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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale - Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
15.11.2012 Israele risponde ai razzi da Gaza con l'omicidio mirato del terrorista di Hamas Ahmed Jabari
commenti di Fiamma Nirenstein, Giulio Meotti. Intervista ad A. B. Yehoshua di Francesca Caferri

Testata:Il Giornale - Il Foglio - La Repubblica
Autore: Fiamma Nirenstein - Giulio Meotti - Francesca Caferri
Titolo: «Israele attacca Gaza, minacce di guerra - Sono nostri nemici la guerra è inevitabile»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 15/11/2012, a pag. 13, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Israele attacca Gaza, minacce di guerra ". Dal FOGLIO, a pag. I, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Gli strateghi dei missili ". Da REPUBBLICA, a pag. 17, l'intervista di Francesca Caferri a A. B. Yehoshua dal titolo "Sono nostri nemici la guerra è inevitabile".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Israele attacca Gaza, minacce di guerra"


Fiamma Nirenstein      Il terrorista di Hamas Jabari e la sua macchina in fiamme

Ci ha pensato a lun­go il governo israe­liano prima di sferra­re l’operazione
Amud Ashan ,
colon­na di fumo, con l’uc­cisione mirata del capo del braccio ar­mato di Hamas, Ah­mad Jabari, respon­sabile di un numero di assassinati israe­liani che si conta a centinaia e anche «carceriere» del sol­dato Shalit. Le con­seguenze saranno dure: già piovono molti missili Grad sulla città di Beer­sheba, il cielo sul de­serto del Negev è percorso da strisce di livida lu­ce, la gente è nei rifugi anche nel resto del sud d’Israele; Gaza vi­ve a sua volta una notte da incu­bo, l’aviazione colpisce i deposi­ti dei missili Fajr 5 e forse altri due capi di Hamas sono stati uc­cisi. Hamas ha dichiarato che per gli ebrei «si aprono le porte dell’inferno»;il Sinai è tutto per­corso dal terrore antisraeliano, ora a caccia; l’Iran potrebbe or­dinare agli Hezbollah, al nord, di aprire il fuoco; e l’Egitto del presidente Morsi, che prima ha chiesto a Israele di cessare gli at­tacchi e in serata ha richiamato l’ambasciatore, può reagire in maniera furiosa in difesa di Ha­mas, anch’esso parte dei Frate­l­li musulmani.
Jabari se ne andava in giro in macchina in pieno giorno, evi­dentemente sicuro che Netan­yahu non avrebbe osato o non avesse le informazioni giuste, oppure che il suo viaggio al Nord insieme a Ehud Barak testi­moniasse un disinteresse per Gaza.Eppure l’avviso era venu­to diretto e preciso sia dal pre­mier che da Barak: «Agiremo quando meno se l’aspettano,co­me vorremo, quando vorre­mo ».E ancora,rivolto agli amba­sciatori convocati a Ashkelon: «Nessun Paese al mondo po­trebbe accettare che la sua popo­lazione
sia bombardata ogni giorno, Hamas deve smettere pena la fine». L’alternativa era fra un’invasione da ter­ra come nel 2008-2009 o un urlo deciso fino al­l’orecchio di Ismail Hanje, il primo mini­stro, e gli altri capi di Ha­mas: è proibito sparare missili su un milione e mezzo di cittadini inno­centi del sud d’Israele. L’aviazione israeliana ha seguitato per qual­che ora a tempestare i depositi di armi e razzi, specialmente di missi­li Fajr 5 di lunga gittata, e le installazioni milita­ri; il numero di morti, pari per ora a dieci, sembra indicare che il governo rispetto a un’operazione di terra con mol­te vittime e reazioni internazio­nali imprevedibili, preferisca in­tervenire dall’aria. In questi giorni, il sud di Israele aveva su­bito una pioggia di 190 missili. «Missili di tipo nuovo»ci spiega­va qualche ora fa nel suo kibbu­tz attaccato a Gaza, Kfar Asa, il parlamentare di Kadima Shai Hermesh mostrando a un grup­po di parlamentari italiani in vi­sita mura ferite, alberi spezzati, grandi buchi rotondi nel soffitto delle case da cui la gente è fuggi­ta mentre la sirena urlava «colo­re rosso », tzeva adom , con i bam­bini in braccio; «missili più gros­si che presto arriveranno a Tel Aviv.L’Iran li ha riforniti,le mu­ra spesse venti centimetri non bastano. Abbiamo fornito a ogni casa un rifugio con quaran­ta centimetri di muro e finestre blindate. Abbiamo solo quindi­ci secondi per raggiungerlo, ma il governo ha speso 250 milioni in due anni per proteggere tut­ti ». Questa è la ragione per cui i morti non sono tanti, spiega be­ne Hermesh, e certo non la soli­ta propaganda per cui quei mis­sili non fanno tanto male. A Ga­za mettono i loro bambini da­vanti ai combattenti, noi abbia­mo rifugi per tutti, insiste. Her­mesh ci mostra un asilo chiuso e blindato dove decine di bambi­ni di tre e quattro anni passano tutto il tempo; non si va mai al­l’aria aperta. Per gli adulti, il la­voro è in rovina, niente negozi aperti, niente passeggiate, uffici chiusi, e tutto questo punteggia­to­da distruzioni e danni a scuo­le e case. Dice Adriana Katz, psi­chiatra di Sderot, città colpita: «Le sindromi gravi che curiamo nei bambini e nella popolazio­ne sono sconosciute, perché non si tratta di “post trauma”:ap­pena stai un po’ meglio ti cade addosso un altro missile, e il trauma si rinnova. Niente “post”».
Ad ogni ora un nuovo perso­naggio del governo egiziano rin­nova la minaccia di guerra, tut­to il vicinato minaccia. La notte che si avvicina, dice Hermesh, sarà molto dura, pioverà fuoco qui, ma la gente è decisa a torna­re a una vita di pace, vuole ferma­re i missili. Difficile da capire per l’Europa? Difficilissimo!

