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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Il Giornale - Libero - Corriere della Sera - L'Opinione - La Stampa Rassegna Stampa
26.10.2011 Tunisia islamizzata: cronache e commenti
di Fausto Biloslavo, Francesco De Remigis, Andrea Morigi, Dimitri Buffa, Alessandra Coppola, Domenico Quirico

Testata:Il Giornale - Libero - Corriere della Sera - L'Opinione - La Stampa
Autore: Fausto Biloslavo - Francesco De Remigis - Andrea Morigi - Alessandra Coppola - Dimitri Buffa - Domenico Quirico
Titolo: «Brivido Tunisia, gli islamici oltre il 40% - Hammamet non fa festa: Giù le mani dai nostri bar - La lingua biforcuta del nuovo padrone di Tunisi - Voto in Tunisia. Nella comunità degli 'italiani' è un plebiscito per gli islamici»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 26/10/2011, a pag.15, l'articolo di Fausto Biloslavo dal titolo " Brivido Tunisia, gli islamici oltre il 40% ", l'articolo di Francesco De Remigis dal titolo " Hammamet non fa festa: Giù le mani dai nostri bar" . Da LIBERO, a pag. 19, l'articolodi Andrea Morigi dal titolo " La lingua biforcuta del nuovo padrone di Tunisi ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, l'articolo di Alessandra Coppola dal titolo " Voto in Tunisia. Nella comunità degli 'italiani' è un plebiscito per gli islamici". Dall'OPINIONE, a pag. 6, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Tunisia, islam nella costituzione. Allarmi e brogli preventivi  ". Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo di Domenico Quirico dal titolo " Tunisi, la piazza laica denuncia gli islamisti: hanno pagato i voti".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fausto Biloslavo : " Brivido Tunisia, gli islamici oltre il 40% "


Rachid Gannouchi

In Tunisia vincono, con un risultato record che potrebbe superare il 40% dei voti, gli islamici, ma saranno costretti ad allearsi con i partiti laici. E chi non ama i barbuti del Corano è già sceso in piazza al grido «vergogna» per supposti brogli.
Le prime elezioni libere dopo l'inizio della primavera araba hanno portato al potere Ennahda, il movimento di Rachid Ghannouchi costretto all'esilio in Gran Bretagna per 22 anni. Ieri sera su 67 seggi assegnati compresi quelli di Sfax e Susa, seconda e terza città del Paese, gli islamici erano in testa con 29 parlamentari. La sorpresa è la lista indipendente Aridha Chaabi, che ha conquistato 8 seggi e si batte per il terzo posto. La lista è guidata dall'outsider Hachmi Haamdi, un ricco uomo d'affari con base a Londra.

L'assemblea costituente sarà composta da 217 parlamentari.
«Questo è un momento storico. Il risultato dimostra che il popolo tunisino è legato alla sua identità islamica» ha sentenziato Zeinab Omri, una giovane con il velo che ha festeggiato la vittoria a Tunisi.

I primi risultati del voto dei residenti all'estero avevano già fatto capire dove soffiava il vento. Ennahda ha conquistato la metà dei seggi (9 su 18) previsti per il milione di tunisini che vivono in Europa e Stati Uniti. Da notare che la comunità più forte con circa 600mila persone risiede in Francia, ma al secondo posto ci sono i 152mila tunisini presenti in Italia.
«Sono molto preoccupato da questi risultati. I diritti delle donne verranno erosi. Si rischia un ritorno alla dittatura se Ennahda conquisterà la maggioranza dell'assemblea» spiega Meriam Othmani, giornalista di 28 anni.
A Tunisi centinaia di manifestanti hanno innalzato dei cartelli con scritte eloquenti: «Mai smettere di lottare» ed «Ennahda = 30 TND». Il riferimento è alle accuse che il partito islamico abbia comprato i voti per 30 dinari.

