista che mette l'Occidente sul banco degli imputati anche quando è del tutto evidente la brutalità, la crudeltà, l'incapacità dei suoi nemici. Foley sembra costretto a dire «mi rivolgo ai miei amici, alla mia famiglia, ai miei cari, a insorgere contro i miei veri assassini, il governo americano, perchè quello che mi accadrà è solo conseguenza della sua complicità e criminalità» e chiede ai genitori di «non accettare nessuna magra ricompensa per la mia morte da quella stessa gente che ha piantato l'ultimo chiodo nella mia cassa con la recente campagna in Iraq». La mamma di Foley, Diana, è stata valorosa, nel suo immenso dolore, da non accettare provocazioni, e ha detto di essere orgogliosa del suo «figlio meraviglioso» che è morto «cercando di mostrare al mondo le sofferenze del popolo siriano» e ha chiesto ai terroristi di risparmiare gli altri ostaggi innocenti. «Ha mostrato coraggio e accettazione fino all'ultimo - ha anche detto la madre di Foley - ed è morto portando testimonianza. Mi ha ricordato Gesù».

LA STAMPA - Maurizio Molinari:  "  L'islamismo da esportazione del Qatar. Per il Califfo un tesoro da due miliardi


Maurizio Molinari              Zvi Mazel



L'emiro del Qatar, Hamad bin Khalifa al Thani

 Con un tesoro di oltre 2 miliardi di dollari lo Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi è il gruppo terrorista più ricco del Pianeta e la pista dei soldi porta allo Stato sospettato di esserne il maggiore finanziatore: il Qatar.
Il ministro dello Sviluppo tedesco Gerd Mueller punta l’indice sull’Emirato di Doha in un’intervista alla tv Zdf, spiegando che «i soldati del Califfo terrorista vengono pagati dal Qatar». È un passo che segue quello del vicecancelliere Sigmar Gabriel, ministro dell’Economia, che pochi giorni fa aveva suggerito ai colleghi dell’Ue di «iniziare a discutere chi finanzia Isis». Se la valutazione di 2 miliardi di dollari delle finanze del Califfo jihadista viene dal governo di Baghdad, la pista qatarina è stata descritta da David Cohen, vice-segretario Usa al Tesoro con la responsabilità dell’Intelligence e la lotta al terrorismo, che da Washington ha spiegato, già in marzo, come «donatori del Qatar raccolgono fondi per gruppi estremisti in Siria, a cominciare da Isis e al-Nusra» con il risultato di «aggravare la situazione esistente». Un successivo studio del «Washington Institute per il Vicino Oriente» ha calcolato in «centinaia di milioni di dollari i versamenti compiuti da facoltosi uomini d’affari in Qatar e Kuwait a favore di al-Nusra e Isis», che in precedenza era nota come «Al Qaeda in Iraq». Ciò che accomuna questi «donatori» è la volontà di finanziare gruppi fondamentalisti sunniti impegnati a combattere con ogni mezzo il nemico sciita ovvero qualsiasi alleato, reale o potenziale, di Teheran in Medio Oriente: dal regime di Bashar Assad in Siria agli Hezbollah in Libano fino agli sciiti in Iraq. Citando analisi americane, David Cohen ha aggiunto che «il Kuwait è l’epicentro del finanziamento dei gruppi terroristi in Siria» mentre il Qatar ne costituisce il retroterra grazie ad «un habitat permissivo che consente ai terroristi di alimentarsi». Sono tali elementi che hanno portato l’ultimo «Country Reports on Terrorism» del Dipartimento di Stato - relativo al 2013 - a definire il Qatar «ad alto rischio di terrorismo finanziario» ed il Kuwait teatro di «finanziamenti a gruppi estremisti in Siria». Colpisce il fatto