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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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L'Unità - Libero Rassegna Stampa
20.12.2013 Iran: la resistenza esiste, ma l'Occidente non l'aiuta
Intervista a Mohammad Mohaddessin di Gabriel Bertinetto, commento di Carlo Nicolato

Testata:L'Unità - Libero
Autore: Gabriel Bertinetto - Carlo Nicolato
Titolo: «Più fermezza con Rohani poteva fermare il nucleare - 'L’atomica non la vogliamo'. L’Iran laico pronto alla rivolta»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 20/12/2013, a pag. 14, l'intervista di Gabriel Bertinetto a Mohammad Mohaddessin dal titolo " Più fermezza con Rohani poteva fermare il nucleare ". Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Carlo Nicolato dal titolo "  'L’atomica non la vogliamo'. L’Iran laico pronto alla rivolta".
Dai due articoli risulta chiaramente come l'opposizione iraniana, rappresentata dai Mujaheddin del Popolo non gode di nessun appoggio negli Stati democratici. Un'altra prova della cecità dell'Occidente.
Ecco i pezzi:

L'UNITA' - Gabriel Bertinetto : " Più fermezza con Rohani poteva fermare il nucleare "


Mohammad Mohaddessin            Maryam Rajavi, leader dei Mujaheddin

«Se a Ginevra gli Usa e il club 5+1 avessero mostrato maggiore fermezza, avrebbero potuto ottenere molto di più nel negoziato sul nucleare, perché il regime è in gravi difficoltà. Invece Teheran ha incamerato l'attenuazione delle sanzioni a un prezzo molto basso».
Così Mohammad Mohaddessin, responsabile affari internazionali del Consiglio nazionale della resistenza (l'opposizione iraniana in esilio legata ai Mujaheddin del popolo). Mohaddessin è a Roma per denunciare la situazione di tremila suoi compagni trattenuti in Iraq in una condizione a metà fra rifugiato e prigioniero. Oltre cento sono stati uccisi negli ultimi due anni nelle incursioni di forze speciali irachene a Camp Ashraf, vicino al confine con l'Iran.
Lei critica gli accordi dl Ginevra, ma le sanzioni saranno reintrodotte o accentuate se Teheran nonne rispetterà le condizioni...
«Il punto è che sarà molto complicato rimettere in moto il meccanismo delle sanzioni dopo un'interruzione di mesi. Su questo giocano i dirigenti iraniani, che sono maestri nell'arte dell'inganno, come i governi stranieri hanno già sperimentato più volte. Si sono piegati a trattare solo perché le misure punitive internazionali e la crisi economica interna avevano messo il Paese in ginocchio, e perché temono che il diffuso malcontento inneschi una rivolta come nel 2009. Era l'occasione buona per costringerli ad arrestare completamente e non solo a ridurre l'arricchimento dell'uranio, e a chiudere l'impianto al plutonio, rinunciando così del tutto ai fini militari del programma. Aggiungo anche che se il mondo si preoccupa a ragione che l'Iran cerchi di costruire bombe atomiche, noi siamo contrari anche al nucleare per usi civili, a causa dei suoi altissimi costi. Con le stesse somme (cento miliardi di dollari) potremmo valorizzare meglio i giacimenti di greggio e di gas, e avviare grandi programmi di sviluppo industriale e infrastrutturale».
Obama e altri leader hanno fiducia In Rohani. Pensano che ci sia della sostanza nei mutamenti politici in atto e valga la pena verificare se può venime fuori qualcosa di positivo.
Che ne pensa?
«Quando Rohani fu eletto, la nostra leader Maryam Rajavi dichiarò che avremmo accolto con favore l'evento se ne fossero derivati miglioramenti, non solo per quanto riguarda il nucleare, ma anche nel campo dei diritti umani, civili e politici, e nei rapporti con l'estero. Purtroppo a sei mesi dal voto di giugno, vediamo crescere il numero delle esecuzioni capitali, le minoranze etniche sono sempre discriminate, le carceri piene di oppositori. Teheran continua a esportare il terrorismo, a cominciare dalla Siria. Qualcuno dirà che ,tutto ciò non dipende da Rohani, perché il potere vero resta in mano alla Guida suprema Ali Khamenei. Ma se Rohani non può, e forse nemmeno vuole, decidere, dov'è il cambiamento sostanziale? Ai protagonisti del negoziato nucleare noi diciamo: quando discutete con i rappresentanti di Teheran non dimenticatevi di porre sul tappeto anche la questione dei diritti umani».
Rohani è stato eletto a larghissima maggioranza. Molti cittadini l'hanno preferito ad altri candidati ultraconservatori. Sarà anche lui parte dell'élite dirigente, ma non è meglio per voi approfondire le loro divisioni Interne?
«Sicuramente, ed è quello che facciamo da tempo. Il regime è vicino al crollo e le spaccature fra le sue varie componenti ne sono un sintomo. Esse sono il frutto della crescente ostilità popolare. Se Khamenei nell'ultima campagna elettorale non si è opposto a Rohani (a differenza del 2009 quando aveva appoggiato la riconferma di Ahmadinejad e contrastato apertamente Moussavi) è stato solo per minimizzare i rischi di una nuova sollevazione sociale. Fra tutti i concorrenti Rohani era quello che gli piaceva di meno, ma gli serviva di più

LIBERO - Carlo Nicolato : "  'L’atomica non la vogliamo'. L’Iran laico pronto alla rivolta"