www.fiammanirenstein.com

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Gli strateghi dei missili "


Giulio Meotti

Terminated”. Così l’esercito israeliano ha commentato l’eliminazione di Ahmed Jaabari, leader delle brigate Ezzedin al Qassam, braccio armato di Hamas al potere dal 2007 nella Striscia di Gaza. Il premier, Benjamin Netanyahu, aveva detto, dopo il lancio di 200 missili sulle città meridionali dello stato ebraico: “Chiunque pensi di poter attentare alla vita quotidiana degli israeliani del sud e non pagare per questo un prezzo alto, si sbaglia”. Dall’inizio della seconda Intifada a oggi, Israele ha realizzato 234 omicidi mirati. Le condizioni sono che l’arresto sia impraticabile, che gli obiettivi siano combattenti, che il governo approvi l’operazione, che minime siano le vittime civili e che si identifichino gli obiettivi come delle minacce future. E’ fissato a 3,14 il numero “accettabile” di vittime civili per terrorista. L’operazione Jaabari rientra in questi parametri. Per anni non si sapeva neppure che faccia avesse Jaabari. Fino al rilascio del caporale Gilad Shalit un anno fa. Jaabari si è fatto fotografare al suo fianco durante l’operazione di scambio dei prigionieri con Israele. Noto a Gaza come “il generale” e “il capo di stato maggiore”, Jaabari si muoveva quasi sempre senza scorta, a causa dei molti informatori pagati da Israele per tradire i capi di Hamas. Saleh Shehada, lo shaykh Yassin, Ayyash e Abd al Aziz al Rantisi sono stati tutti assassinati grazie a informazioni fornite da palestinesi. I servizi di sicurezza palestinesi calcolano, in eccesso, il numero di collaboratori reclutati da Israele nel tempo in ventimila persone. Jaabari dopo il 2007 era addetto alla eliminazione dei sospetti collaborazionisti, e anche degli uomini di Fatah. Molti i gradi di collusione: Jesous (spia), Madsus (impiantato), Amil (agente), Matawin (collaborazionista) e Unsur Munshur (sospetto). Nel 2004 Israele uccide un altro figlio di Jaabari, Mohammed. Poi butta giù una moschea dove Jaabari andava a pregare. Ma il terrorista sfugge sempre ai caccia F-15. Fino a ieri. Jaabari lascia tre mogli, di cui una è la figlia del pediatra Abdel Aziz Rantisi, il successore dello sceicco Yassin, tutti e due uccisi dagli israeliani nel 2004. Rantisi aveva un programma di governo molto semplice adottato dalla milizia di Jaabari: “In nome di Dio, non lasceremo un solo ebreo in Palestina, combatteremo con tutta la nostra forza: questa è la nostra terra e non è degli ebrei”. Jaabari ha sempre vissuto in clandestinità e si era costruito un circolo protetto, fatto di legami ideologici e di sangue. Il primogenito ha sposato la figlia di Salah Shehade, il capo militare di Hamas, anche lui “terminated”. A lui Jaabari ha intitolato l’accademia militare dove ha addestrato l’esercito islamista. L’uomo adesso in cima alla lista dei “morti che camminano” è il capo di Jaabari, Mohammed Deif, anche noto come “l’ingegnere”. Nel 1996, quando l’aviazione israeliana uccise Yihia Abu Ayash, il terrorista che aveva assassinato almeno 67 israeliani con i suoi micidiali congegni al tritolo affidati ai “martiri” di Hamas, in centomila i palestinesi accorsero