che entrambi i Paesi sono stretti alleati degli Stati Uniti ed in particolare il Qatar, che nella base di Al Udeid ospita l’avveniristico comando delle truppe Usa in Medio Oriente, ha ricevuto a metà luglio una commessa militare Usa da 11 miliardi di dollari che include elicotteri Apache, batterie di Patriot e sistemi di difesa Javelin. Proprio in occasione di questo accordo, il Qatar si impegnò con Washington ad accogliere cinque leader taleban scarcerati da Guantanamo per ottenere la liberazione del soldato Bowe Bergdahl prigioniero in Afghanistan. «Il Qatar ha una doppia identità - spiega Ehud Yaari, il più apprezzato arabista d’Israele - da un lato ospita soldati Usa e accoglie uomini d’affari israeliani ma dall’altra finanzia i più feroci gruppi terroristi sunniti». In effetti l’Emirato guidato da Tamim bin Hamad Al Thani è stato messo all’indice da Arabia Saudita ed Egitto per il sostegno che diede ai Fratelli Musulmani di Mohammad Morsi e l’isolamento nella Lega Araba è cresciuto a seguito della scelta di Doha di schierarsi - unico Paese arabo - a favore di Hamas nel conflitto di Gaza con Israele. Fino al punto che fonti di Al Fatah hanno rivelato al giornale arabo Al-Hayat che «il Qatar sta sabotando il negoziato egiziano per una tregua permanente nella Striscia» e in particolare avrebbe «minacciato di espulsione il leader di Hamas Khaled Mashaal per impedirgli di accettare le più recenti proposte formulate dal Cairo».
A spiegare cosa c’è all’origine delle politiche del Qatar è Zvi Mazel, ex ambasciatore israeliano al Cairo, ricordando come «quando il presidente Gamal Abdel Nasser alla metà degli Anni Cinquanta espulse i leader dei Fratelli Musulmani questi si rifugiarono in Qatar» allora colonia britannica, forgiando un’intesa «con le tribù locali che ne ha fatto le interpreti di un fondamentalismo ostile a quello dell’Arabia Saudita». Se infatti la tribù saudita degli Ibn Saud «predica il fondamentalismo sunnita in un unico Paese, ovvero l’Arabia - spiega Mazel - la tribù Al Thani del Qatar predica il fondamentalismo d’esportazione, quello dei Fratelli Musulmani che distingueva anche Osama bin Laden, e punta a rovesciare i regimi arabi esistenti». Il contrasto fra Qatar e Arabia Saudita nasce dunque dall’interpretazione del Corano e si sviluppa in una rivalità per la leadership del mondo sunnita che si rispecchia in quanto sta avvenendo in Siria dove, secondo fonti d’intelligence europee, Doha e Riad «finanziano gruppi islamici rivali dentro l’opposizione ad Assad». L’ex premier iracheno Nuri al-Maliki negli ultimi due mesi ha più volte accusato «Qatar e sauditi» di sostenere Isis, lasciando intendere che ognuno ha i propri interlocutori, e che Riad agirebbe assieme a Emirati Arabi e Bahrein, accomunati proprio dall’ostilità al Qatar. Al-Baghdadi dunque si gioverebbe di più fonti di finanziamento con il filone-Qatar tuttavia più corposo anche per la convergenza di interessi con la Turchia di Recep Tayyep Erdogan. A metà mese l’agenzia russa Ria-Novosti ha rivelato che i fondi raccolti in Qatar avrebbero consentito a Isis di acquistare armamenti dell’ex Europa dell’Est grazie ad un network basato in Turchia. In particolare Isis avrebbe comprato blindati per trasporto truppe in Croazia, carri armati in Romania, mezzi per la fanteria in Ucraina e munizioni in Bulgaria riuscendo a sfruttare tali traffici anche per reclutare volontari in Kosovo e Bosnia.

