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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Libero - Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.09.2013 Siria: i movimenti di Arabia Saudita, Russia, Israele, Iran in caso di intervento
cronache e commenti di Maurizio Molinari, Paolo Mastrolilli, Michael Sfaradi, Massimo Nava

Testata:La Stampa - Libero - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Paolo Mastrolilli - Michael Sfaradi - Massimo Nava
Titolo: «Riad guida il fronte arabo e mette all’angolo il Qatar - Putin contrattacca: solo chiacchiere le prove degli Usa - L’Occidente e il filo esile di un negoziato con Teheran»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 03/09/2013, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Riad guida il fronte arabo e mette all’angolo il Qatar ", a pag. 8, l'articolo di Paolo Mastrolilli dal titolo " Putin contrattacca: solo chiacchiere le prove degli Usa ". Da LIBERO, a pag. 13, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " E Tel Aviv si prepara all’evacuazione ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 3, l'articolo di Massimo Nava dal titolo " L’Occidente e il filo esile di un negoziato con Teheran" , preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Riad guida il fronte arabo e mette all’angolo il Qatar "


Maurizio Molinari      Re dell'Arabia Saudita

Arriva dall’Arabia Saudita il primo chiaro sostegno arabo all’intenzione di Barack Obama di punire il regime di Bashar Assad per l’uso dei gas. Il ministro degli Esteri di Riad, Saud al-Faisal, assicura che «condannare il presidente Assad non basta ed è arrivato il momento per la comunità internazionale di adottare misure capaci di porre fine alla tragedia»

 Ciò che più conta per Washington è che al-Faisal è riuscito a far convergere la Lega Araba, riunita al Cairo, su un documento in cui si chiede all’Onu di «punire i colpevoli del massacro con i gas» e «trattarli da criminali di guerra». Il Marocco è fa capire che potrebbe unirsi ad un’azione militare americana dichiarando che «quando l’America deciderà cosa fare, lo faremo anche noi» e anche il Pakistan - alleato di ferro dei sauditi - fa trapelare da alti funzionari a Islamabad di essere «potenzialmente preparato a unirsi ad una coalizione guidata da Obama».

Ciò significa che nel momento di massima difficoltà politica per la Casa Bianca, l’Arabia Saudita si rivela un alleato cruciale, consentendo a Obama di poter dire al Congresso di Washington che più Paesi musulmani potrebbero unirsi all’intervento contro il regime di Assad. Per Riad ciò significa essere riuscita a tornare da protagonista sul palcoscenico di Washington dopo oltre due anni di smacchi dovuti alla rivalità con l’Emirato del Qatar, che assieme alla Turchia aveva spinto l’amministrazione Obama verso il sostegno ai Fratelli musulmani egiziani acerrimi avversari della monarchia wahabita.

«Abbiamo assistito a un duello fra la tartaruga e la lepre» commenta Jonathan Schanzer, ex analista dell’intelligence al ministero del Tesoro a Washington, secondo il quale «il Qatar è stato abile e veloce nell’indurre la Casa Bianca a scommettere sui Fratelli Musulmani riuscendo a mettere in ombra i sauditi, da sempre il più stretto alleato arabo di Washington» ma «alla fine a prevalere è stata la tartaruga saudita perché il collasso della presidenza di Mohammed Morsi in Egitto ha demolito la credibilità del Qatar» e ora sulla crisi siriana «l’Arabia Saudita vede la Casa Bianca convergere sulle sue posizioni, da sempre favorevoli all’intervento militare».

Il nuovo equilibrio di forze si riflette anche nella coalizione dei ribelli anti-Assad perché Ghassan Hitto, sostenuto dal Qatar, è stato sostituito alla presidenza da Ahmed al Jarba, legato a doppio filo a Riad.

La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Putin contrattacca: solo chiacchiere le prove degli Usa "


Paolo Mastrolilli     Vladimir Putin

È battaglia sulle prove dell’attacco chimico lanciato a Damasco il 21 agosto scorso, con Mosca e Parigi che si sfidano, mentre i militari approfittano della pausa imposta alle operazioni dal presidente Obama per rafforzare gli schieramenti.