a piangere e a gridare sul corpo di Ayash, esaltato in quanto “santo”. Nelle stesse ore il pupillo di Ayash, Mohammed Deif, ereditava il titolo di “ingegnere” della morte prendendo il posto del maestro nell’olimpo del terrore di Hamas. Sul nome di Deif, l’uomo che prima reclutava i kamikaze e che poi avrebbe messo a punto i missili Qassam, dal 1994 c’è incollata una bomba a orologeria israeliana. Da allora il capo militare di Hamas sfida la morte tutti i giorni. E’ l’uomo più ricercato e temuto nella Striscia di Gaza. Prima dell’operazione Piombo Fuso del 2008, Deif aveva fatto una rarissima e straordinaria apparizione in video, coprendo Israele di minacce: “Riconquisteremo col fuoco Acco, Giaffa, Safed, Beersheba, Ashkelon…”, annunciando che “tutta la Palestina diventerà un inferno per gli ebrei”. Deif è l’unico sopravvissuto nel mazzo di carte diffuso da Israele nel 2003 sui capi di Hamas. Di quel mazzo oggi non resta nessuno in vita: Ahmed Yassin, il profeta disabile, è stato ucciso nel 2004; il suo successore, il pediatra Abdel Aziz Rantisi (quadri) è stato eliminato nel 2003, come il braccio destro di Deif, Adnan al Ghoul (fiori). Anche la “regina di cuori” è stata cancellata da una eloquente striscia rossa sotto la quale compare la effigie di Ismail Abu Shenab, ucciso a Gaza da razzi israeliani. La carriera, dentro Hamas, si misura sull’odio che si è capaci di esprimere e sulla abilità nel preparare attentati e di terrorizzare la popolazione israeliana. Deif e Jaabari eccellono in entrambe le discipline. Deif è il capofila della generazione di oltranzisti opposta a quella dei “pragmatici” di Ismail Haniyeh, l’ex capo di gabinetto dello sceicco Yassin oggi premier a Gaza. Hamas da tempo soffre di una frattura interna alimentata anche dagli stati islamici circostanti: l’ala dura è alleata dell’Iran e di Hezbollah, mentre la parte di Haniyeh è sensibile al richiamo della culla sunnita, alla cui testa siede l’emiro del Qatar, reduce da un recente viaggio a Gaza. Governare un lembo di terra “sacra all’islam” o continuare con il terrorismo e il rischio di perdere la prima? E anche nella guerra, tregua o a oltranza? Per Deif e Jaabari bisogna privilegiare la seconda strada. Così in questo anno sono piovuti sullo stato ebraico 858 missili, senza considerare i 110 intercettati dai sistemi antirazzo d’Israele “Iron Dome”. Nel “tranquillo” 2011 ne sono caduti in totale 676, con una media di due al giorno. Ed è stato un anno tutto sommato buono, se pensiamo che nel 2008, prima della guerra Piombo Fuso, i terroristi islamici ne hanno lanciati oltre tremila. Deif e Jaabari non hanno esitato a stringere alleanze con gli altri gruppi terroristici, salafiti, qaidisti e il Jihad islamico. Il capo di Hamas, Khaled Meshaal, con l’annuncio delle dimissioni ha aperto una faida interna al movimento islamista fra gli estremisti e chi cerca la riconciliazione con l’Anp di Abu Mazen, vuole partecipare alle elezioni e prendere la guida dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Deif guida la prima fazione e pensa che Hamas debba usare Gaza per fare la guerra al resto di Israele. Deif odia il potere statuale di Abu Mazen, tanto che nel 2009 Hamas mise in giro la voce che la Cia avesse collaborato con il presidente palestinese per tentare di uccidere Deif. “Noi siamo un popolo – ha detto Deif – che crede che il vero riposo possa essere goduto soltanto in paradiso. In questo mondo terreno abbiamo l’obbligo di combattere: fino alla morte da martiri, oppure fino alla vittoria”. L’apertura del valico di Rafah ha permesso ai suoi miliziani di raggiungere il territorio egiziano e accogliere dall’estero consiglieri stranieri. L’ex capo di stato maggiore israeliano, generale Moshe Yaalon, vicepremier oggi al governo, ha detto che “Gaza è divenuta un Hamas-stan, un Hezbollah-stan, un al-Qaida-stan”. Deif è a capo di una ristretta cerchia di “studenti dell’ingegnere”, che in nome della vendetta e della guerra santa portano il terrore nel cuore di Israele. Detto anche l’“imprendibile” e da altri “il sopravvissuto”, nessuno come Deif è da così tanto tempo sulla scena del terrore. Dal settembre 2002, quando scampò al terzo tentativo d’eliminazione, il suo volto è un mistero (esiste soltanto una dubbia fotografia sbiadita). Quella volta sopravvisse ai due missili che dilaniarono la sua auto e due compagni di viaggio, ma ci rimise un occhio e un lembo della faccia. I servizi di sicurezza israeliani speravano di segnare una “X” in rosso sul suo nome dopo averlo rintracciato. Deif è ritenuto responsabile della maggior parte dei sanguinosi attentati compiuti da Hamas in Israele. Quando nel 2002 provarono ad assassinarlo, il dottor Rantisi andò sugli schermi di al Jazeera a dire: “Le porte dell’inferno si sono aperte per Israele”. La stessa frase ripetuta ieri a Gaza per Jaabari. A ogni assassinio mirato dell’aviazione israeliana, i palestinesi si riversano nelle strade e cantano “Deif, Deif, Deif”. Da allora, il capo delle squadre omicide di Hamas ha sviluppato una paranoica mania per la sicurezza. Deif comunica solo con un pugno di fedelissimi. Spostarsi di continuo serve a sopravvivere e a controllare i complessi rapporti di forze tra la sua cellula, misteriosa anche all’interno delle stesse Brigate al Qassam, e le altre anime di Hamas. Deif discute alla pari con Khaled Meshaal e la dirigenza in esilio nell’emirato del Qatar, ignora il premier Haniyeh e collabora con i movimenti vicini ad al Qaida attivi intorno alla città egiziana di El Arish, appena oltre il valico di Rafah. Nel 1996 Deif ha ucciso venticinque persone su un bus a Gerusalemme. Nel 1998 ha ucciso anche tre cittadini americani in missione diplomatica a Gaza. Pare sia sua l’idea che gli aspiranti “martiri”, prima dell’operazione, debbano andare a sera nel cimitero, e vestiti di bianco scavare accanto due tombe gemelle, le proprie tombe. Poi scendere, fianco a fianco, nella terra fredda e passarvi la nottata. Provare il silenzio, il buio, la compagnia dei defunti, e dall’esperienza del corpo giungere al superamento della paura, giungere alla percezione di sé come di eroi pronti a tutto. Storicamente la leadership di Hamas è affidata dalla base a personaggi noti per la loro modestia, umiltà e fede religiosa. A differenza degli altri leader di Hamas a cui non dispiacciono le interviste, Deif e Jaabari non appaiono mai. Chi lo conosce dice che Deif ama soltanto fare una cosa: “Stare seduto e leggere il Corano”. Alon Ben-David, analista militare della tv israeliana, ne parla come se fosse James Bond in “Skyfall”: “Il principale talento di Deif è sopravvivere”. Varie leggende lo circondano. Una vuole che sia rimasto disabile nel raid che lo ha quasi ucciso nel 2002. Si dice che Deif si vesta da donna e da imam per eludere i controlli occhiuti dello Shin Bet, il servizio segreto di Gerusalemme. Secondo il quotidiano Maariv, Deif è “leggenda” fra i palestinesi. Anche perché l’ultimo a essere sopravvissuto. Deif negli anni ha forgiato un’ideologia galvanizzante tramite una disciplina di ferro e risorse a non finire. Così è nato il mito delle brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato di Hamas diventato una specie di milizia popolare. A differenza dalle Brigate dei martiri di al Aqsa di al Fatah, sempre più coinvolte in prevaricazioni e in liti personali, i miliziani di Deif sono di rado al centro di scandali pubblici. L’ingegner morte comanda il terrore tramite pochi comandanti di zona: nel sud il capo delle forze islamiche è Muhammed Abu Shemaleh; a Khan Yunes, Muhammed Sanwar; a Gaza, Raed Saad; e nel nord della striscia Ahmed Ghandor. Deif e Jaabari hanno trasformato l’intera Striscia di Gaza in una pista di lancio dei loro missili. Buche profonde tra gli ulivi e gli alberi d’arancio, tettoie di legno e lamiere, tutto serve a camuffare i razzi Qassam da loro congegnati. I missili sono comandati anche a distanza con un telefonino, il cellulare squilla e funge da detonatore. Jaabari e Deif sono andati a imparare da Hezbollah, che coi katiuscia hanno terrorizzato il nord d’Israele. E loro hanno spinto perché i missili diventassero anche la nuova arma strategica di Hamas. Da quando Israele ha ritirato i settler da Gaza nel 2005, Hamas e gli altri hanno lanciato 15 mila missili sul sud dello stato ebraico. Oggi “l’ingegnere”, assieme al defunto Jaabari, incarna il paradosso di Hamas: governare Gaza o usarla per il jihad? La resistenza islamica ha uffici politici e gestisce istituzioni, accoglie gli emiri del Golfo, ma restano più forti le spinte che nascono dalla base e dalla memoria dei “martiri”. Da quanti pagano il prezzo più alto nella guerra agli ebrei. Non essendo nei territori palestinesi i capi dell’esterno, come Marzouk e Meshaal, hanno il vantaggio di non patire la pressione israeliana e lo svantaggio di essere privi di una reale base popolare. Deif e i suoi continuano a fare guerra sue due fronti: a Israele e ai fratelli palestinesi di Fatah. Due fronti uniti dallo stesso grandioso progetto. “Vi cacceremo anche dalla Cisgiordania”, hanno detto gli uomini di Deif in un messaggio al presidente Abu Mazen, defenestrato da Jaabari da Gaza nel 2007. Così l’ingegnere potrà portare le sue piste di lancio sui ruderi dell’ex insediamento ebraico di Peduel, che Ariel Sharon era solito chiamare “il davanzale di Tel Aviv” e che in ebraico significa “il riscatto di Dio”. Da lì si gode una fantastica vista dello skyline della Borsa israeliana e dell’aeroporto internazionale Ben Gurion. A Deif basta un rpg per buttare giù un volo di linea della El Al.

