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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.07.2014 Iron Dome ha funzionato, Hamas ci riprova coi droni, costruiti grazie all'Iran
Cronache di Maurizio Molinari, Guido Olimpio

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Guido Olimpio
Titolo: «Dentro la batteria dell'Iron Dome. ' Hamas ci sfida, non si può sbagliare' - La sfida dal cielo di Hamas. Ma il drone è abbattutto in volo»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/07/2014, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Dentro la batteria dell'Iron Dome. ' Hamas ci sfida, non si può sbagliare' " e dal CORRIERE della SERA a pag. 11, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo "La sfida dal cielo di Hamas. Ma il drone è abbattutto in volo"..

Di seguito, gli articoli:

First Palestinian Drone to Enter Israel Is Promptly Shot Down
Immagini dei presunti droni fabbricati da Hamas con l'aiuto dell'Iran


LA STAMPA - Maurizio Molinari:  " Dentro la batteria dell'Iron Dome. ' Hamas ci sfida, non si può sbagliare' "


Maurizio Molinari


Hamas sfodera i droni per continuare a sorprendere Israele, puntando a raccogliere informazioni sul suo più efficiente avversario: l’Iron Dome. Dall’inizio della crisi militare Hamas ha lanciato contro Israele oltre mille razzi, di cui almeno 300 destinati a colpire centri abitati e se i danni arrecati sono stati assai limitati il merito è delle batterie anti-missile che ne hanno abbattuti circa il 90 per cento.
Una di queste batterie, posizionata fra le colline di una ex discarica di rifiuti alle porte di Tel Aviv, si presenta ad occhio nudo come una struttura essenziale: due lanciatori, da 20 intercettori ciascuno, rivolti verso Sud, un radar e un centro di comando. Il tutto gestito da un pugno di militari dell’Aviazione, che ha creato un’unità apposita per manovrare le otto batterie esistenti, ognuna delle quali ha la responsabilità di difendere una grande area urbana. «Da quando questa crisi è iniziata – spiega Peter Lerner, portavoce delle forze armate, dando le spalle ai lanciatori – Hamas si è resa conto che l’Iron Dome è un avversario temibile, e più volte lo ha sfidato». Il riferimento è a lanci contemporanei di molti razzi - 40, 45 e in alcuni casi 50 - contro le città del Sud - Ashdod, Ashkelon e Beersheva - tesi ad appurare se potevano mettere in difficoltà il sistema di difesa hi-tech realizzato nel 2011 da Rafael ed Elta con il consistente sostegno finanziario degli Stati Uniti.
Poiché Iron Dome ha superato questi «test», ora Hamas tenta un’altra strada per beffarlo: far decollare dalla Striscia degli aerei senza pilota e scattare immagini aeree tese a scoprire dove le batterie si trovano e, di conseguenza, se hanno dei punti deboli. Lerner liquida i droni di Hamas con poche parole: «Sapevamo che ne erano in possesso, appena si è levato in volo lo abbiamo visto e davanti alla costa di Ashdod lo abbiamo abbattuto con un Patriot». Le brigate Izz a Din al-Qassam di Hamas ribattono che «di droni ne abbiamo fatti decollare tre», quello abbattuto non è una grande perdita «perché già in passato avevamo raccolto molte immagini aeree di Israele, incluso il ministero della Difesa» e inoltre «abbiamo diversi tipi di droni per missioni di intelligence, di bombardamento e di attacco suicida». Come dire: si tratta di un arsenale.
La pista dei droni, per l’intelligence militare israeliana, porta a Teheran ovvero alle «ingenti forniture di armi avvenute grazie ai tunnel che collegano il Sinai a Gaza», la cui entità si suppone sulla base dei quantitativi di razzi trovati sulle navi catturate, Karina-A nel 2002 e Kloc-C in marzo. D’altra parte, proprio l’Iran ha fornito il drone che Hezbollah nel 2013 ha fatto volare dal Libano del Sud fino ad Israele, con un gesto di sfida simile a quello ora compiuto da Hamas. «Le tattiche di Hezbollah sono state studiate in maniera minuziosa da Hamas, sui razzi e sui tunnel», aggiunge l’ufficiale dell’intelligence.
Ma il tentativo di Hamas di beffare l’Iron Dome si scontra con un sistema che sfiora la fantascienza per la sovrapposizione fra tecnologia e ruolo dell’uomo. A spiegarlo è Jonathan Mosery, portavoce del ministero della Difesa: «Quando un razzo parte viene identificato dal radar dell’Iron Dome in un millesimo di secondo, viene agganciato dalla batteria degli intercettori e a quel punto è un militare ad autorizzare il lancio per abbatterlo». Poiché il tutto si svolge in un arco di decine di secondi ciò significa che l’Iron Dome nasce dall’integrazione fra hi-tech ed esseri umani. Impossibile sapere di più: su come questa integrazione avviene, verosimilmente attraverso un computer, o sul metodo con cui l’intercettore distrugge il razzo.
L’altra componente «top secret» delle 8 batterie - destinate a diventare 15 grazie a un investimento da un miliardo di dollari che si aggiunge ai 200 milioni di dollari approvati dalla Casa Bianca - è l’integrazione con il sistema di «allerta rossa» che scatta nella stessa area dove il radar prevede la caduta a terra del razzo. Tali e tanti segreti portano al proliferare di voci difficili da controllare sull’origine dell’Iron Dome, a cominciare dalla teoria che sarebbero stati degli ex militari dell’Armata Rossa, emigrati in Israele negli anni Novanta, a rivelare i segreti della guerra balistica di teatro - che era uno dei punti di forza dell’esercito sovietico - consentendo di sviluppare le contromisure al lancio di razzi a corto e medio raggio.
Dall’India alla Corea del Sud più nazioni stanno verificando la possibilità di acquistare batterie di Iron Dome e la recente Fiera di Singapore ha consentito a Rafael di presentarne la versione più avveniristica: con raggi laser al posto degli intercettori al fine di poter polverizzare non decine ma centinaia di razzi contemporaneamente in arrivo.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio:  " La sfida dal cielo di Hamas. Ma il drone è abbattutto in volo"


