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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Foglio - Il Manifesto Rassegna Stampa
17.11.2011 Fatah e Hamas: riconciliazione, continua la sceneggiata
Ma Michele Giorgio riesce anche questa volta ad attaccare Israele. Cronaca di Redazione del Foglio

Testata:Il Foglio - Il Manifesto
Autore: Redazione del Foglio - Michele Giorgio
Titolo: «Prove di dialogo per la pace - Che ne è del dialogo palestinese se il tecnico e il rais se ne vanno?»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 17/11/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " Che ne è del dialogo palestinese se il tecnico e il rais se ne vanno? ". Dal MANIFESTO, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Prove di dialogo per la pace ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - " Che ne è del dialogo palestinese se il tecnico e il rais se ne vanno?"


Mahmoud Abbas, Salam Fayyad

Gerusalemme. Salam Fayyad, il primo ministro palestinese che piaceva a Washington, Bruxelles e Israele, è vicino alla fine del suo mandato. E con la fuoriuscita del premier tecnocrate crescono i dubbi anche sul futuro del rais palestinese, Abu Mazen. Quest’ultimo ha promesso ieri di “accelerare” i lavori per la formazione di un governo tecnico, in carica fino a nuove elezioni. Ma da mesi il presidente promette di dimettersi all’apertura dei seggi, e al momento non ha candidati successori credibili. Nell’esecutivo di cui ha parlato il presidente siederebbero anche membri del movimento islamista Hamas, che dal 2007 controlla Gaza. Abu Mazen ha assicurato di voler portare avanti sforzi per il raggiungimento di un accordo tra Fatah e Hamas, rivali militari e politici dopo gli scontri armati del 2007 a Gaza che hanno diviso la Striscia dalla Cisgiordania. I membri dei due gruppi si incontreranno nei prossimi giorni al Cairo, conferma al Foglio un portavoce dell’Anp, Ghassan Khatib, che aggiunge: “Non sappiamo ancora se si tratterà di un dialogo produttivo”. La formazione di un governo di tecnici capaci di portare i palestinesi a elezioni nel giro di un anno era uno dei punti dell’intesa siglata a maggio tra Hamas e Fatah, ma mai messa in pratica. Il centro del disaccordo era proprio il nome di Salam Fayyad, il premier 59enne nominato nel 2007 da Abu Mazen, dopo lo scisma interno. Per i vertici del movimento che controlla Gaza, il tecnico Fayyad – ex funzionario del Fmi formatosi negli Stati Uniti – è troppo vicino a Washington e Israele. Il premier si è guadagnato le lodi della comunità internazionale per aver lavorato per rafforzare l’economia palestinese e per mettere le basi per le istituzioni di uno stato indipendente. Ma con lo stallo della campagna dell’Anp per il riconoscimento palestinese all’Onu e l’assenza di negoziati diretti con Israele, nei territori è cresciuta la frustrazione. Con Abu Mazen reduce dal fallimento all’Onu e senza la prosettiva di trattative, Fatah tenta la via della riconciliazione con Hamas, rafforzata dall’accordo con Israele per la liberazione del soldato Shalit in cambio della scarcerazione di oltre mille prigionieri palestinesi. Un esecutivo ad interim in cui siedono ministri di Hamas sarebbe però un ulteriore ostacolo alla ripresa del dialogo con Israele. I nuovi colloqui mettono a rischio il premier, anche se nulla sul suo futuro è certo. Ieri un parlamentare di Fatah, Faisal Abu Shahla, ha detto ai giornali che Fayyad è ancora il candidato di Abu Mazen. Un portavoce del premier ha però spiegato al Foglio che la posizione di Fayyad è quella raccontata pochi giorni fa al giornale di Gerusalemme al Quds: “Chiedo a tutte le fazioni di accordarsi su un nuovo primo ministro”, “rifiuto d’essere usato come prestesto per continuare la divisione”, ha detto. L’annunciata uscita di scena di Fayyad sarebbe una concessione di Abu Mazen ai rivali di Hamas, il segnale dell’ennesima debolezza del rais. Per poche settimane, dopo il discorso all’assemblea generale a settembre, in cui annunciava la volontà palestinese di richiedere il riconoscimento all’Onu, il rais ha goduto di una inedita e temporanea popolarità, che si è infranta pochi giorni fa in un non voto al Consiglio di sicurezza, per mancanza di sostegno. La promessa-minaccia di Abu Mazen di farsi da parte con nuove elezioni sembra ora più reale. La fine dell’era politica di Fayyad e le possibili dimissioni di Abu Mazen – una coppia che ha perseguito una politica basata sul rifiuto della lotta armata e sulla costruzione di istituzioni statali – cancellerebbero una leadership su cui ha puntato la comunità internazionale e creerebbero un vuoto di potere rischioso per la regione. Non c’è alcuna certezza su chi potrebbe essere il successore di Abu Mazen.