LA STAMPA - Domenico Quirico: " Tutti impegnati a inseguire Bin Laden e intanto nasceva la jihad bolscevica "


Domenico Quirico

Uccidere è una cosa tanto facile. Penso al boia in barracano nero, incappucciato, che ha sgozzato James Foley; e a quello che, dodici anni fa, decapitò un altro giornalista americano, Daniel Pearl, a Karachi.
Il delitto, l’atto mostruoso di uccidere un essere umano, non è venuto a dividere drasticamente le loro vite in due parti, al di là di quel sangue versato non ricordano le proprie idee, le proprie sensazioni, il proprio individuo come se si fosse trattato di cose non vissute ma udite raccontare, molti molti anni prima. Tutto è normale, continuo. Con la loro religione guasta, mal conservata nell’aceto, trasformata in famelica patologia, possono permettersi di non camminare, come la moglie di Lot, con lo sguardo all’indietro, per vedere più a lungo le cose commesse.
Entrambi gli assassini si considerano, e sono, buoni musulmani: hanno recitato le loro preghiere con fervore e secondo i tempi e la regola, combattono la guerra santa, non fumano, non bevono, portano i capelli la barba e le vesti come il profeta, non toccano cose impure, fanno l’elemosina ai poveri, si ripromettono, quando il jihad sarà finito, di compiere il pellegrinaggio. Tagliar le gole degli occidentali è un lavoro ben fatto, una prova di devozione, e ora sono un palmo più vicini al paradiso e alle sue delizie. Se moriranno sono certi che milioni di persone nel loro mondo li ripagheranno considerandoli martiri. Il loro dio non li bracca con la colpa, i conti con Lui sono in pari.
È questa assenza di rimorso e di dubbio, la certezza che tutto è loro permesso, non perché dio non esiste ma proprio perché esiste, che ha creato questo terribile nemico, sant’uomini che sono contemporaneamente assassini seriali, puri che agiscono da bruti. È questo che l’occidente non ha capito. Eppure abbiamo combattuto guerre, arruolato alleati, scritto articoli e libri, versato molto denaro. Credevamo, a un certo punto, che il Nemico fosse ormai isolato, rintanato su montagne e disperso in deserti, scavalcato da Primavere piene di promesse democratiche. Non avevamo tagliato la testa del Serpente? Invece…
Dodici anni fa l’integralismo, il terrorismo dei kamikaze globalizzato da Al Qaeda, ci sembrò esasperazione di pochi fanatici, in un immobile medioevo di moschea, per cui l’abiezione era diventata scelta e destino. Invece era un progetto politico che si adattava a luoghi e a mezzi diversi, si rinnovava e si rafforzava come un bacillo: i bolscevichi salafiti riuniti, stretti tra di loro come tutti avessero nel cuore la stessa crosta, un odio verso di noi e verso gli apostati che ottenebra e fa agire. Prima hanno tentato di prendere il potere con le elezioni, legalmente (ricordate l’Algeria, dove tutto è iniziato?); poi il terrorismo, inchiodare alla paura, mettere impicci infiniti nei meccanismi della nostra vita quotidiana e delle nostre economie così empiamente ricche. Infine la guerra aperta, frontale, disintegrare le frontiere dei vecchi, illegittimi Stati creati dall’occidente, innalzare lo Stato puro, islamico con la sua economia la sua armata la sua amministrazione i suoi sudditi: il califfato. E ancora oggi l’occidente del non intervento, della pietrificazione del senso morale lo minimizza come utopia stramba. Cerca di decifrare le biografie, Bin Laden, Al Baghdadi, spia le loro differenze. Ma i capi non sono nulla, si sostituiscono in un’ora. E il califfato è già in piedi, combatte annette manipola uccide.
Il jihad salafita è una guerra rivoluzionaria contro poteri dichiarati empi e rinnegati, che arruola i combattenti tra i senzatutto di regimi corrotti e incapaci, trasforma guerre locali e tribali (tuareg, neri del nord Nigeria, sunniti iracheni, clan libici) in insurrezione globale. I suoi nemici non hanno scampo perché la loro è una colpa senza crimine, essenziale, metafisica. Come i kulaki, gli ebrei, i tutsi non possono convertirsi, pagano per quello che sono, non per quello che hanno fatto: ovvero hanno attraversato il confine mortale dell’odio totalitario. Il califfato, la rivolta planetaria islamica, dalle Filippine alla Nigeria dalla Somalia all’Iraq che ormai non arruola più terroristi ma soldati, è l’ennesima incarnazione del pensiero totalitario.
Abbiamo semplicemente dimenticato che gli uomini del jihad, da anni, hanno visto uccidere uomini, hanno ammazzato uomini. Li hanno visti rotolare a terra. Portano dentro di loro la morte degli altri. È questo che li separa, obbligatoriamente, da noi. Sono pieni di morte fino agli occhi. Tra loro non ne parlano mai, ma lo sanno, è un segreto comune tra loro. Essere mortali, palpare il collo e la nuca della vittima espiatoria, vedere il sangue sgorgare.
Fino a poco fa lo sguardo di questi fanatici spogliava distrattamente le ragazze che passavano, oggi ammazza gli uomini. Uccidere: una raffica di mitra, un anonimo colpo di mortaio, il proiettile infilato ritmicamente nel cannone, un coltello che entra nella carne dell’altro. È stato necessario uccidere dei soldati, o degli ostaggi, o dei musulmani tiepidi o senza partito, innocenti, per far sapere fino a che punto gli uomini sono nudi. La loro mortalità è la loro nuova intimità.
Per capire forse bisogna unirsi a loro anche in questo; niente più dignità umana, guardare tutto, il campo, la città, il deserto con gli occhi di assassino. Immaginate uomini costretti dalla Storia che cercano con lo sguardo il posto in cui infilare la lama, piazzare il proiettile mortale, far esplodere la rosa sanguinaria di schegge. Sì, far saltare le loro teste fino a quando un proiettile non ha spaccato la sua, confondendoli in una orribile fraternità.
Non è sadismo, purtroppo: è il Male totalitario, ovvero una orribile fraternità. Uccidere in Iraq (e in Siria e in Mali, questi lidi appestati…) è diventata una orribile conoscenza dell’uomo e un nuovo amore. Ognuno dei jihadisti è diventato un assassino per sempre. Per quanti bambini siriani o iracheni o libici la vita sarà un unico ricordo: un uomo steso su un marciapiede o sgozzato davanti a una videocamera?

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