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Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 26/10/2011, a pag.15, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " Brivido Tunisia, gli islamici oltre il 40% ", l'articolo di Francesco De Remigis dal titolo " Hammamet non fa festa: Giù le mani dai nostri bar" . Da LIBERO, a pag. 19, l'articolodi Andrea Morigi dal titolo " La lingua biforcuta del nuovo padrone di Tunisi ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, l'articolo di Alessandra Coppola dal titolo " Voto in Tunisia. Nella comunità degli 'italiani' è un plebiscito per gli islamici". Dall'OPINIONE, a pag. 6, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Tunisia, islam nella costituzione. Allarmi e brogli preventivi ". Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo " Tunisi, la piazza laica denuncia gli islamisti: hanno pagato i voti". Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " Brivido Tunisia, gli islamici oltre il 40% "
In Tunisia vincono, con un risultato record che potrebbe superare il 40% dei voti, gli islamici, ma saranno costretti ad allearsi con i partiti laici. E chi non ama i barbuti del Corano è già sceso in piazza al grido «vergogna» per supposti brogli. L'assemblea costituente sarà composta da 217 parlamentari. I primi risultati del voto dei residenti all'estero avevano già fatto capire dove soffiava il vento. Ennahda ha conquistato la metà dei seggi (9 su 18) previsti per il milione di tunisini che vivono in Europa e Stati Uniti. Da notare che la comunità più forte con circa 600mila persone risiede in Francia, ma al secondo posto ci sono i 152mila tunisini presenti in Italia. I vincitori gettano acqua sul fuoco e annunciano l'offerta di un governo di coalizione ai due partiti laici più forti. Il Congresso per la Repubblica era al secondo posto, con 11 seggi, quando ne dovevano venir assegnati ancora 150. Il suo leader, Moncef Marzouki, ha già detto sì al governo con gli islamici. Fermo difensore della libertà di parola, di associazione e dell'eguaglianza fra i sessi, il secondo partito tunisino, nato nel 2001, è stato legalizzato solo dopo la rivolta in Tunisia. Marzouki ha vissuto in esilio a Parigi ed il simbolo elettorale del movimento sono gli occhiali rossi che lo contraddistinguono. Il Congresso si colloca al centrosinistra, appoggia la causa palestinese e vuole «rinegoziare» gli impegni con l'Ue, che riguardano anche i clandestini. L'altro partito laico, che si contende il terzo posto con la lista indipendente del miliardario di Londra, è il Forum democratico per il lavoro e le libertà. Meglio noto come Ettakatol, è stato fondato nel 1994 da Mustafà Ben Jaafar. Durante il regime di Ben Alì il partito, pur sopportato, era marginalizzato. Nel 2009 Jafaar, medico che si è formato in Francia, ha partecipato alle elezioni presidenziali. Ettakatol è un classico partito socialdemocratico, che al primo punto del programma ha voluto la separazione fra Stato e religione. Durante la campagna elettorale ha promesso la creazione di centomila posti di lavoro. La formazione laica uscita sconfitta dalla tornata elettorale, che non vuole saperne di accordi con gli islamici, è il Partito Democratico progressista. Nato negli anni Ottanta, ha avuto vita dura ai tempi di Ben Ali. I due leader, Ahmed Nejib Chebbi e Maya Jribi, sono diventati famosi per gli scioperi della fame, ma dopo la rivoluzione il partito ha cominciato a perdere pezzi. Nel programma economico i progressisti puntano ad attirare turisti da India e Cina, oltre a sviluppare l'energia solare per esportarla in Europa. Il GIORNALE - Francesco De Remigis : " Hammamet non fa festa: Giù le mani dai nostri bar "
