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La Repubblica - Il Manifesto Rassegna Stampa
12.08.2014 Rassegna della propaganda di Hamas
negli articoli di Bernardo Valli e Alain Gresh

Testata:La Repubblica - Il Manifesto
Autore: Bernardo Valli - Alain Gresh
Titolo: «A Gaza rasa al suolo dalle bombe Orgoglio e rancore nel regno di Hamas -Gaza l'indomita, culla del nazionalismo»
Riprendiamo, da REPUBBLICA di oggi, 12/08/2014, a pag. 1-16-17, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo " A Gaza rasa al suolo dalle bombe Orgoglio e rancore nel regno di Hamas"
Valli riporta acriticamente una versione riveduta e corretta della propaganda di Hamas. Che non nega più l'evidenza, ovvero i lanci da aree civili, ma la giustifica con la densità di popolazione di Gaza.
E' semplicemente falso, però, che la Striscia di Gaza sia tutta densamente popolata. Vi è un alta concentrazione di popolazione in alcune zone urbane, ma esistono aree non urbanizzate a bassa densità di popolazione.

Segaliamo anche, sul MANIFESTO a  pagg. 8-9, ripreso da " Le Monde Diplomatique", un articolo di Alain Gresh dal titolo "Gaza l'indomita, culla del nazionalismo " che, sotto forma di parzialissima ricostruzione storica, rappresenta una lunga giustificazione se non addirittura esaltazione del terrorismo e della guerra per la distruzione di Israele, chiamate "resistenza".
Gresh ricicla accuse  a Israele prodotte dalla macchina propagandistica palestinese come quella del "massacro" di Khan Younis del 1956 ( Per un'analisi di queste accuse si veda: http://www.camera.org/index.asp?x_context=2&x_outlet=35&x_article=1777 )
e sostiene una tesi che il suo stesso articolo si incarica di smentire: sarebbe l' "occupazione" a indurre i palestinesi alla "resistenza", cioé al terrorismo.
Dalla stessa ricostruzione di Gresh, tuttavia, emerge il fatto che il terrorismo operava da Gaza da ben prima della guerra del 1967, nella quale Israele, difendendosi dall'esercito egiziano, prese il controllo della Striscia e del Sinai (poi resitituito al Cairo in seguito agli accordi di Camp David del 1979).
Dal 2005, inoltre, nessun israeliano, né militare né civile è presente a Gaza e soltanto nel 2007, dopo la presa del potere da parte di Hamas, è stato imposto un blocco che ha lo scopo di limitare la capacità del gruppo di armarsi.
Il terrorismo è dunque la variabile indipendente del conflitto: è il terrorismo che obbliga Israele a difendersi, non l'autodifesa israeliana a produrre il terrorismo.

Di seguito, l'articolo di Bernardo Valli:

  
Bernardo Valli             Le zone densamente popolate di Gaza in azzurro

Pensavo  che la domanda fosse imbarazzante, e inveceil garbato ideologo del movimento terrorista risponde con candore. Chiedo a Mustafa Sawaf se trova giusto che Hamas collochi i lanciarazzi trai civili, facendone obiettivi inevitabili, o che scavi dei tunnel diretti in Israele sotto le case di gente ignara di quel che l'aspetta. Le immagini di Beit Hanoun e di Khuza'a sono ben stampate nella mia memoria. Nelle due cittadine  l'esercito israeliano non ha distrutto strade, moschee, negozi, scuole. Ha arato l'abitato. L'ha spianato. Ha scavato con l'artiglieria, con l'aviazione, con i bulldozer l'intera superficie, alla ricerca evidente dei maledetti tunnel, alcuni dei quali erano spuntati in vicinanza dei kibbuz, delle fattorie, dei villaggi nelle province meridionali dello Stato ebraico. Tra le zolle gigantesche di terra e cemento si intravede la saracinesca di un negozio, il minareto di una moschea, una cattedra, dei banchi forse di una scuola. Ricordo con precisione le parola di Ahmad Najjar, 41 anni, che si è scavato una grotta tra le rovine della sua casa. È rimasto nella Beit Hanoun distrutta, rasa al suolo, con i quattro figli, uno appena nato, sotto i bombardamenti, ma senza più il cavallo sventrato da una scheggia che l'aiutava a c ampare. Ahmad non abbandona le sue rovine e si chiede se gli israeliani abbiano demolito la sua casa pensando che sotto ci fosse un tunnel con i combattenti di Hamas, le famose brigate Ezzedine el Qassam. «Io non lo sapevo che scavavano sotto i miei piedi». Chiedo allora a Mustafa Sawaf, per niente stupito della mia domanda, se siano giustificate le accuse rivolte ad Hamas di servirsi della popolazione come scudo umano. E non solo, ma di usare poi il numero delle vittime civili come un elemento essenziale per dimostrare quanto sia ignobile l'avversario. Mi fa subito notare con calma, senza alzare la voce, la densità della popolazione sulla Striscia di Gaza: una lingua di terra abitata da un milione e ottocentomila persone, tenute in gabbia da Israele, che chiude tutti gli sbocchi in mare, in cielo, in terra. Dove mettere le installazioni militari se non tra la gente? E come non tentare la via sotterranea dei tunnel? A Khuza'a, dove ha perduto trenta parenti, Suhair al Najar, 32 anni, dice che Hamas è «una scarpa». Gli dedica uno degli insulti più pesanti per un arabo. Non sono in pochi a pensarla così. Alla manifestazione di giovedi scorso indetta per onorare i combattenti, c'erano poche migliaia persone. E non sono stati tanti quelli che hanno esposto la bandiera verde islamica durante il conflitto. Hamas non è sempre popolare. I sentimenti che ispira sono contraddittori, cambiano secondo le situazioni. Piovono le critiche: «Politicamente non vale niente». E i rimproveri per lo spregiudicato uso della gente inerme nei conflitti si moltiplicano. Chi ha permesso di lanciare missili nascondendosi dietro le nostre case? Ma emerge al tempo stesso la fierezza nell'elencarei colpi inferti dalla stessa Hamas all'avversario. Questa volta non sono morti soltanto dei palestinesi. E i razzi provenienti da Gaza hanno paralizzato per qualche ora l'aeroporto di Tel Aviv. Orgoglio e rancore si alternano. Prima di luglio, stando ad alcuni sondaggi ( che Hamas nega siano mai stati fatti ) soltanto il dieci per cento della popolazione approvava il governo. Adesso sarebbe almeno il quaranta per cento. Nonostante il sacrificio dei civili, prevale appunto l'orgoglio nazionale. A Khuza'a e a Beit Hanoun non è impossibile ricostruire tra le macerie come si sono svolti i combattimenti. L'azione dell'aviazione e dell'artiglieria sono evidenti. Come è evidente che i carri armati sono serviti da bulldozer. 0 che dei veri scavatori sono intervenuti. Ma sui pochi muri rimasti in piedi sono rarissimi i segni dei proiettili. Quasi non ce ne sono. Questo significa che non ci sono stati seri combattimenti tra truppe di terra. Né si vede come gli uomini di Hamas potessero affrontare con le loro armi individuali gli israeliani appoggiati da carri armati e da aviazione. E' dunque interrati nei tunnel, o confusi tra la popolazione che hanno atteso e subito il nemico. Appena cominciate le ostilità di solito, secondo varie testimonianze, indossano abiti civili senza abbandonare le armi. Per le sue azioni violente, in particolare attentati suicidi tra il '94 e il '96, e per la sua strategia con grande spargimento di sangue a partire dal 2001 durante la seconda Intifada, Hamas figura tra i movimenti terroristi. La giustificazione del garbato Mustafa Sawaf («durante l'occupazione tedesca le resistenze europee non si comportavano forse allo stesso modo?» ) è quella che ho ascoltato più volte anni fa dal mistico cheik Ahmed Yassin, il primo capo di Hamas, e dal dottor Abdelaziz Rantissi, il pediatra che gli è succeduto per breve tempo, poiché ucciso nella stessa primavera del 2004. Le tattiche sono mutate coi tempi, ma i toni sono gli stessi. Nel caso di Hamas si verifica un fenomeno sconcertante: il movimento comunque minoritario usa la popolazione con il massimo cinismo, ma il suo prestigio in netto calo cresce con il numero delle vittime civili, che danno ad alcuni un senso di partecipazione popolare. Sia pure imposta, strappata, involontaria. I responsabili di Hamas, come i parenti egiziani, i Fratelli musulmani, si sono rivelati incapaci di governare. In una Gaza paralizzata non era un'impresa facile. L'avvento al potere del maresciallo Sisi al Cairo, nemico giurato di Hamas, ha appesantito l'isolamento. L'aggravarsi delle difficoltà ha probabilmente affrettato il terzo scontro militare con Israele in cinque anni. Era un modo per attirare l'attenzione del mondo e sollecitare gli aiuti economici. E al tempo stesso il nuovo conflitto rilanciava soprattutto lo stagnante dramma israelo- palestinese. Hamas ha tentato di assumere la leadership della protesta. Ma se i quasi duemila morti del mese di luglio non contribuiranno a migliorare la drammatica vita degli abitanti di Gaza, perderà l'effimera gloria che ha fatto dimenticare il marchio di movimento terrorista e islamista. La popolazione, in preda a comprensibili e contraddittori sentimenti, imprigionata tra l'avversione per Israele e quella per Hamas, potrebbe chiedere giustizia per i suoi morti.

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