La REPUBBLICA - Francesca Caferri : " Sono nostri nemici la guerra è inevitabile"


A. B. Yehoshua                             Francesca Caferri

«È tempo che Israele riconosca che Gaza è un nemico. Ed agisca di conseguenza: smetta di fornire elettricità e far passare cibo. Dichiari ufficialmente che siamo in uno stato di guerra e agisca di conseguenza». Parole che non ti aspetti da Abraham Yehoshua, uno degli scrittori israeliani più famosi della sua generazione, a lungo icona del pacifismo. Oggi, deciso sostenitore della necessità di un intervento armato contro Gaza.
Signor Yehoshua, tornano le esecuzioni mirate. Qual è la sua reazione?
«Sono per principio contrario alle esecuzioni mirate. Non risolvono la questione. Questa azione arriva dopo giorni e giorni di lancio di missili sulle nostre città: e non credo cambierà nulla da questo punto di vista. Il fuoco continuerà e quindi questa sarà stata un’azione inutile. È questa considerazione che mi porta a dire che non si può trattare con Gaza come se fosse un territorio occupato o un gruppo di terroristi: Gaza è un nemico e come tale va trattato».
Cosa intende?
«Israele fornisce elettricità a Gaza, fa passare dal suo territorio cibo diretto a Gaza: e loro ci sparano. Se a spararci fosse la Siria, reagiremmo militarmente, non con esecuzioni
mirate».
Sta invocando una guerra?
«Parliamo di uno Stato, che ha un suo esercito e lo usa contro di noi. Ha un senso scegliere quali sono i cattivi in questa situazione ed eliminare solo loro? Non funziona, lo abbiamo già visto. La situazione va chiarita una volta per tutte».
E quindi?
«Io non sono un militare, non posso fare strategie: posso dire che siamo già in uno stato di guerra, ci sono lanci di missili contro Israele tutti i giorni. Dobbiamo dichiarare ufficialmente che siamo in guerra ed agire di conseguenza. Non si può trattare Hamas come un gruppo terroristico: è un governo e deve essere considerato responsabile delle sue azioni».
E la gente? I civili? Lei sa bene che i civili sono sempre le prime vittime di una guerra.
«Le rigiro la domanda: la gente di Gaza pensa alla gente di Sderot, che vive sotto l’incubo dei missili lanciati da Gaza? La gente di Gaza sta partecipando alla guerra contro Israele: abbiamo ritirato i coloni, siamo andati via, perché continuano a spararci? È la gente di Gaza che ha eletto il governo di Hamas, che - lo ripeto - è un governo responsabile delle sue azioni. In Israele questa situazione ha minato alle basi la fiducia nella possibilità di una pace con i palestinesi: gli israeliani oggi pensano che se si ritireranno completamente dalla Cisgiordania accadrà lì quello che già accade a Gaza. E che ci ritroveremo i missili a Gerusalemme e a Tel Aviv. Il comportamento di Hamas è uno dei più grandi ostacoli alla pace fra i palestinesi e gli israeliani».
Signor Yehoshua, lei ha parlato per anni della possibilità di una pace giusta fra israeliani e palestinesi. Ci crede ancora?
«Io penso che la pace non si fa con Gaza. Con il governo dell’Autorità palestinese c’è la possibilità di parlare: possiamo discutere di fermare gli insediamenti e di tornare alle frontiere del ‘67. Ma Gaza non risponde all’autorità del governo palestinese, Gaza è un’altra storia».

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