Hammamet - L’allerta è partito dai giovani, ventenni abituati alle libertà di comprare o servire vino, birra come la Celtia tunisina: se vince Ennahda, il partito islamico farà cambiare le cose. Non imporrà un divieto vero e proprio, ma la via per uscirne gradualmente. Come se la vita notturna fosse una malattia. Come se festeggiare una laurea in un bar di Hammamet fosse disdicevole, ritrovarsi in gruppo sulla spiaggia, brindare, cercare bellezze che ricordino Grace Kelly, che a Hammamet era cliente abituale. Pochi ci hanno creduto. Neppure quando alcune ragazze sono state insultate sulla spiaggia del litorale tunisino. Fino a quando non è stato scoperto un video che spiega la strategia di Ennahda: «Nei bar la gente beve perché non c’è altro da fare», dice la voce fuori campo. Immagini a cartone animato immortalano persone appoggiate sui tavoli di un locale. Poi scorrono altre fotografie: campi da tennis, da calcio, corsi di taglio e cucito. Il narratore di quella che secondo i canoni di Ennahda dovrebbe essere la futura società tunisina offre la soluzione. Trasformare locali e bar in centri culturali dove ognuno può fare qualcosa di diverso dal bere. «E vedrete che la gente si dimenticherà dell’alcol nel giro di poco tempo». LIBERO - Andrea Morigi : " La lingua biforcuta del nuovo padrone di Tunisi "
All’indomani della vittoria elettorale in Tunisia del partito Ennahda, il nodo da sciogliere riguarda la personalità del suo leader, il 71enne Rachid Ghannouchi. Piace agli iraniani, con i quali aveva allacciato rapporti sin dai due decenni del suo esilio a Londra, sebbene la Oxford University Press gli avesse dedicato, dieci anni fa, una biografia che lo proponeva come esempio di musulmano democratico. Qualcosa non quadra. O s’ingannano gli uni, salutandolo sui media di Teheran come un nuovo Khomeini, o gli altri non hanno capito nulla del linguaggio dei Fratelli Musulmani, tutto doppiezze e ambiguità. Tanto che, confrontando le dichiarazioni di Ghannouchi, sorge il sospetto di avere di fronte due persone diverse e complementari. Sulla Stampa, il 17 febbraio scorso, rivelava che «per noi può diventare presidente tanto una donna cheun copto. La condizione è che vinca le elezioni». Peccato che nel 1993 scrivesse che «è assurdo, e significherebbe chiedere l’impossibile, chiedere a un non musulmanodi assumerelamagistratura suprema, di vegliare sulla religione e le questioni che la riguardano ». Si può sempre cambiare idea, ma sui princìpi Ghannouchi non cede. Enemmeno sullaprassi.Prima ancora di andare al potere, erano riusciti a ottenere dal governo provvisorio post-Ben Alì il permesso per le donne velate di farsi fotografare a capo coperto per la carta di identità. Quel che intendano fare ora, si potrebbe ricavare da quanto Ghannouchi scriveva nell’autunno del 2002 sul trimestrale parigino Marayaa proposito della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che «non rappresenta molte culture che darebbero più spazio all’interesse collettivo o lascerebbero il posto a un controllo superiore sulla coscienza dell’individuo, sulla coscienza del legislatore e sul potere dello Stato come il controllo divino attraverso la rivelazione e l’ele - vazione dei valori della sharia sopra ogni potere». Sulle teorie altrui, Ghannouchi si mostra meno ondivago. Se la docente di esegesi coranica all’università di Tunisi, Mongia Souaihi, si permette di considerare decaduto l’obbligo del velo, si becca la (s)qualifica di infedele, con tutto quel che ne consegue. Se criticano lui, invece, scatta la querela. Ci tiene, giustamente, all’immagine pubblica. Sembra appartenere a un’altra epoca la sua frequentazione con la «resistenza» tunisina all’estero, tornata utile per formare le liste dei candidati di Ennahda da votare all’estero. Anche in Italia, dove sono stati eletti due «padri costituenti» gravitanti intorno all’Ucoii, l’ex presidente dei Giovani Musulmani in Italia, Osama al-Saghir e la figlia del responsabile della moschea romana di Centocelle, Imen Ben Mohammad. Nelle carte giudiziarie, invece, meno di cinque mesi fa, il 9 luglio 2010, si ritrovano le condanne, comprese tra i sei mesi e gli otto anni e mezzo di reclusione, di quindici persone, accusate di numerosi reati, fra i quali l’associa - zione per delinquere che si propone il compimento di atti di violenza