Il fronte del no all’intervento, guidato dalla Russia, ha risposto ieri alle accuse lanciate dal segretario di Stato Kerry sui test che d i m o s t r a n o l’uso del gas sarin, negandole. Il ministro degli Esteri Lavrov ha dichiarato che «la documentazione mostrata da americani, britannici e francesi non è convincente, e risulta inconclusiva». Quindi ha aggiunto: «Non siamo davanti a fatti, ma semplicemente a chiacchiere su quanto già si sa. Quando gli abbiamo chiesto di conoscere le prove, ci hanno detto che erano segrete. Non c’era nulla di specifico: coordinate geografiche, nomi, conferme che i test sui campioni sono stati condotti in maniera professionale. Questo non significa incoraggiare la cooperazione internazionale». Era difficile aspettarsi una posizione diversa da Mosca, anche perché l’intelligence americana non aveva l’interesse di confidare ai rivali i dettagli, per non rivelare metodi e fonti. Putin comunque ha avviato la macchina della propaganda, e sta considerando di inviare una delegazione parlamentare negli Stati Uniti, per convincere il Congresso a votare contro l’autorizzazione per l’uso della forza chiesta dal presidente. Questo è un assaggio di come cercherà di usare il vertice dei G20 in programma da giovedì a San Pietroburgo, per trasformarlo in un forum dove isolare gli Usa sulla Siria.

La Cina sostiene questa linea, all’Onu e in tutti i consessi internazionali. Infatti il ministero degli Esteri di Pechino ha ribadito la sua posizione: «Niente attacchi unilaterali, perseguiamo le soluzioni politiche». Gli ispettori del Palazzo di Vetro ieri hanno consegnato ai laboratori europei i campioni raccolti sul luogo dell’attacco, quindi l’interrogativo ora riguarda i tempi dei risultati. Kerry ha detto che sono irrilevanti, perché tanto confermeranno quanto già noto, visto che il mandato dell’Onu consente solo di accertare se le armi chimiche sono state usate, ma non assegnare colpe. Nei giorni scorsi, però, l’inviato per la Siria Brahimi ha detto che gli agenti vietati sono stati impiegati, e le eventuali prove fornite dal Palazzo di Vetro rafforzerebbero la mano di Obama.

Parigi intanto ha risposto a Mosca, confermando l’attacco. Il presidente francese Hollande, anche se spiazzato dalla mossa parlamentare di Obama, resta convinto della necessità di agire. Ieri, infatti, la sua intelligence ha presentato le proprie prove: «Uso massiccio e coordinato di agenti chimici, lanciati da posizioni tenute dal regime, che ha ucciso almeno 281 civili».

Washington nel frattempo non sta ferma. Il presidente ieri ha ricevuto i senatori repubblicani McCain e Graham, favorevoli a un intervento contro la Siria ancora più duro di quello pianificato, e ha sentito altri parlamentari per convincerli a votare in favore dell’uso della forza. La Casa Bianca sembrerebbe intenzionata a cambiare in parte la risoluzione inviata al Congresso. Intanto il collega israeliano Peres lo ha appoggiato, e il gruppo americano Aipac sta premendo sul Congresso per l’intervento. Obama ha ricevuto una mano anche dalla Lega Araba, che spinta dall’Arabia Saudita ha approvato una risoluzione con cui condanna Assad e sollecita la comunità internazionale a prendere le misure necessarie per fermarlo. Non è l’invito esplicito ad attaccare che avrebbero voluto gli Usa, ma è un via libera implicito, che consente all’amministrazione di sottolineare come il mondo arabo e le potenze regionali condividano la sua posizione. Gira anche la voce di un possibile secondo voto, in caso di novità significative, a Londra, (dove però sta nascendo un caso attorno alla vendita al regime di Assad da parte britannica, nel 2012, di elementi chimici «dual use» per produrre gas nervini come il sarin). Mentre il segretario della Nato Rasmussen ha detto di non avere dubbi sulla colpevolezza di Assad.