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Prove di dialogo per la pace "


Michele Giorgio

Michele Giorgio scrive : "A chiedere la testa di Fayyad – gradito ad americani ed europei – è stato Hamas che lo ha accusato più volte in questi ultimi anni di aver «favorito» il blocco israeliano della Striscia di Gaza e di aver avallato in Cisgiordania operazioni di sicurezza contro gli attivisti del movimento islamico, in collaborazione con l’Esercito israeliano.  ". Hamas sarebbe un 'movimento islamico'? E' così che si definiscono i terroristi della Striscia? Un po' poco per un gruppo che lancia razzi quotidianamente contro la popolazione israeliana e che mira alla distruzione dello Stato ebraico. Un'associazione terroristica riconosciuta tale anche da Usa e Onu.
Giorgio continua : "
Un dirigente di Fatah, che ha chiesto l’anonimato, ci ha spiegato la decisione di AbuMazen di riconciliarsi definitivamente con Hamas come una reazione alle politiche di colonizzazione di Israele e alla linea dell’Amministrazione Obama che, appiattita sulle posizioni di Netanyahu, sta facendo il possibile per impedire l’adesione piena della Palestina alle Nazioni unite e ad altri importanti organismi internazionali.". Obama non è 'appiattito sulle posizioni di Netanyahu'. Ma è ovvio che, pur essendo uno dei presidenti Usa più filo islamici dai tempi di Jimmy Carter, sa bene di non potersi schierare contro l'unica democrazia del Medio Oriente.
Giorgio scrive : "
L’unico dirigente di Fatah che appare in grado di battere il candidato alla presidenza di Hamas è Marwan Barghouti, (...) Contro la sua liberazione si è schierato Netanyahu. Il premier israeliano non sembra aver alcuna intenzione di dare una mano a Fatah ed Abu Mazen. ". Marwan Barghouti è l'architetto della seconda Intifada. E' un criminale che sta scontando diversi ergastoli per assassinio. Nemmeno Hamas era interessato alla sua liberazione e, infatti, non fa parte dei 1027 terroristi rilasciati. Netanyahu si è schierato contro la sua liberazione perchè è uno dei criminali più crudeli e perchè, una volta uscito, avrebbe chiaramente ripreso con la sua 'attività'. Questo non ha nulla a che vedere con la presunta volontà di indebolire Abu Mazen (in che modo, poi?).
Ma Giorgio continua : "
Sa che una vittoria di Hamas alle prossime elezioni palestinesi favorirebbe il suo disegno di ritardare il più possibile la creazione d uno stato palestinese accanto a Israele. Avrebbe l’opportunità di rifiutarsi di avviare contatti con una «organizzazione terroristica». ". Netanyahu è favorevole alla nascita di uno Stato palestinese, ma attraverso il raggiungimento di un accordo con dei negoziati. Giorgio insinua che a Israele faccia comodo un'ipotetica vittoria di Hamas alle elezioni perchè questa rallenterebbe ulteriormente i negoziati. Il che è assurdo per diverse motivazioni. In primo luogo i negoziati erano fermi anche con il 'moderato' Abu Mazen. In secondo luogo un governo di Hamas nella Striscia e in Cisgiordania non sarebbe di certo positivo per Israele. Significherebbe razzi quotidiani anche dalla Cisgiordania. Ma Giorgio è troppo concentrato sulle sue teorie complottiste per rendersi conto della situazione.
Ecco il pezzo:

Il presidente dell’Anp AbuMazen e il leader in esilio del movimento islamico Hamas, Khaled Meshaal, si incontreranno al Cairo il 23 novembre. Ad annunciarlo, ieri a Ramallah, è stato lo stesso Abu Mazen che si è detto impegnato ad «attuare tutti gli sforzi per accelerare l’accordo di riconciliazione » tra il suo partito, Fatah, e il movimento islamico Hamas. «Faremo ogni sforzo per velocizzare la risoluzione delle questioni in sospeso, in primo luogo le elezioni presidenziali, politiche e del Consiglio nazionale palestinese, e la formazione di un governo di indipendenti per organizzare il voto e la ricostruzione della Striscia di Gaza», ha spiegato il presidente dell’Anp. Che poi ha sottolineato che «Deve esserci una sola decisione palestinese e una solo voce palestinese per voltare la pagina nera della divisione». È la volta buona? Siamo davvero vicini alla fine della divisione politica e territoriale tra palestinesi? Fatah e Hamas ufficialmente si sono «riconciliati» lo scorso 4 maggio quando, a sorpresa, firmarono un accordo volto a risolvere la divisione tra Gaza, sotto il controllo del movimento islamico dal giugno 2007, e la Cisgiordania (o meglio, una porzione di essa) controllata da Fatah, anche se il governo in carica a Ramallah formalmente è composto da tecnici ed indipendenti.
Quell’accordo però non èmai stato applicato, per divergenze sul nome del premier del futuro governo di unità nazionale e per le pressioni di Israele e di vari paesi occidentali su Abu Mazen.
Ora le due parti sarebbero giunte di nuovo a un passo dal formare un esecutivo «nazionale» e hanno anche trovato un’intesa sulle elezioni presidenziali e legislative nei Territori occupati che dovrebbero tenersi il prossimo maggio. A sbloccare la paralisi che si registrava da seimesi è stato, pare, il passo indietro mosso da AbuMazen che ha accettato di sacrificare il premier attuale dell’Anp Salam Fayyad.
A chiedere la testa di Fayyad – gradito ad americani ed europei – è stato Hamas che lo ha accusato più volte in questi ultimi anni di aver «favorito» il blocco israeliano della Striscia di Gaza e di aver avallato in Cisgiordania operazioni di sicurezza contro gli attivisti del movimento islamico, in collaborazione con l’Esercito israeliano.
Abu Mazen voleva confermare Fayyad alla guida del futuro governo, per «tranquillizzare» i governi occidentali (sponsor generosi dell’Anp) e gli israeliani, timorosi di una fine della piena «cooperazione di sicurezza » con le forze speciali palestinesi, di cui hanno goduto dal 2007 in poi. Un dirigente di Fatah, che ha chiesto l’anonimato, ci ha spiegato la decisione di AbuMazen di riconciliarsi definitivamente con Hamas come una reazione alle politiche di colonizzazione di Israele e alla linea dell’Amministrazione Obama che, appiattita sulle posizioni di Netanyahu, sta facendo il possibile per impedire l’adesione piena della Palestina alle Nazioni unite e ad altri importanti organismi internazionali.
Chi sarà il futuro premier non è chiaro ma il nome ha una importanza secondaria perché il governo rimarrà in carica solo pochi mesi, fino alle elezioni presidenziali e legislative che si terranno il prossimo maggio. Hamas dopo lo scambio di prigionieri con Israele del mese scorso, si sente di nuovo forte e popolare tra i palestinesi. I suoi leader credono di poter vincere le elezioni che sino a qualche giorno fa respingevano con forza. Sanno che a Fatah manca un leader carismatico, in grado di sostituirsi ad Abu Mazen che afferma di non volersi ricandidare a presidente.
L’unico dirigente di Fatah che appare in grado di battere il candidato alla presidenza di Hamas è Marwan Barghouti, il «comandante dell’Intifada», che però è in carcere in Israele dove sconta una condanna a cinque ergastoli. Contro la sua liberazione – nel quadro dello scambio di prigionieri del mese scorso – si è schierato Netanyahu. Il premier israeliano non sembra aver alcuna intenzione di dare una mano a Fatah ed AbuMazen. Sa che una vittoria di Hamas alle prossime elezioni palestinesi favorirebbe il suo disegno di ritardare il più possibile la creazione d uno stato palestinese accanto a Israele. Avrebbe l’opportunità di rifiutarsi di avviare contatti con una «organizzazione terroristica».

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