in Italia e all’estero per finalità di terrorismo. Nei documenti dell’indagine, avviata nel 2007, il gip milanese Maria Luisa Savoia scriveva che «alcuni militanti di “El Nahda” rivelano una sostanziale condivisione di vedute con appartenenti ad altri sodalizi più marcatamente eversivi, quale il Gct», il Gruppo Combattente Tunisino. E notava che almeno uno tra i membri di quella galassia fondamentalista, Mohamed Nouir, frequentatore di Pakistan, Bosnia e Cecenia, «manterrebbe stretti contatti con Rachid Ghannouchi, leader carismatico di “El Nahda”». Vatti a fidare della volontà popolare. CORRIERE della SERA - Alessandra Coppola : " Voto in Tunisia. Nella comunità degli 'italiani' è un plebiscito per gli islamici " La tappa a Caltanissetta, per esempio. «Pochi tunisini e neanche un seggio, ma ci sono andato lo stesso. Un ragazzo ci ha visti distribuire volantini, si è avvicinato, ci siamo commossi: "Seguo il partito in televisione, non mi sembra vero di trovarvi qui — ci ha detto —. Fino a qualche mese fa avrei avuto paura, avrei cambiato strada, oggi sono fiero di incontrarvi"». È finita a bere tè, parlando di fede e politica. Un voto in più. L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Tunisia, islam nella costituzione. Allarmi e brogli preventivi "
Decine di episodi, tentativi anche violenti di condizionamento del voto, magari non sempre veri e propri brogli elettorali, ma parenti stretti. E moltissimi riguardano il partito “Ennhada” di Rachid Gannouchi, che paradossalmente solo qualche giorno prima delle elezioni del 23 ottobre, cioè lo scorso 19 ottobre, aveva denunciato in una conferenza stampa i tentativi di condizionamento delle prime libere elezioni di Tunisia. Quelle in cui verrà eletta un’assemblea costituente che dovrà decidere la natura del futuro stato. E che verosimilmente adesso drà tentativi di mettere la shar’ia in Costituzione. “Ennhada” oltre a denunciare questi tentativi di brogli elettorali aveva anche minacciato un ricorso alla piazza rivoluzionaria in caso di esito alterato del voto. Ora dal rapporto Isie (Instance Supérieure Indépendante pour les Elections) che prende svariate paginate internet. e che consiste di 803 segnalazioni (dal primo al 23 ottobre scorsi) anche video fotografiche fatte da cittadini un po’ in tutta la Tunisia, si scopre che in moltissimi casi, certo non esclusivamente, gli autori delle irregolarità sarebbero proprio i membri di “Ennhada”. Che fino al giorno del voto hanno fatto un “pressing” che nei paesi liberi sarebbe stato sanzionato penalmente per legge. Ad esempio l’ultima segnalazione che è del 23 ottobre alle 21 e 22, pochi minuti prima della chiusura dei seggi, dalla città di Sousse denuncia che “..un des observateurs du mouvement "Ennahdha" incite les gens à voter pour eux dans le bureau de vote à l'école Frada, Enfidha, Sousse”. Alle 18 e 45 “un membre du parti "Mouvement Ennahdha" est en train d'appeler directement les électeurs le jour des élections pour les manipuler dans le collège HLIMA CHAABOUNI à Agereb, SFAX”. Andiamo ora alla città di Beja dove, alle 18 del 23, “Des membres du mouvement "Ennahdha" incitent les gens à voter pour ce parti au lycée Erache”. Si potrebbe continuare così per una giornata, queste erano solo le violazioni delle ultime ore e dell’ultimo giorno. Poi poprio dal sito dell’Isie, gli osservatori del voto tunisino, dopo le 13 di ieri il link a quste segnalazioni è scomparso, e questo in nome della trasparenza della nuova Tunisia islamista che verrà, evidentemente. Comunque vengono segnalate infrazioni anche da parte del “Parti reformiste dousturienne”, che poi sarebbero gli orfani di Ben Alì scampati all’epurazione, da parte del “Partì liberal maghrebin”, da parte dell’Unione patriottique libre” e da parte del “Mouvement des patriotes democrates”, per essere completi nell’informazione. Solo che “Ennhada”, che giorni prima gridava preventivamente a possibili complotti, risulta di gran lunga il partito più segnalato dai cittadini tuinisini in queste