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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - Il Foglio - Il Giornale - Libero Rassegna Stampa
22.07.2014 Le ragioni di Israele
rassegna di editoriali e commenti

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio - Il Giornale - Libero
Autore: Bernard Henry Lévy - Giuliano Ferrara - Andrea Marcenaro - Vittorio Dan Segre - Davide Giacalone
Titolo: «Israele si difende. I torti non sono sullo stesso piano - Israeliani di tutto il mondo unitevi ! - Andrea's Version - Nelle vie di Gaza c'è in gioco il futuro di Israele - e l'idiozia dell'Occidente hanno costretto Israele alla guerra»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, a pagg. 1-32, l'articolo di Bernard Henry Lévy dal titolo "Israele si difende. I torti non sono sullo stesso piano", dal FOGLIO a pag. 1 l'articolo di Giuliano Ferrara dal titolo "Israeliani di tutto il mondo unitevi !" e l'odierna rubrica "Andrea's Version" di Andrea Marcenaro, dal GIORNALE, a pagg. 1-12, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo "Nelle vie di Gaza c'è in gioco il futuro di Israele", da LIBERO a pag.1-14, l'artciolo di Davide Giacalone dal titolo "Hamas e l'idiozia dell'Occidente hanno costretto Israele alla guerra".

Di seguito, gli articoli:

IsraelGaza2
Che cosa farebbero gli altri stati al posto di Israele ?

CORRIERE della SERA - Bernard Henry Lévy: " Israele si difende. I torti non sono sullo stesso piano"