I vincitori gettano acqua sul fuoco e annunciano l'offerta di un governo di coalizione ai due partiti laici più forti. Il Congresso per la Repubblica era al secondo posto, con 11 seggi, quando ne dovevano venir assegnati ancora 150. Il suo leader, Moncef Marzouki, ha già detto sì al governo con gli islamici. Fermo difensore della libertà di parola, di associazione e dell'eguaglianza fra i sessi, il secondo partito tunisino, nato nel 2001, è stato legalizzato solo dopo la rivolta in Tunisia. Marzouki ha vissuto in esilio a Parigi ed il simbolo elettorale del movimento sono gli occhiali rossi che lo contraddistinguono. Il Congresso si colloca al centrosinistra, appoggia la causa palestinese e vuole «rinegoziare» gli impegni con l'Ue, che riguardano anche i clandestini.

L'altro partito laico, che si contende il terzo posto con la lista indipendente del miliardario di Londra, è il Forum democratico per il lavoro e le libertà. Meglio noto come Ettakatol, è stato fondato nel 1994 da Mustafà Ben Jaafar. Durante il regime di Ben Alì il partito, pur sopportato, era marginalizzato. Nel 2009 Jafaar, medico che si è formato in Francia, ha partecipato alle elezioni presidenziali. Ettakatol è un classico partito socialdemocratico, che al primo punto del programma ha voluto la separazione fra Stato e religione. Durante la campagna elettorale ha promesso la creazione di centomila posti di lavoro.

La formazione laica uscita sconfitta dalla tornata elettorale, che non vuole saperne di accordi con gli islamici, è il Partito Democratico progressista. Nato negli anni Ottanta, ha avuto vita dura ai tempi di Ben Ali. I due leader, Ahmed Nejib Chebbi e Maya Jribi, sono diventati famosi per gli scioperi della fame, ma dopo la rivoluzione il partito ha cominciato a perdere pezzi. Nel programma economico i progressisti puntano ad attirare turisti da India e Cina, oltre a sviluppare l'energia solare per esportarla in Europa.

Il GIORNALE - Francesco De Remigis : " Hammamet non fa festa: Giù le mani dai nostri bar "


Hammamet

Hammamet - L’allerta è partito dai giovani, ventenni abituati alle libertà di comprare o servire vino, birra come la Celtia tunisina: se vince Ennahda, il partito islamico farà cambiare le cose. Non imporrà un divieto vero e proprio, ma la via per uscirne gradualmente. Come se la vita notturna fosse una malattia. Come se festeggiare una laurea in un bar di Hammamet fosse disdicevole, ritrovarsi in gruppo sulla spiaggia, brindare, cercare bellezze che ricordino Grace Kelly, che a Hammamet era cliente abituale. Pochi ci hanno creduto. Neppure quando alcune ragazze sono state insultate sulla spiaggia del litorale tunisino. Fino a quando non è stato scoperto un video che spiega la strategia di Ennahda: «Nei bar la gente beve perché non c’è altro da fare», dice la voce fuori campo. Immagini a cartone animato immortalano persone appoggiate sui tavoli di un locale. Poi scorrono altre fotografie: campi da tennis, da calcio, corsi di taglio e cucito. Il narratore di quella che secondo i canoni di Ennahda dovrebbe essere la futura società tunisina offre la soluzione. Trasformare locali e bar in centri culturali dove ognuno può fare qualcosa di diverso dal bere. «E vedrete che la gente si dimenticherà dell’alcol nel giro di poco tempo».
Basta un periodo di transizione. Nell’ultima settimana qualcuno ha cominciato a commentare questo video chiedendosi che fine faranno città come Hammamet o altre mete turistiche, se non si prenderanno le giuste contromisure a Ennahda. Nella stessa Tunisi già oggi ci sono molti droghieri che vendono alcolici al mercato nero. Lo fanno per assecondare la voglia di stappare una bottiglia di vino bianco, se magari queste elezioni fossero andate bene per i laici. O per cercare di superare la batosta. A Hammamet Sud, invece, i bar non chiudono mai. Specie la sera, c’è sempre qualcosa di aperto: provate a chiedere cosa pensano di Ennahda in Avenue Moncef Bay. Il partito islamico ha perfino provato a fare campagna elettorale nella città. Meeting da “le Bérber”, spiegando che Avenue Moncef Bey proprio tanto bene, così come è oggi, non va. I suoi locali notturni dovrebbero essere «integrati» da qualcosa di più culturale, tipo una sala biblioteca munita di Corano.
Rachid Ghannouchi assicura di non voler fare una rivoluzione così tranciante in Tunisia. Di non imporre l’islam, ma di inserire nella nuova Costituzione elementi che aiutino a vivere meglio. Se nei meeting di Ennahda in questi giorni si pronunciava la parola alcol, più di un giovane storceva il naso. Ma se a Hammamet dite di aver votato per Ghannouchi, state certi che il conto lo pagherete salato. «Se a Tunisi si fa politica, qui si vive», dice il gestore di un bar, un locale in stile inglese che racconta più di una cartolina. La fortuna qui la tentano nei tre casinò, i turisti ma anche gli stessi tunisini. Comunque sia andata questa elezione, qui sono certi che nessuno toccherà Hammamet, i suoi locali, la vita notturna fumosa e alcolica. E allora si spiega perché, per fare entrambe le cose, serve un percorso graduale. Che parte da un video.

