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Il Giornale - Libero Rassegna Stampa
11.10.2012 Afghanistan-Pakistan, una guerra che stanno vincendo i talebani
cronache di Gian Micalessin, Gianandrea Gaiani

Testata:Il Giornale - Libero
Autore: Gian Micalessin - Gianandrea Gaiani
Titolo: «Uccidono i bambini in nome del Corano»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 11/10/2012, a pag. 17, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Uccidono i bambini in nome del Corano ". Da LIBERO, a pag. 18, l'articolo di Gianandrea Gaiani dal titolo "I talebani annunciano: in Afghanistan abbiamo vinto ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Uccidono i bambini in nome del Corano "


Malala, i talebani hanno cercato di assassinarla sparandole alla testa, ma lei si è salvata

Malala vive. Ma vivono anche i suoi sicari. I chirurghi ce l’hanno fatta. Son riusciti ad estrarre dal cranio della 14enne ragazzina pakistana quel proiettile di kalash­nikov destinato a sopprimere la sua innocente voglia di libertà, a imporre il lugubre silenzio del ter­rore islamista. Ma sopravvive an­che chi la voleva morta. Sopravvi­ve la furia cieca di un islam radica­le pronto a massacrare anche i bimbi nel nome del Corano e del Profeta. L’aspetto più agghiac­ciante del tentato assassinio di Malala Yusafzai è la sua conse­quenzialità. Il tentativo di elimina­re questa ragazzina colpevole d’aver descritto l’opprimente regi­me imposto ai civili nelle provin­cie pakistane sotto controllo tale­bano, è solo l’ennesimo assassi­nio, o tentato assassinio, ai danni di un fanciullo perpetrato nel no­me dell’islam. E la condanna del­l’Unicef, per ricordare come nulla giustifichi la violenza contro l’in­fanzia innocente, servirà a poco.
L’agguato a Malala, colpita as­sieme a due compagne sedute con lei sullo scuolabus, arriva do­po la decapitazione di un bimbo in Afghanistan. Segue le accuse di blasfemia, un reato punito con la pena capitale, rivolte sempre in Pakistan ad una bimba cristiana. Ci ricorda la spietata esecuzione di un ragazzino e una ragazzina af­ghani bruciati nell’acido per aver osato amarsi. Tante e tali scellera­tezze non sono follie o perversioni individuali. Non sono gesti scom­posti messi a segno da menti mala­te. Sono l’applicazione pratica di un’ideologia religiosa priva di pie­tà, di un credo senza scale di grigio avvitato in una spirale di violenza che non prevede null’altro se non la difesa dei propri simili e l’odio per tutti gli altri. Pensiamo a Mala­la. La sua colpa era quella di aver annotato su diario le esecuzioni, le pubbliche flagellazioni, le quoti­diane umiliazioni imposte ai civili della valle di Swat nei mesi bui in cui questa località, un tempo para­diso turistico del Pakistan, diven­tò un feudo delle bande talebane. Quel diario letto dal servizio in lin­gua urdu della Bbc aveva fatto ca­pire a tanti pakistani la realtà na­scosta dietro la propaganda isla­mista. Ihsanullah Ihsan, portavo­ce di Tehrik –i-Taliban Pakistan, non s’è fatto scrupolo a rivendica­re l’agguato giustificandolo con le visioni anti islamiche di Malala.
Dietro a tanto spregiudicato fa­natismo aleggia la stessa logica che ad agosto spinge un imam d’Islamabad ad accusare Rimsha Masih- una bimba cristiana affet­ta dalla sindrome di Down - di aver bruciato un Corano. Per l’in­flessibile legge pakistana sulla bla­sfemia quelle accuse, completa­mente false, conducono al patibo­lo. Rimsha viene liberata solo per­ché un testimone smaschera la montatura anti cristiana ordita da un religioso musulmano. In Af­ghanistan l’orrore islamico tale­bano colpisce con la medesima
crudeltà a fine agosto. Un ragazzi­no di 12 anni, fratello di un poli­ziotto, viene rapito da un gruppo talebano che ne fa ritrovare cada­vere e testa mozzata. Per i portavo­ce talebani è un avvertimento a chi collabora con le autorità. Atti in linea con la ferocia delle bande qaidiste irachene che trasforma­no ragazzini in kamikaze.
Ma per il fanatismo musulma­no l’uccisione dei bambini non è li­mitata
alla guerra. Anche il man­cato rispetto di arcaiche regole so­ciali può venir punito con la più terribile delle morti. Lo insegna la fine di due ragazzini afghani - 15 anni lui, 12 anni lei- ritrovati a fine marzo in un campo della provin­cia afgana di Ghazni. I loro corpi erano accanto alla latta di acido usata per bruciarli. Dei loro volti non c’era più nulla. L’acido aveva divorato la pelle, cancellato naso e labbra. Due maschere d’orrore ridotte così per aver infranto le re­gole che impedivano loro di amar­si, frequentarsi senza il consenso di famiglie e anziani del villaggio.

LIBERO - Gianandrea Gaiani : " I talebani annunciano: in Afghanistan abbiamo vinto"


Talebani

Dispiace scriverlo, ma i talebani hanno ragione. L'America non è più un impero e la guerra in Afghanistan non è dicerto un successo. Tutto il potere che i talebani continuano a conservare ne è la conferma.
Ecco il pezzo:

«Stanno fuggendo dall’Afghanistan con un’umilia - zione e una vergogna tali da rendere difficile trovare giustificazioni. Coloro che hanno invaso la nostra terra con slogan e teorici obiettivi ora corrono a mettersi in salvo e ad annunciare il ritiro anticipato delle truppe a causa della martellante jihad dei mujaheddin afghani». I talebani hanno celebrato con questa frase l’undicesimo anniversario dall’inizio dell’operazione Enduring Freedom, l’attacco delle forze americane contro l’Afghanistan talebano scatenato meno di un mese dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Una ricorrenza passata quasi inosservata negli Stati Uniti, in Europa e anche in Afghanistan dove il progressivo ritiro delle truppe alleate sta già creando molte difficoltà alle forze governative, incapaci persino di gestire le carceri. La cosiddetta transizione avviene troppo presto e troppo in fretta per non apparire una fuga: su 800 basi e postazioni presidiate dalla Nato 500 sono state già abbandonate. Metà cedute agli afghani e metà distrutte coi bulldozer (costate tra 1 e 20 milioni di dollari ognuna) per non lasciarle al nemico. La fuga da Kabul potrebbe accelerare rispetto alla data prevista di fine 2014, come ha ammesso il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, dichiarando che l’ipotesi è allo studio e potrebbe venire annunciata entro l’anno. Lunedì Rasmussen ha detto che «non permetteremo ai nemici dell’Afghanistan di vincere » confermando che dal 2015 prenderà il via una missione addestrativa per aiutare le forze di Kabul ma di rischio di tracollo del Paese parla anche il rapporto dell'International Crisis Group (Icg) ricordando che all’offensiva talebana nel 2014 si aggiungeranno nuove elezioni presidenziali e paventando il collasso delle forze di sicurezza. Ancora più pessimista Gilles Dorronsoro, esperto di Afghanistan per Carnegie Endowment for International Peace, per il quale «il ritiro è il risultato di una strategia fallimentare» e «dopo una nuova fase di guerra civile, seguirà una probabile vittoria dei talebani». Uno scenario simile a quello che fece seguito al ritiro sovietico da Kabul e che sembra dare ragione ai proclami di vittoria della propaganda talebana. La Nato che si ritira senza aver vinto la guerra e regalando così una probabile vittoria ai jihadisti ben rappresenta un Occidente che non riesce più a combattere guerre prolungate neppure se a bassa intensità. Società e leadership non reggono i costi di un conflitto combattuto sul terreno. Né quelli finanziari né i 3.300 caduti in 11 anni di guerra afghana (2.134 statunitensi), perdite appena superiori al numero di persone uccise dai terroristi l’11 settembre 2001 e certo sopportabili sul piano militare per i 4 milioni di militari delle forze della Nato. Nonostante la nostra superiorità tecnologica fuggiamo davanti a guerriglieri spesso armati solo di kalashnikov che fabbricano bombe utilizzando fertilizzanti o svuotando l’esplosivo dai vecchi proiettili d’artiglieria sovietici. Miliziani che si stima abbiano perduto in 11 anni oltre 70 mila combattenti senza mai parlare di resa o di ritiro.

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