Bernard Henry Lévy

Ricordiamo che nessuna indignazione, nessuna solidarietà nei confronti di una qualsiasi causa può, non dico autorizzare, ma scusare il gesto virtualmente pogromista che è il saccheggio, a Sarcelles, di una «farmacia ebraica» o di una «drogheria ebraica». A tali mascalzoni oltre che imbecilli, o viceversa, che la settimana precedente se la prendevano con due sinagoghe e, otto giorni dopo, recitano un remake penoso, e grazie al cielo ancora in modo minore, della notte dei cristalli, ripetiamo che questo tipo di azioni non trova spazio né in Francia né in alcun altro Paese dell’Europa contemporanea. Segnaliamo loro, en passant , che riunirsi dietro a razzi Qassam in cartapesta riproducenti le granate lanciate, alla cieca, su donne, bambini, vecchi, insomma sui civili di Israele, non è un atto anodino, ma un gesto di appoggio a un’impresa terroristica. A coloro che, fra questi, avevano realmente a cuore la causa di Gaza e sfilavano con striscioni su cui si evocavano le decine di innocenti uccisi dall’inizio della controffensiva israeliana, non saremo così crudeli da chiedere perché non sono mai lì, mai, sullo stesso selciato parigino, per piangere, non le decine, ma le decine di migliaia di altri innocenti uccisi, da circa quattro anni, nell’altro Paese arabo che è la Siria. Facciamo notare che i responsabili di queste vittime, delle decine di donne, bambini, vecchi — che, se l’avanzata criminale di Hamas non viene bloccata, saranno, domani, centinaia — sono due, non uno: il pilota che, prendendo di mira una rampa di missili iraniani nascosta nel cortile di un edificio, colpisce per errore l’edificio vicino; ma anche, se non innanzitutto, i mostri di cinismo che, al messaggio del pilota che annuncia di essere sul punto di sparare e invita i vicini a lasciare il quartiere per mettersi al riparo, rispondono invariabilmente: «Che nessuno si muova; che ognuno resti al proprio posto; che 10, 10.000 martiri sono pronti a offrire il proprio sangue alla santa causa, iscritta nella nostra Carta, della distruzione dello Stato degli ebrei».
Quanto agli altri, a coloro che ritengono tali comportamenti causati da eccitazioni febbrili condivise, quanto ai mass media che continuano a evocare la «aggressione» israeliana, o la «prigione» che Gaza è diventata, o la «spirale» delle «violenze» e delle «vendette» che alimenterebbero questa guerra senza fine, obiettiamo che:
non c’è aggressione, ma contrattacco di Israele di fronte alla pioggia di missili che, ancora una volta, si abbattono sulle sue città e che nessuno Stato al mondo avrebbe tollerato così a lungo; che Gaza è, in effetti, una sorta di prigione ma, avendola gli israeliani evacuata ormai da quasi dieci anni, non si capisce come potrebbero esserne i carcerieri. Cosa pensare, invece, di Hamas che mantiene l’enclave sotto il giogo, che tratta i propri abitanti come ostaggi e che, mentre gli basterebbe una parola o, comunque, una mano tesa perché cessi l’incubo, preferisce andare fino in fondo alla sua follia criminale?
Fra le violenze e le vendette che ci vengono presentate come «simmetriche», fra l’omicidio dei tre adolescenti ebrei rapiti e trovati morti vicino a Hebron e l’omicidio del giovane palestinese bruciato vivo, due giorni più tardi, da una gang di barbari che disonorano gli ideali di Israele, esiste una differenza che non cambia nulla, ahimè, al lutto delle quattro famiglie ma che, per chi ha la possibilità e, quindi, il dovere di mantenere la mente fredda, cambia tutto: le autorità politiche, giudiziarie e morali di Israele sono inorridite per il secondo omicidio, l’hanno condannato senza riserve e hanno fatto in modo che i suoi presunti colpevoli fossero braccati e arrestati; per il primo, i cui autori non sono ancora stati trovati, bisognava avere un udito assai fine per sentire non fosse che una parola nei ranghi palestinesi: sì, una frase si è udita, quella di Khaled Meshaal, capo di Hamas in esilio, «che si congratulava» per le «mani» che hanno «rapito» i tre adolescenti brutalmente riqualificati, per l’occasione, «coloni ebrei»...
Dubito che queste osservazioni possano avere qualche effetto sui jihadisti della domenica, sempre gli stessi che, un giorno, deplorano che gli si impedisca di ridere con l’umorista Dieudonné; un altro che gli si vieti di esprimere rispetto per Mohamed Merah; e un altro che la diplomazia francese non si schieri come un sol uomo dietro agli «indignati» pro Hamas.
Quanto al resto della Francia, agli uomini e alle donne di buona volontà, a coloro che non hanno rinunciato al sogno di vedere, un giorno, questa terra finalmente condivisa, vorremmo tanto che rompessero il cerchio della disinformazione e della pigrizia di pensiero! No, fra Israele e Hamas, i torti non sono distribuiti in parti uguali. Sì, Hamas è un’organizzazione islamo-fascista da cui è urgente liberare anche gli abitanti di Gaza. E quanto al capo dell’Autorità palestinese, Mahmud Abbas, egli si rivolge alle Nazioni Unite affinché facciano «pressione» su Israele: ma non sarebbe più logico, più degno e soprattutto più efficace che si rivolgesse ai folli di Dio, che da qualche settimana sono ridiventati i suoi partner di governo, per esigere e ottenere da loro che depongano, senza indugio, le armi?
Gli abitanti di Gaza meritano di essere qualcosa di meglio che scudi umani. I popoli della regione, tutti i suoi popoli, sono stanchi della guerra e del suo strascico di orrori: diamo una chance alla pace.
Traduzione di Daniela Maggioni

IL FOGLIO - Giuliano Ferrara: " Israeliani di tutto il mondo unitevi !"


Giuliano Ferrara


Israeliani di tutto il mondo, unitevi! Avete un mondo da guadagnare e nient’altro che le vostre catene da perdere. Chiunque conosca e a qualunque titolo la storia degli ebrei, quella del sionismo e quella di Israele non deve avere dubbi su quale parte prendere nella guerra di Gaza. E quando infuriano le armi c’è un solo problema per le persone rette: da che parte stare. Chi si tira fuori parteggia senza dirlo, affetta un sentimento che è privo di vere basi etiche, insomma se la cava con poco e con poco si lava la coscienza. Se si guardi a Mosul e alla fuga funesta che una banda di predoni impone a una comunità perseguitata di “miscredenti”, anche i cristiani di tutto il mondo, intesi non come credo cultuale ma come nazione occidentale, dovrebbero unirsi. E contro gli stessi identici nemici.
E’ vero che la sproporzione delle forze colpisce, intimidisce, favorisce la favola umanitaria. Israele è grande in confronto alla Striscia di Gaza, pur essendo un paese piccolo. E’ più ricco, più popoloso, più attrezzato militarmente e tecnologicamente. Paga e ha pagato un prezzo alto al terrorismo, ma in confronto alle vittime di guerra palestinesi i suoi morti civili o in divisa, si contano sulle dita di due mani, per adesso. Se solo si abbia voglia di riflettere onestamente sulla realtà, però, tutto cambia. A parte gli accordi di Camp David, che hanno restituito agibilità politica e diplomatica al confronto statale di Israele con Egitto e Giordania, per tutto il resto Israele è un fazzoletto di terra accerchiato dall’inimicizia armata e dal terrorismo deliberato contro i civili, il vero collante di tutti i suoi vicini: inimicizia per la terra contesa, ma anche per il culto, che l’islam sunnita e sciita del nostro tempo non prevede possa sussistere in piena legittimazione fuori dai confini dell’islam stesso, e questo su basi profonde, che si rintracciano anche nel libro nella profezia coranica intoccabile, e anche per l’estraneità razziale (sono ebrei, una non entità, discendenti di scimmie e maiali)
A guardarla bene, la sproporzione si rovescia come un guanto. Ma sono in pochi a voler guardare nella tragedia di un popolo, quello israeliano, costretto a difendersi con le unghie e con i denti, costretto a uccidere per non essere ucciso, a infierire contro organizzazioni armate parastatuali che fanno del loro popolo uno scudo umanitario permanente allo scopo di vincere, a colpi di bambini e vecchi massacrati, la battaglia decisiva dell’opinione pubblica internazionale. Israele protegge i suoi con i missili, come ha giustamente detto Edward Luttwak, mentre Hamas protegge i missili con i suoi. E’ anche per questo che suonano vacue le perorazioni facili contro le barriere di difesa e contro i muri, quando vengono offerte in terra israeliana e palestinese. E’ anche per questo che sono ingiuste le accuse contro il governo del destro Netanyahu, come furono ingiuste le accuse al socialista Rabin durante la dura repressione della Prima Intifada. E’ anche per questo che risulta non solo fallimentare ma spietatamente ingiusta la riluttanza dell’Amministrazione americana a fare fronte alle proprie responsabilità nel governo dell’ordine mondiale, la tendenza a idealizzare una retorica politica senza conseguenze a favore di telecamere (comprese le gaffe di Kerry segretario di stato).
Noi qui in Europa, affetti da nanismo etico e da impotenza politica, bravi solo a tutelare il valore commerciale delle materie prime di cui abbiamo bisogno per la nostra vita e il loro costo, facciamo un titolo al giorno in cui non si parla di vittime di guerra, ragionando sulle ragioni della guerra e sulle condizioni della pace, ma di strage, di massacro dei civili, di ecatombe dei bambini. E’ comodo. E ci danno manforte tutti quegli israeliani, in particolare i testimoni di un mondo che non esiste, quello della reciproca fiducia e della generale benevolenza e della disponibilità universale alla pace, i quali si sottraggono al compito naturale di un cittadino: proteggere la propria comunità, aiutare chi lo fa in prima linea, capire che ci sono momenti in cui si discute e momenti in cui cessa ogni discussione.
Non ci sono dall’altra parte testimoni capaci di sollevare l’indignazione pubblica. I resoconti dicono, anche quelli di organi di stampa ostili al governo israeliano del momento, che nella Striscia non si può criticare la pretesa di Hamas di essere insieme il puntello di un governo che tratta e la base logistica di un esercito di terroristi che ambisce a mettere sotto minaccia la popolazione civile della comunità vicina, perché tuttora non ne riconosce la legittimità e la vita. La voce della buona coscienza e delle anime belle non si sente al di là della barriera difensiva, al di là del santo muro che protegge le vite degli ebrei e degli altri che vivono entro i confini della democrazia israeliana. In Europa, a parte le dichiarazioni solenni e definizioni di Hamas come gruppo terroristico, non esistono boicottaggi della sua classe dirigente criminale, magari raccordati con una inesistente opinione pubblica. C’è solo l’infinita e comprensibile compassione per le popolazioni del formicaio colpite dalle durezze di guerra, ma senza mai specificare di chi siano le responsabilità strategiche della guerra. Comodo, molto comodo.

Il FOGLIO - Andrea Marcenaro: "Andrea's Version "


Andrea Marcenaro

Vado a memoria, ma mi pareva che il boia Sharon avesse fatto un gesto, come dire, distensivo, lasciando Gaza nel 2005. Ricorderò senz’altro male io, ma a me sembrava di ricordare che se ne fosse andato lasciando a Gaza tutte le strutture agricole e industriali costruite dagli israeliani in quarant’anni. E che non fosse stato imposto alcun blocco, dopo che se ne andò. C’era anche un porto attrezzato e libertà di commerci. Ma che subito appresso, posso sbagliarmi, l’autorità subentrante avesse fatto letteralmente a pezzi le strutture agricole e industriali degli infedeli. E non era, mi pare, per farne di sue proprie, comprensibilmente fedeli. Quanto piuttosto per trasformare Gaza in un avamposto, adesso non ricordo, se della convivenza con o della distruzione di Israele. Propenderei per la seconda tesi, dopo aver letto alcuni studi sull’assenza totale di attività produttive in quel di Gaza e il pullulare allegro di armi e di missili, comprati a getto continuo col fiume di soldi degli aiuti internazionali. Sembra perfino di ricordare, ma la memoria non è il mio forte, che nelle scuole si insegni la santità del martirio e la cancellazione degli ebrei. E che Gaza sia stata trasformata in una caserma. Da dove partivano già dal 2006, in direzione degli ebrei medesimi e tra gli applausi arabi, quantunque non solo, migliaia di missili. Mica grossi eh, per carità, piccoli. E tant’è. Perché non sono solo avari, questi ebrei, anche permalosi. Così adesso laggiù c’è una guerra, mi dite? E brutta brutta? Ma va là?

IL  GIORNALE - Vittorio Dan Segre: "Nelle vie di Gaza c'è in gioco il futuro di Israele "


Vittorio Dan Segre


Nessuno degli esperti politici, storici, diplomatici, ideologici si sarebbe immaginato che la battaglia di Gaza - uno dei tanti scontri fra lo Stato di Israele e le varie formazioni armate palestinesi - si sarebbe trasformata in laboratorio delle possibili conseguenze dello scontro fra un'arma nuova e le armi vecchie della Prima e della Seconda guerra mondiale.
Scontro che, come tutti i precedenti di questo tipo, potrebbe oltre che rompere l'equilibrio militare anche provocare il cambiamento dell'equilibrio politico internazionale con nuove guerre ma anche possibilità di nuovi accordi politici, giuridici e sociali.
La nuova arma difensiva è quella sviluppata da Israele. Si chiama Cupola d'Acciaio. Ha provato la sua efficienza proteggendo l'intero Paese da 11mila missili lanciati da Hamas in 13 giorni, e causando due sole perdite civili. Nessun Paese la possiede, in quanto la difesa missilistica delle grandi potenze ha puntato su razzi anti razzi a lunga portata, con lo spauracchio della bomba atomica transoceanica in testa. Il Patriot, sviluppato dagli americani che hanno largamente finanziato l'invenzione israeliana, è servito per missili a media portata, come quelli lanciati da Saddam Hussein su Tel Aviv.
La Cupola d'Acciaio ha questo di speciale: ha tre secondi - dico secondi - per agire su un razzo lanciato dal vicino di casa. Uno per identificare il missile, uno per avvertire la gente della zona che mira a colpire, uno per distruggerlo. La vecchia arma usata nella Prima e nella Seconda guerra mondiale è la fanteria - più o meno corazzata -, con il carro armato, l'aereo che non resistono al missile anche portatile. La strategia di Hamas nel corso degli ultimi vent'anni è stata di costruire città sotterranee con depositi blindati per i missili.
Lo scopo dell'offensiva di terra israeliana è ora di identificarli e distruggerli. Lo scopo di Hamas è di attirare truppe in superficie a Gaza e di ucciderne il più possibile (ha già sorpreso una colonna israeliana facendo 13 morti e 20 feriti).
In gioco ci sono tre cose. Primo: la capacità di Israele di trovare questi bunker, anche a costo di spianare Gaza. Se non ci riuscisse Hamas avrebbe vinto, poco importano le perdite e le pene che infligge alla sua popolazione (fra l'altro impedisce a donne e bambini di rifugiarsi nei tunnel sotterranei, dovendo servire da scudo ai suoi soldati contro gli israeliani). L'accettazione da parte israeliana delle sue condizioni di tregua scuoterebbe il governo israeliano, dividerebbe la nazione, che vuole portare alla conclusione questa battaglia in cui Hamas l'ha intrappolato e probabilmente segnerebbe la fine politica di Netanyahu. Secondo: anche se annunciasse vittoria, una opposizione popolare a Hamas, una resa delle sue truppe di elite, la cattura o l'uccisione dei suoi governanti, o qualche avvenimento che diminuisca il potere del Comandante supremo Al Deif, rappresenterebbe uno scacco grave anche se non definitivo per questa organizzazione alimentata dall'Iran, una conferma dell'incapacità araba, non solo palestinese, di piegare Israele. Terzo, il «voltafaccia» politico di Obama. Il presidente americano da grande sostenitore della spinta diplomatica su Israele per la creazione di uno Stato palestinese (che gli eventi dimostrano sarebbe stata la fine di Israele, con la possibilità di Hamas di piazzare i suoi missili in Cisgiordania), si è trasformato, lui pacifista fautore del dialogo come solo mezzo per la soluzione dei conflitti, in sostenitore dell'azione militare di Israele, annunciando che lo Stato ebraico non ha solo il diritto a difendersi, ma di anche di combattere sino a quando i depositi di missili di Hamas non saranno individuati e distrutti.
La battaglia di Gaza continuerà come è continuata la battaglia d'Inghilterra contro i bombardamenti aerei tedeschi nel 1940. Netanyahu, grande ammiratore di Churchill, fa spesso riferimenti a lui nei suoi discorsi, incitando la popolazione a restare unita e a combattere sino alla totale distruzione di Hamas. Non è una esagerazione affermare che in questo momento gli occhi del mondo sono puntati su Gaza.
Se Israele vincesse, non sarebbe meno odiato di ora, specie dai media di sinistra e liberali. C'è una collusione troppo forte fra anti sionismo e anti semitismo, quello che Lenin chiamava il socialismo degli imbecilli. Se perdesse, in un mondo politico in cui le relazioni di forza non sono più fra Stati, ma fra Stati e non Stati - gruppi religiosi armati in nome di Dio, mafie, tribù etc - capaci ad esempio di sgominare con 500 uomini armati (di tank e di missili) un esercito come quello iracheno di un milione di soldati, giustificherebbe la capacità dell'Isis di metter la società occidentale, la società cristiana in particolare (in cui induce i membri alla scelta fra la conversione all'islam, il pagamento della tassa islamica per i «miscredenti» o il taglio della gola), alla sua mercé.
Si tratta di una minaccia per l'Occidente ben più grave del comunismo e dell'Urss e che ha per scopo dichiarato non solo Israele, l'America, ma anche la sede della Chiesa di Roma.


LIBERO - Davide Giacalone:  "Hamas e l'idiozia dell'Occidente han costretto Israele alla guerra "


Davide Giacalone

Il cessate il fuoco è inutile se non si disarma Hamas L'Occidente ha sbagliato a lasciare Gerusalemme isolata: chiedere che si fermi significa ignorare le responsabilità dello scontro. Ancora scontri e morti a Gaza  Chiedere a Israele di fermare l'azione militare, chiedere una tregua, significa ignorare le condizioni in cui la reazione è stata scatenata. E far finta di non sapereche una tregua umanitaria c'è già stata, con cinque ore di cessate il fuoco, nel corso delle quali la popolazione poteva provare a procurarsi viveri e medicine. Dopo la prima ora quella tregua è stata violata da Hamas, che ha sparato due missili contro Israele. Obama e la Merkel hanno detto che Israele ha diritto di difendersi. Non basta, è scontato, ma non è quello il punto. Anche se lo osservo con il dovuto rispetto, posto che il governo italiano s'è coperto con la vergogna di un lungo e deprecabile silenzio. Chiedevano la guida della diplomazia europea, che non esiste. Sono andati a rimpiattarsi quando s'è trattato di far valere la posizione italiana, che pure esisteva. Sul fronte ucraino e su quello israeliano. Tale fuga contribuisce ad allungare la guerra, e la lista dei morti. La causa principale di questa guerra al confine della striscia di Gaza è l'isolamento di Israele. Da Gaza gli israeliani sono andati via meno di dieci anni fa. Il governo israeliano fece sloggiare i coloni e ne abbatté le case con le ruspe. Non è certo per stare a Gaza che è stato aperto il fuoco. I sistemi di protezione anti-missile funzionano, la sicurezza dei civili israeliani non è totale, ma il 90% di successi, nell'intercettare attacchi aerei, è un ottimo e rassicurante risultato. Quell'arma difensiva ha reso asimmetrica la guerra: i colpi israeliani arrivano, quelli di Hamas si consumano prevalentemente per aria. Ciò nonostante sono dovuti intervenire anche via terra, esponendosi a un rischio per cui dovrebbero essere ringraziati: Hamas non solo annunciava, ma già praticava la guerra portando l'attacco mediante tunnel sotterranei, se Israele non voleva essere protetto dal cielo e vulnerabile dal suolo, se si volevano prevenire gli attacchi terroristici che avrebbero fatto strage di civili, e se non si voleva farlo solo con i missili, il che avrebbe comportato una carneficina di civili palestinesi, all'imbocco di quei tunnel si doveva andare a piedi. Era quello che Hamas voleva, per ricattare il resto dei palestinesi, ma lo si sarebbe potuto evitare solo se ci fosse stato un vasto fronte internazionale, noi compresi, capace di chiarire che la fine del terrorismo fondamentalista, la fine di Hamas come esercito armato, è da considerarsi la condizione della pace. Non c'è stato. Per questo c'è la guerra. Chiedere tregue è da stolti, anche un po'vili e imbroglioni. Ciò non di meno Israele guarda con orrore l'ipotesi di dover tornare a occupare Gaza. E un film già visto, senza lieto fine. Come è un film già visto l'iniziale solidarietà occidentale a Israele, salvo consumarla velocemente quando le armi portano alle inevitabili conseguenze. Ma se si vogliono far tacere le armi si deve far parlare la diplomazia. Gli Stati Uniti hanno lasciato che il loro segretario di Stato andasse al massacro, facendo proporre a Kerry quel che gli Usa stessi non erano disposti, o capaci, di garantire. Non è che se si conduce un negoziato con l'Iran, finanziatore e fornitore di Hamas, destinato al controllo dell'energia atomica, si può supporre che Israele entri automaticamente in modalità inerte e serena. Specie se nel corso del negoziato emerge il Qatar come nuova piattaforma logistica di Hamas. E specie se questo sostegno consente ad Ha-mas di condurre l'attacco che più le interessa, quello per cui è foraggiata: combattere contro i palestinesi che alla pace ci credono, impadronirsi di quella causa non per giungere alla pace, ma per garantire la perpetuità della guerra, in questo modo lanciando l'attacco contro l'Egitto, reo d'avere rinculato quando s'è visto finire nelle mani della fratellanza islamica. Israele spara perché è isolato. Non può fare diversamente, pur non vedendo sbocco politico al conflitto. Ma Israele è isolato, e non c'è sbocco, perché l'occidente ha sbagliato. Stati Uniti in testa. Ci sarebbe spazio e utilità per l'Europa, se esistesse. Ma a guidarne la politica estera si candida chi non è riuscito manco a dire che sarebbe sensata e prudente una commissione internazionale d'inchiesta, circa l'abbattimento di un volo civile. Non che oggi si sia messi meglio, ma certo non una ragione per augurarsi o rassegnarsi al peggio.

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