venerdi 10 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
06.03.2013 Infondata l'accusa di apartheid per la linea di autobus per lavoratori palestinesi
Ma Corsera e Repubblica ci cascano

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Davide Frattini - Fabio Scuto - Alessandra Baduel
Titolo: «Due popoli, due autobus. La linea 'per soli palestinesi' - In viaggio sul bus che divide Israele - Vogliono creare un mondo dove gli arabi non esistono»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/03/2013, a pag. 18, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Due popoli, due autobus. La linea «per soli palestinesi» ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-33, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " In viaggio sul bus che divide Israele ", a pag. 35, l'intervista di Alessandra Baduel ad Assaf Gavron dal titolo " Vogliono creare un mondo dove gli arabi non esistono ".

Il commento di IC alla questione degli autobus è contenuto nella 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di ieri (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=48315) e nell'articolo di Deborah Fait di questa mattina ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=70&id=48341 ).
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Due popoli, due autobus. La linea «per soli palestinesi» "


Davide Frattini, Yaakov Katz, ministro, ideatore della nuova linea di autobus
 

GERUSALEMME — Il 210 parte alle 4.30 dal valico di Eyal e viaggia per dieci fermate che tagliano il centro di Israele fino al sobborgo elegante di Ra'anana. I passeggeri sono partiti ancora prima. Al buio, spesso a piedi, hanno lasciato Qalqiliya, Tulkarem, Nablus, le città e i villaggi palestinesi: i pendolari dell'indigenza si ammucchiano al posto di blocco e aspettano di passare dall'altra parte, verso la speranza di una giornata di lavoro. Sono legali, hanno un permesso rilasciato dall'esercito.
Fino a lunedì hanno condiviso la corsa con gli altri abitanti della Cisgiordania, i coloni che vivono ad Ariel o negli insediamenti attorno e lavorano in qualche industria hi-tech nei dintorni innovativi di Tel Aviv. Adesso le linee 210 e 211 sono destinate agli arabi: attraversato il valico, i bus si fermano solo per lasciare scendere — all'andata — e gli stop al ritorno raccolgono gli stessi palestinesi.
Il sistema è stato lanciato dal ministero dei Trasporti dopo le richieste dei sindaci degli insediamenti. I residenti — hanno scritto nelle petizioni — sono preoccupati perché le corse «miste» aumenterebbero i rischi per la sicurezza e il pericolo di attentati suicidi. Le organizzazioni per i diritti civili accusano invece il governo di segregazionismo. Il quotidiano Haaretz intitola l'editoriale Nuove strade verso il razzismo e un altro commento Sul bus che porta all'apartheid. Assef Said, viceministro palestinese del Lavoro, protesta e il segretario del sindacato cisgiordano avverte: «questi pullman diventeranno il bersaglio per gli assalti degli estremisti israeliani».
Yaakov Katz — il ministro che ha preso la decisione, tra gli oltranzisti nel Likud di Benjamin Netanyahu — assicura che le nuove tratte sono a beneficio dei lavoratori palestinesi e promette di aumentare il numero quotidiano delle corse: «Fino ad ora sono stati taglieggiati da autisti privati e illegali, li costringono a pagare fino a tre volte di più». È quello che ammette Khalil, un muratore di Hebron intervistato da Haaretz: «Prima il viaggio mi costava 30 shekels (circa 6 euro) tra andata e ritorno. Adesso ne posso tenere in tasca quasi 20. Al giorno arrivo a guadagnarne 200, per la mia famiglia è un risparmio importante». A rimetterci sono i taxisti pirata che anche ieri hanno aspettato dall'altra parte del valico con i loro minibus e hanno protestato con la polizia di frontiera israeliana: «Così ci state rovinando il mercato».
I vantaggi economici per i lavoratori arabi — l'esercito calcola che alla fine del 2012 quelli registrati erano 73 mila — non eliminano le perplessità delle associazioni israeliane. Yedioth Ahronoth, il quotidiano più venduto, titola Separati ma uguali?, anche l'avvocato Michael Sfard — attivista, nipote del sociologo Zygmunt Bauman — riprende il simbolo di Rosa Parks e le sentenze della Corte Suprema americana. «L'idea che persone di colore o religione diversa possano stare meglio sugli autobus apposta per loro è stata respinta negli Stati Uniti sessant'anni fa — dice al giornale Christian Science Monitor —. Questo regime di separazione è basato su identità etniche o nazionali ed è organizzato dal gruppo dominante con l'obiettivo di rafforzare e mantenere questo dominio».
Il governo israeliano ribadisce che ai palestinesi non è proibito salire su altri autobus, che il resto delle linee continua a funzionare come prima. Le volontarie di Machsom Watch, l'organizzazione di donne israeliane che monitora l'attività di polizia ed esercito ai posti di blocco, ricorda però i casi di lavoratori arabi fermati e fatti scendere dai pullman perché devono essere identificati e perquisiti per poter viaggiare in Israele.