LIBERO - Andrea Morigi : " La lingua biforcuta del nuovo padrone di Tunisi "


Andrea Morigi

All’indomani della vittoria elettorale in Tunisia del partito Ennahda, il nodo da sciogliere riguarda la personalità del suo leader, il 71enne Rachid Ghannouchi. Piace agli iraniani, con i quali aveva allacciato rapporti sin dai due decenni del suo esilio a Londra, sebbene la Oxford University Press gli avesse dedicato, dieci anni fa, una biografia che lo proponeva come esempio di musulmano democratico. Qualcosa non quadra. O s’ingannano gli uni, salutandolo sui media di Teheran come un nuovo Khomeini, o gli altri non hanno capito nulla del linguaggio dei Fratelli Musulmani, tutto doppiezze e ambiguità. Tanto che, confrontando le dichiarazioni di Ghannouchi, sorge il sospetto di avere di fronte due persone diverse e complementari. Sulla Stampa, il 17 febbraio scorso, rivelava che «per noi può diventare presidente tanto una donna cheun copto. La condizione è che vinca le elezioni». Peccato che nel 1993 scrivesse che «è assurdo, e significherebbe chiedere l’impossibile, chiedere a un non musulmanodi assumerelamagistratura suprema, di vegliare sulla religione e le questioni che la riguardano ». Si può sempre cambiare idea, ma sui princìpi Ghannouchi non cede. Enemmeno sullaprassi.Prima ancora di andare al potere, erano riusciti a ottenere dal governo provvisorio post-Ben Alì il permesso per le donne velate di farsi fotografare a capo coperto per la carta di identità. Quel che intendano fare ora, si potrebbe ricavare da quanto Ghannouchi scriveva nell’autunno del 2002 sul trimestrale parigino Marayaa proposito della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che «non rappresenta molte culture che darebbero più spazio all’interesse collettivo o lascerebbero il posto a un controllo superiore sulla coscienza dell’individuo, sulla coscienza del legislatore e sul potere dello Stato come il controllo divino attraverso la rivelazione e l’ele - vazione dei valori della sharia sopra ogni potere». Sulle teorie altrui, Ghannouchi si mostra meno ondivago. Se la docente di esegesi coranica all’università di Tunisi, Mongia Souaihi, si permette di considerare decaduto l’obbligo del velo, si becca la (s)qualifica di infedele, con tutto quel che ne consegue. Se criticano lui, invece, scatta la querela. Ci tiene, giustamente, all’immagine pubblica. Sembra appartenere a un’altra epoca la sua frequentazione con la «resistenza» tunisina all’estero, tornata utile per formare le liste dei candidati di Ennahda da votare all’estero. Anche in Italia, dove sono stati eletti due «padri costituenti» gravitanti intorno all’Ucoii, l’ex presidente dei Giovani Musulmani in Italia, Osama al-Saghir e la figlia del responsabile della moschea romana di Centocelle, Imen Ben Mohammad. Nelle carte giudiziarie, invece, meno di cinque mesi fa, il 9 luglio 2010, si ritrovano le condanne, comprese tra i sei mesi e gli otto anni e mezzo di reclusione, di quindici persone, accusate di numerosi reati, fra i quali l’associa - zione per delinquere che si propone il compimento di atti di violenza in Italia e all’estero per finalità di terrorismo. Nei documenti dell’indagine, avviata nel 2007, il gip milanese Maria Luisa Savoia scriveva che «alcuni militanti di “El Nahda” rivelano una sostanziale condivisione di vedute con appartenenti ad altri sodalizi più marcatamente eversivi, quale il Gct», il Gruppo Combattente Tunisino. E notava che almeno uno tra i membri di quella galassia fondamentalista, Mohamed Nouir, frequentatore di Pakistan, Bosnia e Cecenia, «manterrebbe stretti contatti con Rachid Ghannouchi, leader carismatico di “El Nahda”». Vatti a fidare della volontà popolare.

CORRIERE della SERA - Alessandra Coppola : " Voto in Tunisia. Nella comunità degli 'italiani' è un plebiscito per gli islamici "

La tappa a Caltanissetta, per esempio. «Pochi tunisini e neanche un seggio, ma ci sono andato lo stesso. Un ragazzo ci ha visti distribuire volantini, si è avvicinato, ci siamo commossi: "Seguo il partito in televisione, non mi sembra vero di trovarvi qui — ci ha detto —. Fino a qualche mese fa avrei avuto paura, avrei cambiato strada, oggi sono fiero di incontrarvi"». È finita a bere tè, parlando di fede e politica. Un voto in più.
Ha vinto così il suo scranno alla Costituente di Tunisi Osama Al Saghir, 28 anni e una laurea in Relazioni internazionali alla Sapienza, capolista di Ennahda in Italia: ha fatto su e giù per la penisola, 7.000 chilometri con un pullmino e qualche militante «da Mazara del Vallo a Bolzano, letteralmente». Un successo addirittura superiore a quello dall'altra parte del Mediterraneo: i primi conteggi assegnano al partito islamico della «Rinascita» un risultato intorno al 55 per cento, due seggi sui tre che si sceglievano qui. Con Osama va a scrivere la nuova Costituzione Imen Bin Mohamed, 27 anni a novembre, studi in Economia della cooperazione internazionale e figlia del dirigente di Ennahda in Italia, tra i responsabili della moschea di Centocelle. «Siamo frutto della scuola pubblica italiana — sottolinea Osama —. Forse l'occasione anche per voi di aprire gli occhi e capire che siamo una risorsa».
E in Tunisia? Che cosa porterete alla nuova Carta? Osama ci tiene alla «libertà associativa: deve essere un diritto di fatto, va garantita una società civile attiva». Imen s'impegna sulla «libertà personale delle donne: basta leggi che pongano limiti all'abbigliamento». Quindi: libertà di velo. Come spiegarlo a chi teme l'avanzata islamica? «È molto più semplice di quanto sembri — risponde Osama — noi tunisini abbiamo con la religione un rapporto mediterraneo, moderato». Censurerebbe Persepolis (il cartone animato di Marjane Satrapi che ha scatenato contestazioni a Tunisi)? «Condanno la violenza ma difendo la mia libertà di criticare: trasmettere quel film è stata una provocazione, pari alle vignette su Maometto».
Già attivisti dei Giovani musulmani (Osama ne è anche fondatore), impegnati nella mediazione culturale, pagina Facebook e molte amicizie di ogni provenienza, i due neodeputati sono entrambi figli di rifugiati politici. Gli eredi di «uno storico partito lungamente perseguitato», sottolineano, che in Italia — 106 mila tunisini residenti secondo i dati Istat, soprattutto giovani, oltre il 60 per cento maschi — ha deciso di passare il testimone alla nuova generazione.
Il terzo scranno va invece a una «prima generazione»: Abdessattar Dhifi, trent'anni, arrivato nel 2007, laurea in Lettere a Tunisi oggi commerciante a Bari, parla un italiano ancora essenziale. Risultato discreto, intorno al 9 per cento. «Grazie a Dio! — risponde —. La nostra è una lista civica (Lista della petizione popolare per la libertà, la giustizia e lo sviluppo), siamo musulmani ma molto diversi da Ennahda», rivendica, «siamo indipendenti». Legati, in realtà, a un esponente di spicco dell'opposizione tunisina in esilio a Londra, proprietario di una tv satellitare (dunque capace di farsi conoscere). Perché tanto successo per «Rinascita»? «Hanno speso tanti soldi».
Soprattutto, Ennahda anche in Italia ha un'organizzazione solida, strutturata intorno ai luoghi di culto, di fatto gli unici punti di riferimento della comunità tunisina emigrata. «Le liste indipendenti hanno scontato la frammentazione e il poco tempo a disposizione — spiega Ouejdane Mejri, presidente dell'associazione Pontes e capolista di Oltre le Frontiere —, adesso che abbiamo cominciato a conoscerci sappiamo di avere molte cose in comune, avremmo potuto unire le forze...».
Mohamed Challouf, regista e produttore che ha fatto parte dell'Istanza per le elezioni, aggiunge altri elementi per il successo di Ennahda: «La reazione identitaria — dice — e il livello culturale basso. Ho partecipato allo spoglio a Treviso, lì hanno preso l'80 per cento, e così nella maggior parte dei seggi di Lombardia e Veneto, dove è molto forte la Lega». Dove invece i tunisini sono più integrati, come in Emilia o in Liguria, osserva, il voto è andato a liste indipendenti e laiche. «La nostra comunità ha ancora una storia recente, immigrazione soprattutto di braccia, di sopravvivenza, ancora non c'è un numero ragionevole di persone di livello che riescano a rappresentarla». E questo, dice, spiegherebbe l'ampia preferenza per gli islamici anche in Sicilia, meta di pescatori e braccianti.

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Tunisia, islam nella costituzione. Allarmi e brogli preventivi "


Dimitri Buffa

Decine di episodi, tentativi anche violenti di condizionamento del voto, magari non sempre veri e propri brogli elettorali, ma parenti stretti. E moltissimi riguardano il partito “Ennhada” di Rachid Gannouchi, che paradossalmente solo qualche giorno prima delle elezioni del 23 ottobre, cioè lo scorso 19 ottobre, aveva denunciato in una conferenza stampa i tentativi di condizionamento delle prime libere elezioni di Tunisia. Quelle in cui verrà eletta un’assemblea costituente che dovrà decidere la natura del futuro stato. E che verosimilmente adesso drà tentativi di mettere la shar’ia in Costituzione. “Ennhada” oltre a denunciare questi tentativi di brogli elettorali aveva anche minacciato un ricorso alla piazza rivoluzionaria in caso di esito alterato del voto. Ora dal rapporto Isie (Instance Supérieure Indépendante pour les Elections) che prende svariate paginate internet. e che consiste di 803 segnalazioni (dal primo al 23 ottobre scorsi) anche video fotografiche fatte da cittadini un po’ in tutta la Tunisia, si scopre che in moltissimi casi, certo non esclusivamente, gli autori delle irregolarità sarebbero proprio i membri di “Ennhada”. Che fino al giorno del voto hanno fatto un “pressing” che nei paesi liberi sarebbe stato sanzionato penalmente per legge. Ad esempio l’ultima segnalazione che è del 23 ottobre alle 21 e 22, pochi minuti prima della chiusura dei seggi, dalla città di Sousse denuncia che “..un des observateurs du mouvement "Ennahdha" incite les gens à voter pour eux dans le bureau de vote à l'école Frada, Enfidha, Sousse”. Alle 18 e 45 “un membre du parti "Mouvement Ennahdha" est en train d'appeler directement les électeurs le jour des élections pour les manipuler dans le collège HLIMA CHAABOUNI à Agereb, SFAX”. Andiamo ora alla città di Beja dove, alle 18 del 23, “Des membres du mouvement "Ennahdha" incitent les gens à voter pour ce parti au lycée Erache”. Si potrebbe continuare così per una giornata, queste erano solo le violazioni delle ultime ore e dell’ultimo giorno. Poi poprio dal sito dell’Isie, gli osservatori del voto tunisino, dopo le 13 di ieri il link a quste segnalazioni è scomparso, e questo in nome della trasparenza della nuova Tunisia islamista che verrà, evidentemente. Comunque vengono segnalate infrazioni anche da parte del “Parti reformiste dousturienne”, che poi sarebbero gli orfani di Ben Alì scampati all’epurazione, da parte del “Partì liberal maghrebin”, da parte dell’Unione patriottique libre” e da parte del “Mouvement des patriotes democrates”, per essere completi nell’informazione. Solo che “Ennhada”, che giorni prima gridava preventivamente a possibili complotti, risulta di gran lunga il partito più segnalato dai cittadini tuinisini in queste operazioni di incitamento al voto sin dentro la