operazioni di incitamento al voto sin dentro la mitica “cabina” ( “o “gabina” se si pronunzia l’italiano come Bossi) elettorale. E, a riprova che lo start up democratico della nuova Tunisia è roba per islamisti gopolitici militanti, ieri sono arrivate anche le felicitazioni presidente del Parlamento iraniano, Ali Larijani. Secondo cui “La vittoria degli islamisti nelle elezioni tunisine dimostra la natura islamica delle rivoluzioni e delle rivolte nella regione.” Auguri che però potrebbero innescare anche la reazione dell’Arabia Saudita che non è per nulla contenta se l’Iran e lo sciismo metteranno il cappello sulle suddette rivolte arabe. Intanto, e purtroppo, i primi dati ufficiali che giungono dalle circoscrizioni tunisine confermano l'ampia vittoria di “Ennahdha”. Al momento solo tre delle circoscrizioni (tra le meno popolate) hanno completato le operazioni di scrutinio, quelle di Beja, Kebili e Tataounine e su 15 seggi complessivamente in palio, Ennahdha ne ha conquistati 7. Una tendenza che conferma quella del voto al'estero, dove il partito confessionale ha ottenuto 9 dei 18 seggi. E se appare vero che i tunisini hanno votato “Ennahdha” soprattutto per la sua dichiarata matrice islamica e non per quel che ha messo nel suo programma, sulle “promesse” del partito al suo elettorato in materia economica gli esperti hanno storto il naso. A cominciare dagli europei che, in maggioranza, l'hanno bollato come un “libro dei sogni”, ai limiti dell'utopia. Per larga parte inattuabile vista la mancata individuazione delle risorse. Ennhada ha promesso un tasso di crescita medio al 7 per cento, nel periodo 2012-2016, un reddito pro capite per ciascun tunisino a 10.000 dinari (poco meno di 5.000 euro) all'anno entro il 2016, contro i 6.300 di oggi (circa 3.200 euro), la creazione di 590 mila nuovi posti di lavoro nel prossimo quinquennio per portare il tasso di disoccupazione all'8,5 per cento contro il 14,4 per cento attuale, un tasso di investimenti del 31 per cento sul Pil, mentre oggi è del 25 per cento e infine di ricondurre il tasso di inflazione al 3 per cento entro il 2016. Se Gannouchi ci riuscisse davvero potrebbe diventare il nuovo presidente della Ue, “honoris causa”. “Ennahdha” ha anche annunciato di volere prestare grande attenzione al mondo delle banche, dicendo di volere varare delle modfiche all'ordinamento attuale per aprire le strade alla finanza islamica. Di fatto nessuna di queste promesse verosimilmente verrà mantenuta. E anzi, se si cominceranno a vedere niqab e burqa a tutto spiano anche a Tunisi e se si tenterà di far tornare le donne indietro sulle proprie conquiste, che in Tunisia hanno preceduto persino quelle in Europa dello scorso secolo grazie a Bourguiba, si innesterà fatalmente un clima da guerra civile strisciante come in Algeria negli anni ’90. A quel punto addio turisti e per la Tunisia, che non ha petrolio ma solo un po’ di fosfati a Ghafsa, questo potrebbe essere un ko micidiale. La STAMPA - Domenico Quirico : " Tunisi, la piazza laica denuncia gli islamisti: hanno pagato i voti " Il verbo che fu rivoluzionario, la parola categorica: dégage, vattene. La parola che ha cacciato il dittatore Ben Ali. Torna scandita, urlata, evocata davanti alla sede della Commissione elettorale che deve proclamare i risultati delle prime elezioni libere e avanza al rallentatore, una lentezza che comincia a inquietare molti. Questa volta l’invito è brandito contro il partito islamico, Ennahda, che ha vinto, anzi stravinto, proclamandosi moderato e progressista. Una parte della Tunisia, quella degli sconfitti, sospetta che sia, sotto nuove e astute vesti, una dittatura ancor più esigente, guidata da approvvigionatori di finzioni, gente ambigua, ingannatrice. Per inviare il proprio parere a Giornale, Corriere della Sera, Opinione e Stampa, cliccare sulle e-mail sottostanti segreteria@ilgiornale.it lettere@libero-news.eu lettere@corriere.it diaconale@opinione.it lettere@lastampa.it |
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