La REPUBBLICA - Fabio Scuto : " In viaggio sul bus che divide Israele "


Alla fermata dell'autobus

UNA pattuglia dell’esercito israeliano controlla che non ci siano tafferugli alla nuova fermata del pullman numero 211, il “bus della vergogna”: così i gruppi per la difesa dei diritti umani hanno ribattezzato la linea della compagnia “Afikim”, destinata solo ai pendolari palestinesi.
Non si era ancora levato il sole, ieri, quando si sono accesi gli stop del bus bianco e verde che si è fermato sulla piazzola a lato dell'incrocio, appena superato il check-point di Eyal, uno dei punti di uscita dalla Cisgiordania per i palestinesi che possono andare a lavorare in Israele. Intirizziti dal freddo secco del mattino, qualche centinaio di pendolari con il fagotto del pranzo sotto il braccio e il permesso di lavoro in mano, aspettano mestamente sotto una tettoia. C'è un borbottio, quasi sommesso, poi comunque si forma una coda per salire sul bus, tutti vengono perquisiti dalla sicurezza. Una pattuglia dell'esercito israeliano a distanza controlla che non ci siano tafferugli alla nuova fermatade pullman numero2 11, il"busdella vergogna": cosl i gruppi perla difesa dei diritti umani hanno ribattezzato questa nuova linea della compagnia "Afikim", destinata solo ai pendolari palestinesi. Una decisione, quella del ministro dei TrasportiYisrael Katz, che ha suscitato lo sdegno di molti israeliani-per leanalogie con l'America segregazionista degli Anni Cinquanta, con il Sudafrica prima di Mandela - e la rabbia del governo dell'Anp che denuncia la nuova apartheid". Una politica di segregazione razziale adottata da tutti i governi israeliani», accusa il viceministro palestinese per il Lavoro, Assef Said. La tensione sale pericolosamente e l'altro ieri notte due bus della compagnia destinati a queste linee speciali sono stati bruciati nel posteggio di Kfar Qassem. Il servizio, che per ora ha solo due linee, è stato lanciato lunedl scorso dopo le proteste mosse dai coloni israeliani del vicino insediamento di Ariel -anche se da quel che si vede dalla Highway numero 5, Ariel sembra più una cittàcon i suoi quasi 50 mila"settlers" residenti - che si sentivano minacciati dalla presenza degli arabi alla fermata o a bordo dei bus usati anche da loro. Fino a domenica scorsa i lavoratori palestinesi, dopo aver passato il check. point di Eyal, raggiungevano a piedi una fermata dei mezzi pubblici poco distante dall'ingresso di Arie! per poi prendere insieme agli israeliani un mezzo diretto a Tel Aviv e alla piana di Sharon, dove centinaia di piccole aziende impiegano gran parte dei 29 mila palestinesi che hanno il permesso di lavoro in Israele. Un tempo gli operai arrivavano a decine di migliaia da Gaza e dalla Cisgiordania, poi con l'Intifada nel 2000 e l'ondata di attentatori suicidi palestinesi, il numero di lavoratori a cui è stato concesso di entrare in Israele è precipitato, così come gli stipendi che gli vengono pagati. E oggi con una disoccupazione media del 30 per cento e un salario che in Cisgiordania è la metà di quello medio degli israeliani, un permesso di lavoro in Israele è comunque una manna. intere fdmfiglie vivono solo di questo reddito che è poco meno di mille dollari al mese. «Questi autobus sono una vergogna, è solo l'ultima umiliazione che ci infliggono», dice pacato Gamal, ingegnere meccanico presso una ditta israeliana di Haifa. «Ma chi ha famiglia come me non può fare altrimenti e deve subire. Ma fino a quando?». Ibrahim, che viene da Bidya, racconta: «Hanno distribuito dei volantini per il mio villaggio annunciando questa novità; ci stanno rendendola vita impossibile, io vivo lontano da questo check-point e per arrivare fin qui c'è un'ora e mezzo di macchina da fare. Oggi mi sono alzato alle quattro per essere sicuro di poter prendere questo maledetto autobus; se lo perdo, perdo anche la giornata al lavoro». Il ministero dei