mitica “cabina” ( “o “gabina” se si pronunzia l’italiano come Bossi) elettorale. E, a riprova che lo start up democratico della nuova Tunisia è roba per islamisti gopolitici militanti, ieri sono arrivate anche le felicitazioni presidente del Parlamento iraniano, Ali Larijani. Secondo cui “La vittoria degli islamisti nelle elezioni tunisine dimostra la natura islamica delle rivoluzioni e delle rivolte nella regione.” Auguri che però potrebbero innescare anche la reazione dell’Arabia Saudita che non è per nulla contenta se l’Iran e lo sciismo metteranno il cappello sulle suddette rivolte arabe. Intanto, e purtroppo, i primi dati ufficiali che giungono dalle circoscrizioni tunisine confermano l'ampia vittoria di “Ennahdha”. Al momento solo tre delle circoscrizioni (tra le meno popolate) hanno completato le operazioni di scrutinio, quelle di Beja, Kebili e Tataounine e su 15 seggi complessivamente in palio, Ennahdha ne ha conquistati 7. Una tendenza che conferma quella del voto al'estero, dove il partito confessionale ha ottenuto 9 dei 18 seggi. E se appare vero che i tunisini hanno votato “Ennahdha” soprattutto per la sua dichiarata matrice islamica e non per quel che ha messo nel suo programma, sulle “promesse” del partito al suo elettorato in materia economica gli esperti hanno storto il naso. A cominciare dagli europei che, in maggioranza, l'hanno bollato come un “libro dei sogni”, ai limiti dell'utopia. Per larga parte inattuabile vista la mancata individuazione delle risorse. Ennhada ha promesso un tasso di crescita medio al 7 per cento, nel periodo 2012-2016, un reddito pro capite per ciascun tunisino a 10.000 dinari (poco meno di 5.000 euro) all'anno entro il 2016, contro i 6.300 di oggi (circa 3.200 euro), la creazione di 590 mila nuovi posti di lavoro nel prossimo quinquennio per portare il tasso di disoccupazione all'8,5 per cento contro il 14,4 per cento attuale, un tasso di investimenti del 31 per cento sul Pil, mentre oggi è del 25 per cento e infine di ricondurre il tasso di inflazione al 3 per cento entro il 2016. Se Gannouchi ci riuscisse davvero potrebbe diventare il nuovo presidente della Ue, “honoris causa”. “Ennahdha” ha anche annunciato di volere prestare grande attenzione al mondo delle banche, dicendo di volere varare delle modfiche all'ordinamento attuale per aprire le strade alla finanza islamica. Di fatto nessuna di queste promesse verosimilmente verrà mantenuta. E anzi, se si cominceranno a vedere niqab e burqa a tutto spiano anche a Tunisi e se si tenterà di far tornare le donne indietro sulle proprie conquiste, che in Tunisia hanno preceduto persino quelle in Europa dello scorso secolo grazie a Bourguiba, si innesterà fatalmente un clima da guerra civile strisciante come in Algeria negli anni ’90. A quel punto addio turisti e per la Tunisia, che non ha petrolio ma solo un po’ di fosfati a Ghafsa, questo potrebbe essere un ko micidiale.

La STAMPA - Domenico Quirico : " Tunisi, la piazza laica denuncia gli islamisti: hanno pagato i voti "

Il verbo che fu rivoluzionario, la parola categorica: dégage, vattene. La parola che ha cacciato il dittatore Ben Ali. Torna scandita, urlata, evocata davanti alla sede della Commissione elettorale che deve proclamare i risultati delle prime elezioni libere e avanza al rallentatore, una lentezza che comincia a inquietare molti. Questa volta l’invito è brandito contro il partito islamico, Ennahda, che ha vinto, anzi stravinto, proclamandosi moderato e progressista. Una parte della Tunisia, quella degli sconfitti, sospetta che sia, sotto nuove e astute vesti, una dittatura ancor più esigente, guidata da approvvigionatori di finzioni, gente ambigua, ingannatrice.

Due giorni appena, il tempo di riguardarsi allo specchio soddisfatti, di crogiolarsi ai complimenti di tutto il mondo per aver superato il debutto elettorale, e la democrazia tunisina ha già degli «indignati» pugnaci, petulanti, litigiosi. Già si urla si strapazza si predica. Normale, dopo una così lunga omologazione autoritaria, vent’anni; la democrazia può prosperare solo in un clima turbolento, in fondo. Dove ci sono acquiescenza, cinismo, passività, rassegnazione, è aperta la strada per coloro che vogliono spogliarci dei nostri diritti.

La Tunisia che ha scelto il partito vincitore, in fondo, si avvia verso un fato islamista come il figliol prodigo verso casa. Ma una parte del Paese è certa che la democrazia, e soprattutto l’eccezione laicista di questa parte del mondo musulmano, abbiano già i giorni contati: incalzano, secondo loro, i barbuti il velo e le tenebre. È in fondo spiegabile per chi ha letto sui libri di scuola come il padre della patria, Bourguiba, banchettasse ostentatamente durante il digiuno del ramadan; eresia sacrosanta per chi credeva essere lo sviluppo e la produttività la vera fede di queste genti malmenate dalla Storia. E ora si ritrovano a essere guidati da un partito che, seppure sotto sembianze levigate, insaponate e lustrate, ai comizi divide in spazi distinti femmine e maschi.

Il fiele di questi indignati cola su Ennahda, accusata di aver comprato i voti distribuendo denaro: arrivato dall’estero e, tra questi elemosinieri così disponibili e interessati, fanno i nomi del Qatar e addirittura dell’Iran. Pratica vietata dalla legge ma che nessuno si è preoccupato di sanzionare per l’esistenza di una congiura, di un complotto. Innalzano e scandiscono slogan espliciti: «Ennahda, non dimentichiamo che siete stati terroristi»; «Gli islamisti non hanno il diritto di vincere»; «No a elezioni truccate»; e ancora: «La Tunisia è moderna, non vuole tornare indietro».

Sono i manifestanti, in grande maggioranza ragazze, eleganti, chic, dei quartieri alti, che temono un domani di andare sulle belle spiagge in burkini. Borghesi, si sarebbe detto un tempo. Ricchi. Girano tra loro, ascoltano, facendo gli indifferenti, evidenti poliziotti mal travestiti da passanti, occhiali neri, facce ruvide segnate dalle intemperie. Sembra di esser tornati ai tempi di Ben Ali, quando presidiavano le strade, pedinavano, notavano. E gli agenti sono gli stessi. Le paure dei dimostranti sono accettabili, non prive di fondamento. Ma i protestatari paiono flosci, non è gente da rivoluzione o da controrivoluzione. Un ragazzo li guarda dall’altra parte del marciapiede, con disprezzo: «Quelli hanno paura per il conto in banca, altro che democrazia e laicità!». Forse non ha torto. Gente per cui islam e comunismo sono rivoluzioni intercambiabili, entrambe frutto di odio e di nebbia.

Eppure anche di costoro i vincitori dovranno tener conto nel loro erculeo sforzo di rassicurare, di non vincere troppo. Per questo imboccheranno a tutta forza la via delle alleanze, le più larghe possibili, nell’assemblea costituente che dovrà scrivere le nuove regole e nominare il governo destinato a guidare il Paese al voto politico del prossimo anno. I leader islamisti non ne faranno parte, sollevano, qui e fuori, avversioni scrupolose e nevrasteniche. Il partito sceglierà cauti e scoloriti tecnocrati, si parla ad esempio dell’attuale governatore della Banca centrale, Kamel Nabli.

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