Forse non è ancora il consenso di cui ha bisogno Obama, che si giocherà la presidenza col voto in Congresso, ma intanto i militari continuano i preparativi: il Pentagono ha inviato nella regione la portaerei Nimitz, e Mosca la nave spia Pirazovye.

LIBERO - Michael Sfaradi : "  E Tel Aviv si prepara all’evacuazione"


Michael Sfaradi           Iron Dome

«Guardiamo la Siria e pensiamo all’Iran»: questo il senso dei titoli sulle prime pagine di pressoché tutti i maggiori quotidiani israeliani. Dopo il dietrofront del presidente Obama, i commentatori s’interrogano sulla possibilità che gli Stati Uniti in Medio Oriente stiano ormai “na - vigando a vista”, e però nella foschia più totale. Il tenore degli articoli sottolinea l’indecisione dell’amministrazione americana, e l’aver spostato navi e portaerei nel Mediterraneo per poi girare la patata bollente al Congresso - con il presidente che, com’è noto, chiederà il via libera per l’attacco - è vista in Israele come una dichiarazione d’impotenza. E il timore dello Stato Ebraico è che, a meno di qualche miracolo, nel prossimo futuro dovrà affrontare in solitudine la delicata questione del nucleare iraniano. In ogni caso, se l’America tentenna Israele ha invece le idee piuttosto chiare. Durante una riunione di emergenza del gabinetto di sicurezza tenutasi a Gerusalemme la scorsa settimana, è stato infatti dato mandato al Consiglio Regionale di Samariadi prepararsi ad assorbire incaso di necessità gran parte della popolazione di Tel Aviv e del suo hinterland. La regione potrebbe essere utilizzata come rifugio in caso di un attacco: gli esperti militari ritengono infatti che i nemici non rivolgerebbero le loro armi verso quella regione per via dell’alto rischio di colpire una città o qualche villaggio arabo. D’altro canto, è stato autorizzatoanche il richiamo diun numerolimitato di riservisti, specialisti N.B.C. e genieri della protezione civile. Mentre continua il dispiego delle batterie antimissile Iron Dome - tre sul confine a nord, due intorno alla striscia di Gaza e una proprio al centro di Israele - e delle batterie Patriot - principalmente a protezione delle grandi aree urbane di Tel Aviv, Gerusalemme e Haifa. La novità assoluta dal punto di vista militare è che questa crisi, nel caso l’Iran dovesse entrare in gioco con i suoi missili a lunga gittata, potrebbe portare al battesimo del fuoco del terzo sistema antimissile in dotazione all’esercito israeliano, il Ketz (che significa “freccia”), che fino ad ora è stato utilizzato solamente in esercitazioni e prove, ma che in questi giorni è stato messo in operatività e in stato di massimo allarme.

CORRIERE della SERA - Massimo Nava : " L’Occidente e il filo esile di un negoziato con Teheran "


Massimo Nava         Hassan Rohani

Non è ben chiaro come possa, Nava, scrivere che "Hassan Rohani è un moderato che, per quanto ancora atteso alla prova dei fatti, rappresenta una svolta rispetto all’oscurantismo corrotto del gigantesco apparato di fanatismo e terrore del predecessore Ahmadinejad". Finora le dichiarazioni di Rohani sono state tutte contro Israele. L'Iran manda armi ad Assad. Moderato?

L’effetto immediato della crisi siriana è l’impotenza di fronte a tutte le opzioni oggi sul tappeto. Dopo il fallimento delle «guerre umanitarie», nessun leader occidentale sembra disposto a premere il grilletto da solo: la ritrovata supremazia dei parlamenti nazionali per confortare decisioni difficili e impopolari è una prova di democrazia, leggibile anche come uno scarico di responsabilità. Le divisioni e l’incertezza dell’Occidente hanno definitivamente messo fra parentesi la pretesa supremazia di valori e mezzi e sconvolto i termini del cosiddetto «scontro di civiltà»: la partita più importante si gioca all’interno del mondo arabo-musulmano, sia sul fronte delle «primavere», sia nello scontro fra sciiti e sunniti, di cui la Siria è oggi il terreno più infuocato. L’Onu è ancora una volta bloccata dal diritto di veto di Russia e Cina. La Nato non può essere chiamata in causa se riflette le marce indietro di Stati Uniti e Gran Bretagna, mentre la Francia è rimasta con il classico cerino in mano. La Germania volta lo sguardo e aspetta le elezioni. L’Europa, come al solito, non batte colpi. Denunciare l’oscenità delle armi chimiche senza reagire immediatamente, provoca addirittura il sarcasmo di chi dovrebbe essere punito. Eppure, un esile filo potrebbe essere rintracciato in questa matassa ingarbugliata. Forse esiste una prospettiva, una strada tutta in salita, ma geograficamente e pragmaticamente più vicina al conflitto. La strada che porta a Teheran. Non è certo «la soluzione semplice di problemi complessi» di cui parlava Wittgenstein, ma può essere un approccio diverso e percorribile alla crisi siriana, nella direzione opposta a un catastrofico effetto domino in tutto in Medio Oriente. Ci sono alcuni dati su cui vale la pena di riflettere. Nell’Iran, dove — è bene ricordarlo — le rivolte della società civile sono scoppiate prima che nel Maghreb, il neopresidente Hassan Rohani è un moderato che, per quanto ancora atteso alla prova dei fatti, rappresenta una svolta rispetto all’oscurantismo corrotto del gigantesco apparato di fanatismo e terrore del predecessore Ahmadinejad. Cinquanta milioni di iraniani, nonostante il clima di repressione, si sono recati alle urne. La nuova leadership iraniana ha un disperato bisogno di rompere l’embargo economico, di dare risposte a milioni di giovani diplomati e senza lavoro, di rilanciare le esportazioni di petrolio, di utilizzare per lo sviluppo le enormi risorse di un Paese tragicamente impoverito, di uscire da un isolamento politico e morale che non corrisponde alle attese della giovane e articolata società civile. Proprio Rohani, ricordando che l’Iran ha pagato sulla propria pelle l’uso delle armi chimiche all’epoca della guerra con l’Iraq, ha subito espresso una ferma condanna di quanto avvenuto in Siria e ha fatto appello alla comunità internazionale perché venga impedito l’uso di questi ordigni. Il sostegno politico e militare dell’Iran alla Siria è la logica conseguenza di un «cartello» sciita che si è esteso fino a Baghdad, ma la nuova leadership iraniana non avrebbe interesse a trarre le estreme conseguenze — se non costretta — di un attacco a Damasco. Al contrario, un allentamento di questo sostegno segnerebbe un punto a favore nella lotta interna con i pasdaran e offrirebbe margini di manovra su altri dossier vitali per il Paese : l’embargo delle esportazioni, l’inflazione a due cifre e il programma nucleare civile. La tragedia della Siria, nonostante gli orrori delle armi chimiche, sconsiglia toni da crociata ed esaltazioni d’ideali di civiltà mortificate da giustificate prudenze politiche. Forse, sarebbe utile un approccio pragmatico, ai limiti del cinismo. Sarebbe l’occasione di medicare uno scontro politico, ideologico ed economico fra il regime degli Ayatollah e l’Occidente da cui — a ben vedere — sono scaturite alcune delle più grandi tragedie degli ultimi trent’anni. Mortificare il tentativo moderato e riformista di Rohani sarebbe il più devastante danno collaterale del vespaio siriano. Assad viene oggi paragonato a Hitler. La storia passata insegna che, per fermare Hitler, il mondo libero non ha esitato a scendere a patti con Stalin. La storia recente ci ricorda che anche Milosevic si riteneva protetto da Russia e Cina, almeno fino a quando la diplomazia intelligente ha fatto in modo che fosse lasciato al suo destino.

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