Trasporti israeliano ha già respinto le accuse di razzismo mosse dall'organizzazione israeliana per i diritti umani B'tselem, sottolineando la sua intenzione di rafforzare la sicurezza dei passeggeri (ebrei) e di voler contrastare i trasporti illegali, cioè i furgoncini israeliani abusivi che trasportano i lavoratori palestinesi fino a Tel Aviv per 40 shekel: una rapina per chi ne guadagna meno di 200 al giorno. Ma il direttore di B'tselem, Jessica Montell, ribatte che la creazione di autobus separati «è solo razzismo, tale piano non pub essere giustificato con le pretese esigenze di sicurezza o sovraffollamento». Il presidente del partito di sinistra Meretz ha scritto al ministro dei Trasporti per chiedere di cancellare le "linee dell'apartheid": «La segregazione sugli autobus dimostra che l'occupazione e la democrazia non possono coesistere: era una consuetudine in passato dei regimi razzisti in tutto il mondo ed è inaccettabile in un Paese democratico». Anche se per legge a un palestinese con il permesso di ingresso in Israele non puòessere impedito di viaggiare su autobus di linea, da tempo la polizia si sta preparando per far rispettare la segregazione. Di conseguenza, non è difficile che a un palestinese che raggiunge un posto di blocco su un autobus di linea israeliano verrà chiesto di scendere e aspettare l'autobus speciale, quello della "vergogna". Racconta Fawzi, che fa l'ebanista vicino Lod, che giovedl della settimana scorsa, un autobus carico di passeggeri è stato fermato al posto di blocco nei pressi dell'incrocio di Shomron Shaar. Al controllo delle carte di identità, è saltato fuori che tutti i passeggeri erano palestinesi: gli era stato ordinato di lasciare il terminale e raggiungere a piedi l'altro check-point, quello di Azoun-Othma, a quasi 3 chilometri di distanza. A nulla sono servite le proteste dei passeggeri, secondo la polizia gli agenti hanno semplicemente eseguito le istruzioni ministero dei Trasporti. Anche se molti sono gli indignati - Haaretz ieri titolava in prima pagina "Le nuove strade del razzismo" - questa solo la punta di un iceberg. Nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est la segregazione tra i passeggeri israeliani e palestinesi su mezzi di trasporto pubblico non è certo nuova. A Gerusalemme, dalla stazione centrale partono le linee che collegano la Città Santa a Tel Aviv, Haifa, il Mar Morto e a diversi insediamenti israeliani in tutta la Cisgiordania. Questi autobus - riconoscibili dal colore verde brillante - non devono fermarsi ai posti di blocco, i passeggeri sono solo cittadini israeliani, soldati e coloni. Alcuni di questi autobus, quelli diretti agli insediamenti che sono fortemente sovvenzionati dal governo israeliano, spesso percorrono la città mezzi vuoti. È facile per questi pullman avere un orario prestabilito di arrivi e partenze; la stazione centrale è confortevole, c'è l'aria condizionata e anche un McDonald's kosher. Per viaggiare da Gerusalemme in una città palestinese in Cisgiordania, gli scassati mini-bus bianchi partono dalla stazione di Nablus Road: è all'aperto, caotica e trasandata, quasi nascosta dietro alla Città vecchia. Questi bus collegano Gerusalemme a Ramallah, Nablus, Betlemme e molte altre piccole città e villaggi palestinesi. Devono perciò passare attraverso diversi posti di blocco, dove spesso tutti i passeggeri sono costretti a scendere mentre i soldati israeliani verificano la loro identità per assicurarsi cheessi non siano dove non dovrebbero essere. Nessuna di queste linee è sovvenzionata dal governo israeliano: per risparmiare partono dal capolinea solo quando i mezzi sono pieni, spesso troppo pieni, con i passeggeri in piedi tra i sedili. Impossibile per questi minibus avere un orario regolare, e per i passeggeri sapere quando si parte e quando si arriva. "Inshallah", dicono i palestinesi, ma non sorridono e non sono contenti.