Una manifestazione dei Mujaheddin del Popolo

Tra Bagdad e il confine con l’Iran, giusto tre mesi e mezzo fa, ai primi di settembre, si è compiuta una strage. Una delle tante in Iraq, dove nonostante la “democrazia” postbellica le autobombe ai mercati esplodono come i petardi a capodanno. Ma questa di settembre è una strage diversa, perché da quelle parti, lungo il corso del fiume Tigri sorgeva il campo Ashraf, uno dei due insieme al Liberty aperti per dare rifugio a qualchemigliaio di profughi iraniani, oppositori del regime degli ayatollah. Cinquantadue di loro sono stati trucidati e sette, tra i quali sei donne, rapiti. Chi è stato? Perché è stato fatto? Nessuna indagine indipendente ha mai fatto chiarezza, ma è fin troppo ovvio, dice Shahin Gobadi del Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran (Ncri) con sede all’estero, che dietro c’è la mano dell’ayatollah Alì Khamenei che con il nuovo Iraq sciita sta tessendo un’alleanza quasi fraterna. Il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki ha gradualmente escluso qualsiasi leadership sunnita dal suo governo, tentando di emarginare gli avversari con l’uso delle leggi antiterrorismo, e facendo evidentemente qualche piccolo favore all’alleato iraniano mandando gli sgherri nei campi profughi. D’altronde quelli sono i metodi propri degli ayatollah stessi. Basti pensare che dagli anni 80 a oggi il regime iraniano ha eliminato qualcosa come 120mila oppositori del regime schierati con i Mujaheddin del Popolo dai quali il Consiglio Nazionale di Resistenza dell’Iran proviene. Sotto l’attuale presidente Hassan Rouhani, considerato un “il - luminato” e un “moderato” e al potere da appena 6 mesi, sono già state impiccate almeno 320 persone, molte delle quali considerate dissidenti politici. «Rouhani » sostiene Gobadi «potrà anche essere più moderato degli altri, ma il vero potere in Iran è in mano sempre alle solite persone ». Sono loro che decidono le leggi e le eventuali riforme, se mai di riforme nell’Iran attuale si può parlare. Non traggano in inganno le aperture sul nucleare, l’accordo di Ginevra, criticato di fatto solo da Israele, è una mezza fregatura: «Va nella giusta direzione, ma concede troppo agli ayatollah», insiste Gobadi. Teheran si è impegnata a interrompere l’arricchimento dell’uranio sopra il 5% in cambio della sospensione delle sanzioni per 6 mesi e l’accesso a 4,2 miliardi di dollari derivanti dalla vendita del greggio ma bloccati nelle banche asiatiche per via delle sanzioni. Insomma una pacchia per i teocrati della capitale che in cambio non hanno nemmeno datoalcuna garanzia sul rispetto dei diritti umani a casa loro. I Mujaheddin del Popolo per la verità furono i primi, all’inizio degli anni duemila, a denunciare le manovre iraniane sul nucleare, ma all’epoca il gruppo era considerato un’organizzazione terrorista inserita nelle liste nere di Stati UnitiedEuropa. Nesono usciti da pochi anni (definitivamente solo dal settembre del 2012) eora, seppur dall’estero, si battono per un Iran libero e democratico. «Non solo dall’este - ro» assicura Gobadi, «abbiamo una rete all’interno del Paese di amicizie, parentele e militanti pronta in qualsiasi momento ad esplodere». Le manifestazioni di 4 anni fa ne sono un esempio. Il Paese è alla fame, la crisi economica è la più grave mai conosciuta in Iran, con un’inflazione al 45%, edèsolo questo ilmotivo delle aperture sul nucleare di Rohuani: ottenere la fine delle sanzioni per tentare di allentare la tensione del nel Paese oramai stremato. Ma non sarà abbastanza, sostengono quelli del Consiglio Nazionale di Resistenza, ieri a Roma al Parlamento italiano per lanciare un appello sui fatti di Camp Ashraf. Non sarà abbastanza, dice Gobadi, perché la maggioranza della popolazione non si accontenta di essere sfamata: vuole la libertà, la democrazia, la laicità. Il programma ribadito anche ieriaRoma daMaryamRajavi, la leader storica del Consiglio Nazionale di Resistenza, promette questo e anche molto di più. Promette la costruzione di una Paese democratico di stampo europeo, con l’urna elettorale come unico criterio di legittimità del potere. Un sistema pluralistico in cui tutte le forme di libertà individuali, di opinione e di espressione vengono rispettate. Dove venga abolita la pena di morte e viga l’assoluta parità di genere nei diritti politici e sociali. Il Consiglio stesso ne è già un esempio, essendo composto per la metà da donne ed avendo una di loro quale leader. Soprattutto nell’Iran del futuro ci sarà una netta separazione tra religione e Stato, non vi sarà alcuna traccia di sharia, le donne potranno togliere il velo se lo vorranno enon ci sarà alcuna forma di discriminazionecontro i seguaci di qualsiasi religione e confessione. L’Iran si troverà ad essere l’unico Paese laico e democratico in mezzo a un coacervo di Stati profondamente confessionali, con solo qualche parvenza di democrazia imposta dagli Usa qua e là e lacerati dalle infiltrazioni del terrorismo e dei talebani. «In realtà l’Iran» interviene ancora Gobadi «è l’unico Paese dell’area con una tradizione democratica importante, sarebbe un esempio per gli altri e sicuramente un grande aiuto per combattere il terrorismo sunnita del quale egli stesso è vittima». Lo Statodi Maryam Rajavi avrà ancheunsistema giuridico che si fonda sul principio di innocenza, del diritto alla difesa eall’equo processo. S’impegnerà a rispettare tutti i patti internazionali e sarà libero da armi nucleari e di distruzioni di massa. «Ma di sicuro» ha detto la Rajavi a Libero «la prima cosa chefarò una volta diventatapresidente sarà fare tornare la sovrantà popolare attraverso libere elezioni e instaurare la democrazia ».

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