Guido Olimpio


Non solo razzi. Hamas tenta dei diversivi, mosse che si rivolgono al suo «pubblico» per dare l’idea di mantenere l’iniziativa. Si spiega così l’ultima «sorpresa» arrivata dal cielo.
Le Brigate Ezzedin al Qassam hanno annunciato di aver inviato tre droni su Israele. Uno per lo spionaggio che avrebbe raggiunto la zona del ministero della Difesa israeliano a Tel Aviv, un secondo armato di missile e il terzo carico di esplosivo. La missione non sembra essere andata troppo bene. Lo Stato ebraico ha annunciato di aver intercettato e distrutto un velivolo con un missile Patriot nel cielo di Ashod (zona sud) mentre Hamas ha ammesso di aver perso il contatto con due dei mezzi. Questo però non ha impedito al movimento di diffondere le foto dei velivoli e di celebrare la sfida al nemico. Del resto a quello servivano gli Ababil 1 partiti dalla Striscia di Gaza.
Le Brigate al Qassam hanno iniziato a lavorare sui droni da quasi un decennio. Prima cercando di usare piccoli aeromodelli, poco più di giocattoli radiocomandati sui quali volevano inserire cariche esplosive. Nel novembre 2005 è stata scoperta l’attività di una cellula che aveva inviato un giovane ingegnere di Nablus negli Emirati dove era stato assunto da una ditta che produceva velivoli in miniatura. Il piano era quello di rubare i progetti per riprodurli a Gaza. Un’idea troppo ambiziosa ma inseguita nonostante le difficoltà logistiche e tecniche.
Hamas sarebbe rimasta al palo se non fossero intervenuti gli iraniani e l’Hezbollah che hanno garantito consigli, materiale, know-how e probabilmente alcuni esemplari. Un’assistenza per ripetere quanto fatto dallo stesso movimento sciita libanese che, più volte, in momenti di scontro con Israele ha spedito i suoi droni oltre confine. Manovre disperate ma che comunque hanno avuto il merito di catturare l’attenzione dei media internazionali.
Nella seconda metà del 2012 sono trapelate informazioni sull’arrivo a Gaza di droni iraniani smontati. L’intelligence ha raccolto dati in questo senso, dopo aver individuato attività sospette — anche se ben nascoste — da parte di elementi vicini alle Brigate al Qassam e alla Jihad palestinese. In ottobre l’aviazione ha neutralizzato un velivolo, forse Hezbollah, nel sud di Israele. Un mese dopo, sempre gli israeliani hanno diffuso il video che mostrava il presunto test di un mezzo senza pilota dei militanti. Rivelazione seguita dalla distruzione di un edificio dove – secondo le fonti ufficiali di Gerusalemme – i palestinesi stavano assemblando dei droni capaci di compiti multipli. Lo scenario raccontato dai portavoce è che Hamas e Jihad hanno lavorato su un doppio binario, simile a quello impiegato per la costruzione dei razzi: ricorso agli Ababil forniti dall’Iran (magari via Hezbollah) e ricerca in loco. Nulla in confronto alle «macchine» che ogni giorno violano lo spazio di Gaza per spiare i mujahedin o lanciare missili sofisticati. Il confronto tra i due schieramenti è improponibile, ma ciò non impedisce ai palestinesi di tentare qualcosa. Un anno fa hanno sostenuto di essere riusciti a interrompere il link tra un minidrone israeliano e la base facendolo poi precipitare nella Striscia. Tesi smentita da Gerusalemme che ha parlato di un’avaria e rilanciata, invece, da alcuni blogger. Verità opposte diventate la regola in un conflitto tragicamente ripetitivo.

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