La REPUBBLICA - Alessandra Baduel : " Vogliono creare un mondo dove gli arabi non esistono "


Assaf Gavron

«Se per anni e anni sali su un autobus dove ti maltrattano, magari va a finire che non ce la fai più e quando te ne assegnano uno tutto per te sei pure contento, anche se l'idea che c'è dietro è sbagliata.. Lo scrittore israeliano AssafGavron sceglie un punto di vista provocatorio, per commentare gli autobus "per palestinesi" inaugurati lunedì che hanno suscitato proteste e accuse di razzismo e apartheid, da parte di israeliani oltre che delle autorità e dei sindacati palestinesi. «Sono con chi protesta., precisa Gavron, che nel suo libro La mia storia, la tua storia ha cercato di immedesimarsi sia in un israeliano sopravvissuto a più attentati che in un palestinese sospettato di essere un terrorista, partendo dal punto di vista, costantemente terrorizzato, di un passeggero di uno di quegli auto-buschesono stati spesso oggetto di attentati aTel Aviv. Gavron, da cosa nasce un'iniziativa simile? «Da una brutta atmosfera, un'idea orribilee un luogo molto negativo. I coloni nonvivono bene con i palestinesi e i palestinesi vengono maltrattati da tutti, anche sugl i autobus. L'idea di crearne alcuni apposta per loro è analoga a quella dell'anno scorso, molto imbarazzante, che riguardava ledonne, da tenere separate, secondo gli ultraortodossi, sempre sugli autobus. In entrambi i casi si tratta di discriminare un gruppo su un mezzo di trasporto. Anche se ci sono molte differenze, una soprattutto: ll si trattava di religione, qui si tratta di politica. Ma io insisto, bisogna sapere com'è la vita di tutti i giorni, la vita reale delle persone, prima di giudicare. Una contraddizione rischia di diventare una cosa buona alla fine, nonostante tutto.. I palestinesi però protestano e l'altro ieri notte due di quegli autobus sono stati Incendiati. «Sono dalla loro parte. Non sono con chi incendia autobus, naturalmente, ma-con chi è contro il razzismo insito in un fatto del genere. Il problema è che gli israeliani continuano a cercare di creare un mondo nel quale i palestinesi non esistono, non si vedono, sono stati cancellati. Macondividiamo lastessa terraedovremmo invecevederci, guardarci l'un l'altro, condividere la vitae anche l'autobus, naturalmente.. Trova similitudini con gli Stati Uniti degli anni Cinquanta,dovesui bus i neri dovevano viaggiare separati dai bianchi? Il movimento di Martin Luther King partì da Il. «Non mi piace fare paragoni, cercare analogie, parlare di altre proteste. La nostra una situazione molto specifica. Il presente israeliano èdavvero peculiare. Adesso è in arrivo un nuovo governo, credo un poco meno peggio del precedente. Ci sarà presto la visita di Obama e almenouna partedi questo nuovogovemodovrebbevolerriaprireildialogo con i palestinesi. Sono in pochi avolerlo, ma forse lasituazionealmeno in parte migliorerà, sebbene ci sia sempre Netanyahu». Delle paure dei coloni, cosa pensa? «Certo gli attentati, agli autobusealtrimenti, ci sono stati, ma da due anni va molto meglio. E io capisco la paura, senza dubbio, ma va detto che ha origine sempre nella stessa cattiva idea: non voler vedere i palestinesi. Però, anche in questo caso, bisogna guardare le vite vere. oltre ai tanti coloni che vorrebbero escludere dal loro mondo i palestinesi, nei Territori occupati ci sono anche coloni che lavorano e vivono con loro: sono amici, passano il fine settimana insieme. Sono una minoranza ma esistono e bisogna tenerne conto, prima di giudicare. Le situazioni vanno guardate da vicino, accettando la loro complessità e studiandola. Nei miei libri, cerco di fare proprio questo. È il mio modo di essere ottimista, e di combattere ogni razzismo».

Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Repubblica, cliccare sulle e-mail sottostanti


lettere@corriere.it
rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT