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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.12.2011 Iraq, inizia il ritiro americano. E ora che cosa succederà?
Cronaca di Maurizio Molinari. Intervista di Alessandra Farkas a Daniel Pipes

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari - Alessandra Farkas
Titolo: «Obama ammaina la bandiera. La guerra in Iraq è finita - Puntavamo a un altro 1945. Ma abbiamo fallito nel nostro obiettivo morale»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 16/12/2011, a pag. 18, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama ammaina la bandiera. La guerra in Iraq è finita ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 21, l'intervista di Alessandra Farkas a Daniel Pipes dal titolo " Puntavamo a un altro 1945. Ma abbiamo fallito nel nostro obiettivo morale" .
Ecco i due articoli:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama ammaina la bandiera. La guerra in Iraq è finita "


Maurizio Molinari  soldati Usa mentre ammainano la bandiera

La bandiera americana è stata ammainata a Baghdad ponendo termine all’intervento iniziato il 20 marzo del 2003 che ha portato alla rimozione del regime di Saddam Hussein. La cerimonia, in una zona protetta a ridosso dell’aeroporto di Baghdad, è avvenuta alla presenza del capo del Pentagono Leon Panetta e del capo degli Stati Maggiori Congiunti, Martin Dempsey, ma senza autorità irachene. Si chiude così un conflitto durato quasi 9 anni, costato 4487 morti e 32 mila feriti agli americani e che ha causato oltre centomila vittime irachene. «Non è stato un sacrificio invano - ha detto Panetta - perché ha consentito all’Iraq di mettere da parte la tirannia, offrendo speranze di pace e prosperità alle future generazioni».

La cerimonia di Baghdad segue la visita a Washington del premier iracheno Nouri al Maliki e il Pentagono sottolinea il momento affermando che «la bandiera ammainata non sventolerà più in Iraq perché da oggi la missione è finita». George W. Bush lanciò l’attacco per rimuovere il regime di Saddam centrando l’obiettivo nell’aprile 2003 ma la scelta di intervenire con la motivazione della presenza di armi di distruzione di massa spaccò la nazione perché tali ordigni non sono stati trovati. Barack Obama, contrario all’intervento dal 2002, ha scelto di «consegnare alla storia il giudizio sull’inizio del conflitto» per mettere l’accento sull’omaggio agli oltre 1,5 milioni di soldati che «hanno servito rendendo onore alla nazione». In Iraq restano 4000 soldati Usa, rientreranno entro fine mese ma Obama ha ordinato di posizionarne altrettanti in Kuwait, in caso di emergenze. I timori dei comandi Usa riguardano la capacità degli iracheni di mantenere la sicurezza interna come anche di evitare le infiltrazioni iraniane.

CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : " Puntavamo a un altro 1945. Ma abbiamo fallito nel nostro obiettivo morale "


Alessandra Farkas, Daniel Pipes

«La presenza americana in Iraq finisce, ma non certo la guerra». È pessimista Daniel Pipes, lo studioso neocon già consigliere di George W. Bush, considerato uno dei massimi esperti americani di Medio Oriente. «Abbiamo sprecato 800 miliardi di dollari, perso oltre 4 mila soldati rimpatriandone altri 30 mila feriti — spiega Pipes — ma tra dieci, forse cinque anni, tutti i nostri sacrifici saranno stati cancellati e l'Iraq sarà sotto la morsa di un'altra tirannia».
L'America ha insomma perso questa guerra?
«Ha perso la guerra, anche se ha vinto qualche battaglia: ha messo fine alla cruenta dittatura di Saddam Hussein, aiutato il governo curdo nel Nord e spezzato la dominazione sunnita del Paese. Ma il vero obiettivo non l'ha raggiunto».
A quale obiettivo si riferisce?
«L'obiettivo 1945. L'amministrazione Bush, di cui ho fatto parte, aveva un progetto moralmente molto elevato per creare un Iraq libero e prospero, basato implicitamente sull'esperienza Usa in Austria, Germania, Italia e Giappone nel 1945. Invece di chiedere risarcimenti ai nemici sconfitti, l'America allora accordò loro prestiti, aiutandoli nella ricostruzione dei Paesi distrutti».
Il metodo in Iraq non ha funzionato?
«Purtroppo ci siamo resi conto ben presto che il 1945 non poteva essere replicato in Medio Oriente nel 2003. È stato un enorme errore di valutazione, e una sconfitta, dover ammettere che il nobile intento di trasformare l'Iraq in un faro del Medio Oriente è fallito».
L'amministrazione Obama doveva restare?
«È stato l'allora presidente Bush, 4 anni fa, a firmare contro i miei consigli l'attuale ritiro. Una data arbitraria che non tiene conto della situazione sul terreno. Lo dico da repubblicano convinto».
Se si potesse tornare indietro cosa cambierebbe?
«Chiederei all'America di appoggiare un governo militare retto da un generale iracheno, guidandolo gradualmente verso la democrazia. Chiederei elezioni non dopo 23 mesi, ma 23 anni perché, come bene insegna la Cina, ci vuole tempo a passare da una cruenta dittatura alla democrazia. Avremmo dovuto inviare le truppe ai confini e in zone strategiche, non a pattugliare le strade di Falluja. Ci siamo solo fatti odiare. Ma ormai è troppo tardi per recriminare».
Pensa che l'attuale ritiro aiuterà il presidente Obama a essere rieletto?
«Al contrario, penso che due pericoli possano compromettere la sua rielezione: lo scoppio di una guerra civile in Iraq e un incremento dell'influenza iraniana nel Paese. Francamente sono sorpreso che Obama abbia deciso di rispettare la scadenza invece di proteggersi e rimandare il ritiro di almeno un anno. Se qualcosa andrà storto, i repubblicani potranno addossargli tutta la colpa».

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