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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Repubblica - Libero Rassegna Stampa
12.08.2014 Così gli errori di Obama hanno rafforzato i jihadisti
interviste a Hillary Clinton e Eliot Abrams

Testata:La Repubblica - Libero
Autore: Jeffrey Goldberg - Francesco Carella
Titolo: «Ecco gli errori dell'America ora la Jihad è come l'Urss - Obama dorme, l'Isis prenderà pure la Giordania»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 12/08/2014, a pag. 15, ripresa da 'The Atlantic',  l'intervista di Jeffrey Goldberg a Hillary Clinton dal titolo " Ecco gli errori dell'America ora la Jihad è come l'Urss " e da LIBERO, a pag. 8, l'intervista a Francesco Carella a Eliot Abrams dal titolo " Obama dorme, l'Isis prenderà pure la Giordania".

Di seguito, gli articoli:


Il discorso di Barack obama al Cairo


Abu Bakr al Baghdadi, capo dell' Isis

LA REPUBBLICA - Jeffrey Goldberg:  "Ecco gli errori dell'America ora la Jihad è come l'Urss "

 
Jeffrey Goldberg                     Hillary Clinton



IL PRESIDENTE Obama respinge l'idea che gli Usa avrebbero potuto influire sui ribelli in Siria, impedendo che gruppi ispirati ad Al Qaeda, che oggi imperversano in Siria e Iraq, assumessero il controllo della rivolta in Siria. Ma Hillary Clinton, l'ex segretario di Stato e probabile candidata alla presidenza degli Stati Uniti, non è d'accordo. «Non aver sostenuto una forza combattente credibile, formata dalla popolazione che diede avvio alla protesta contro  Assad, ossia islamisti, laici e le posizioni nascente del Libero esercito siriano intermedie, ha lasciato un grande vuoto in cui ora si sono inseriti i jihadisti». Nel suo libro Hard Choices, lei elogia Robert Ford, dimessosi dall'incarico di ambasciatore in Siria per protesta contro la politica dell'amministrazione Obama È d'accordo con lui?
«Ho intitolato il capitolo sulla Siria "Un problema spinoso" proprio per questo. Non so dire se la situazione sarebbe diversa se si fosse fatto come consigliavamo Ford ed io. Se però avessimo scelto addestrato e equipaggiato il nucleo nascente del Libero Esercito Siriano,  avremmo innanzitutto capito meglio la realtà sul territorio. E poi saremmo stati agevolati nel mettere in piedi una credibile opposizione politica. Ma capisco le cautele dell'amministrazione. Inoltre gli jihadisti sono stati spesso armati in maniera indiscriminata da altre forze e noi non siamo stati in grado di impedirlo».
L'amministrazione Bush si è distinta per un eccessivo interventismo. Obama pecca del contrario?
«Il problema è trovare la giusta misura. Abbiamo imparato molto in questo periodo. Comunque abbiamo contribuito a rovesciare Gheddafi».
Ma non siamo rimasti nella fase successiva.
«Siamo rimasti, con offerte di denaro e assistenza tecnica, dalla sicurezza dei confini all'addestramento. Come gli europei del resto. Alcuni paesi del Golfo hanno sostenuto le loro milizie preferite. Ci sono state due elezioni regolari in Libia, quindi si parla di democrazia in atto, ma i libici non riescono a controllare il territorio. Come si può fornire sostegno in presenza di una tale quantità di forze che hanno saccheggiato i depositi di Gheddafi colmi di ogni genere di armi usate in Libia e distribuite in tutta la regione? Quindi sì, in questo caso abbiamo prestato aiuto, ma per la Siria abbiamo pensato: "la situazione è caotica, complicata, di esito incerto"».
Parliamo di Gaza. Fu lei a negoziare l'ultima tregua alungo terminenel 2012. La sorprende che non abbia retto?
«Mi sorprende che abbia retto tanto a lungo. Ma visti i cambiamenti nella regione, la caduta di Morsi in Egitto, la sua sosti-tuzioneconal-Sisi, non mi sorprendeche Hamas abbia provocato un nuovo attacco».
La reazione di Israele è stata sproporzionata?
«Israele è stato attaccato con razzi da Gaza . Ha il diritto di difendersi. Hamas colloca razzi e accessi ai tunnel in zone abitate dai civili. Ovviamente Israele, come ogni Paese democratico, dovrebbe fare il possibile per limitare le vittime civili».
Israele ha fatto abbastanza per limitarle?
«Non è chiaro. Credo che Israele abbia fatto ciò che doveva rispondendo agli attacchi. Hamas non ha fatto altrettanto nel proteggere i civili palestinesi».
Il suo successore ha impegnato molto, forse troppo tempo, nel conflitto israelo-palestinese mentre un'organizzazione ispirata ad Al Qaeda conquistava più di metà della Siria e dell'Iraq?
«Ho riflettuto spesso su questo. L'America deve prestare attenzione a ogni minaccia diretta nei confronti di Israele o a qualunque realtà nel Medio Oriente che derivi dalla situazione israelo-paestinese. È un dato di fatto. Però intanto in Siria si contano più di 170.000 morti, l'Isis sta letteralmente espandendo il suo territorio all'interno della Siria e dell'Iraq, la Russia ammassa soldati nella crisi ucraina, eppure c'è una spropositata reazione internazionale contro Israele. Non si può mai ignorare l'antisemitismo. La battaglia delle pubbliche relazioni storicamente è orientata contro Israele».
Restano le centinaia di bambini. Chi è responsabile di quelle morti?
«Non sono certa che si possa distribuire la colpa perché è impossibile sapere cosa accade nella nebbia della guerra. Spesso il dolore di cui si viene a conoscenza dalle cronache, le donne, i bambini e il resto, rende difficile distinguere la verità. Ma non ho dubbi che sia stato Hamas ad avviare il conflitto, quindi la responsabilità ultima è la sua».
La sua posizione riguardo alle ambizioni nucleari dell'Iran è cambiata? Lei ora sembra più massimalista. «Sono sempre stata convinta che l'Iran non abbia diritto ad arricchire l'uranio. Qualcuno è a favore di un arricchimento limitato, da cui l'Iran non possa raggiungere una capacità nucleare. Ma per me, zero arricchimento farebbe sentire tutti meglio».
Come segretario di Stato, lei che lezioni ha imparato riguardo alle possibilità oppure ai limiti del potere americano?
«Ho imparato che esistono entrambi. Ma non si tratta solo di potere. I valori americani sono valori universali. Abbiamo imparato i limiti del nostro potere nel diffondere libertà e democrazia: è la grande lezione dell'Iraq. Ma abbiano anche imparato molto riguardo l'importanza della nostra influenza e i nostri valori se spiegati e applicati nel modo opportuno. Io dico: riesaminiamo le nostre azioni, impariamo le lezioni, vediamo come fare diversamente nel futuro. Una delle mie preoccupazioni riguardo il MedioOriente è l'espansione dei gruppi jihadisti e il loro impatto su Europa e Stati Uniti. Gli jihadisti ora governano interi territori. Però, non si fermeranno lì. Il loro impulso è l'espansione. La loro ragione d'essere è di scontrarsi con l'Occidente, con i Crociati. Come cerchiamo di contenerli? Io penso al contenimento, al deterrente e alla sconfitta. Abbiamo fatto un buon lavoro nel contenere l'Unione Sovietica, ma anche molti errori: abbiamo sostenuto gente davvero deprecabile, fatto cose di cui non siamo orgogliosi, dall'America Latina al Sud Est asiatico, però avevamo un obiettivo: la sconfitta dell'Urss e il crollo del comunismo. E l'abbiamo raggiunto. Il grande errore è stato di pensare che la storia fosse finita, dopo il crollo dell'Urss. La storia non si ferma mai. L'Islam jihadista è il primo esempio, ma il desiderio di Putin di ridar vita alla suavisionedel potere russo è unaltro. Nel mondo in cui viviamo oggi, i vuoti vengono riempiti da personaggi piuttostosgradevoli». ( The Atlantic 2014 Traduzione Emilia Benghi)

LIBERO - Francesco Carella:  " Obama dorme, l'Isis prenderà pure la Giordania"


Eliot Abrams

«L'inferno iracheno? Tutta colpa di Barack Obama». Elliot Abrams non usa mezzi termini ed è pronto a rincarare subito la dose: «Solo con le parole, sul piano internazionale, si possono fare danni incalcolabili e il numero uno della Casa Bianca in questi anni ne ha fatti davvero tanti». Abrams conosce a menadito i dossier mediorientali fin dai tempi della presidenza di Ronald Reagan, di cui è stato consigliere per otto anni. Assistente speciale di George W. Bush, ha svolto un ruolo di primo piano nell'Amministrazione americana subito dopo l'attacco alle Twin Towers. Ora è membro del Council on Foreign Relations, uno dei più influenti think tank americani, e insegna alla Georgetown University. Il professore legge le notizie, sempre più inquietanti, che giungono dall'Iraq e riprende a parlare: «La follia dei militanti dell'Isis (lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, ndr) va fermata ad ogni costo. Gli Usa non possono più giocare al disimpegno. Il Medio Oriente brucia e i contraccolpi non tarderanno a farsi sentire in tutto l'Occidente».
Intanto, il presidente americano esclude che possa esserci un altro intervento militare in Iraq. Gli Usa si limiteranno ai raid aerei.
«Fin dal suo insediamento alla Casa Bianca, Obama ha impostato una strategia del disimpegno dal Medio Oriente. Dall'Iraq ha ritirato tutte le truppe con una fretta e una velocità da irresponsabile. Occorreva più tempo per stabilizzare il Paese, per addestrare le forze armate, per creare le condizioni istituzionali e politiche necessarie alla convivenza fra le diverse etnie. I processi di costruzione della democrazia richiedono tempo e impegno, non fughe precipitose. In tal modo, non si fa altro che dare ossigeno agli estremisti».
A tal proposito, su "Foreign Affairs", un analista molto ascoltato a Washington, David Rothkopf, ha scritto che «l'Occidente sta perdendo la guerra contro il terrorismo». Siamo davvero a questo punto?
«Altroché. Dopo che gli islamisti dell'Isis hanno proclamato la nascita del Califfato, parecchie migliaia di jihadisti, pronti a tutto, si sono trasferiti dalla Siria all'Iraq. Fra questi vi sono molti giovani occidentali convertitisi al Jihad, perché attratti dal leader dell'Isis, Abu Bakr Al Baghdadi. Sono militanti che si spostano in funzione delle necessità del momento. Ora lo scopo è quello di completare l'occupazione irachena, ma la Giordania potrebbe essere il loro prossimo obiettivo. Ad azioni concluse, una parte di questi terroristi tornerà a casa, chi negli Stati Uniti e chi in altri Paesi, compresa l'Italia. Pronti, appena sarà possibile, a colpire ancora. Si tratta di una bomba ad orologeria piazzata nel cuore dell'Occidente».
A questo punto che cosa può accadere?
«Se il governo di Al Maliki non riuscirà a riprendere il controllo del Paese ci troveremo, fra non molto, con uno Stato estremista sunnita a Nord-Ovest(il Califfato), "ripulito" dalla presenza cristiana e yazida, con un'entità sciita a Est destinata a svolgere il ruolo di stato fantoccio dell'Iran e con una situazione dagli esiti imprevedibili nella regione autonoma del Kurdistan iracheno».
Che fare? «Occorre un cambio di rotta radicale alla Casa Bianca. George W. Bush, nel 2006, proprio in Iraq, nel momento in cui sul terreno militare si presentarono delle difficoltà decise di rafforzare la presenza delle forze annate. Penso che Obama debba avere il medesimo coraggio. Deve incrementare gli investimenti militari e mettersi alla guida di una operazione internazionale che abbia l'obiettivo di fermare i terroristi islamisti in Siria e in Iraq. Non sarà cosa facile da fare, ma non vedo alternative».
Un accordo con Teheran potrebbe rivelarsi la carta vincente?
«L'eventuale ruolo che Teheran potrebbe svolgere nel processo di normalizzazione in Siria e in Iraq non deve comportare un cedimento americano sulle armi nucleari. Su questo terreno occorre essere chiari. L'Iran con l'atomica sarebbe un incubo per il mondo occidentale».

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